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“Chiesa e Stato nel pensiero di Luigi Sturzo”. un libro di Santo Bellia

“Chiesa e Stato nel pensiero di Luigi Sturzo”. un libro di Santo Bellia

Tratto da: Adista Notizie n° 39 del 07/11/2020

40443 ROMA-ADISTA. Sul pensiero e sull’azione di don Luigi Sturzo sono state riempite le librerie degli studiosi di storia della Chiesa e della politica. Ha compiuto un’operazione suggestiva, almeno dal punto di vista della storia della cultura, la collana “oi christianoi” della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale nel pubblicare il libro di Santo Bellia, Chiesa e Stato nel pensiero di Luigi Sturzo (Il Pozzo di Giacobbe, 2020). Si tratta, infatti, di una riedizione a oltre 60 anni dalla prima uscita per l’editrice salesiana S.E.I. All’epoca Sturzo era ancora vivente. Ormai 85enne viveva a Roma ed era stato nominato da poco senatore a vita dal presidente Einaudi. Bellia invece era un giovane studioso di diritto canonico, avvocato rotale e avvocato delle cause dei santi. Nel 1957 divenne parroco di Santa Maria della Mercede a Catania e nel 1962 fu perito al Vaticano II. Lo spessore intellettuale e teologico di Bellia ci viene restituito dall’introduzione di don Massimo Naro, che in qualche modo sembra dialogare con l’autore e confrontarsi con lui sull’eredità sociologica, ma anche teologica del pensiero sturziano. Va tenuto presente che il libro non solamente fu letto e vagliato attentamente dal sacerdote di Caltagirone, ma fu anche pubblicato grazie al suo sostegno. Come osserva Naro, lo riteneva probabilmente «uno strumento efficace per mettere in circuito le sue migliori idee nel mondo accademico».

Naro si concentra particolarmente su un testo che gli sembra centrale nella riflessione di Sturzo e del suo biografo, il saggio La vera vita, pubblicato a Washington durante l’esilio di Sturzo nel 1943, e uscito in Italia solamente nel 1947. In questo libro, Sturzo si occupa del cristianesimo come fatto storico, principalmente nel suo assetto ecclesiastico, ma non senza una riflessione teologica sul senso profondo del cristianismo e quindi sulla Chiesa come espressione della presenza di Dio nella storia. Naro ci legge un’anticipazione di categorie che troveranno accoglienza al Concilio, ma ci sembra un leit motiv decisamente troppo ricorrente e abusato.

Più interessante è quanto il teologo osserva sul rapporto tra la dimensione sociologica e teologica del pensiero sturziano, per il quale l’obiettivo di fondo sarebbe consistito nell’«aprire davanti agli occhi dell’uomo “una finestra verso il mondo invisibile”». In altre parole, quelle del professor Ferdinando Della Rocca, docente di diritto canonico, che scrisse la prima presentazione del libro nel 1956, per Sturzo «la Chiesa in quanto realtà umana, e cioè “organizzazione positiva di fedeli”» aveva un suo potenziale di socialità. Spiega meglio lo stesso: «Sturzo ha operato nella sua investigazione soprattutto di sociologo quale egli era per un duplice motivo: da un lato venivano messi sotto il bisturi del sociologo problemi che fino ad allora erano stati materia generalmente riservata ai giuristi; dall’altro la stessa sociologia di Sturzo traeva proprio nel campo dei rapporti tra Chiesa e Stato la sua migliore riprova».

La teoria e la prassi non potevano del resto che andare a braccetto nell’ottica di un uomo che avrebbe dedicato alla politica attiva del movimento cattolico la sua intera esistenza, non senza ambigui e pericolosi posizionamenti dopo la fine della seconda guerra mondiale.

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