
L’Egitto, "da regime a regime". Nigrizia riflette sull’amaro decennale della rivolta
A 10 anni dalla rivolta popolare che segnò la caduta del regime di Mubarak, il periodico dei comboniani Nigrizia riflette sulla situazione politica e sociale dell’attuale Egitto in un approfondimento di Giovanni Piazzese dall’eloquente titolo: “Da regime a regime”.
L’appuntamento del 25 gennaio prossimo, si legge nell’articolo, rappresenta «per i media internazionali» un’occasione «per rievocare nostalgicamente l’entusiasmo, la voglia di cambiamento e di rivalsa» di quella stagione. Per il regime di al-Sisi, invece, «un mero ricordo da consegnare alla storia, ma che dell’attuale storia egiziana non deve far parte». Tant’è che gli ultimi anniversari sono stati spesso segnati dalla violenza e dalla repressione delle forze dell’ordine.
Nel corso di questi ultimi 10 anni, aggiunge Nigrizia, «le faticose conquiste ottenute dopo il 2011 (dallo smantellamento del Servizio informativo della sicurezza di stato-Ssis alla legalizzazione dei partiti e movimenti politici con un “framework” religioso, sino alla possibilità, per nulla scontata, di svolgere manifestazioni pubbliche) sono state spazzate via dal ritorno dei militari egiziani come principali gestori delle leve del potere politico, oltre a quelle economiche».
Proprio sull’anniversario del 25 gennaio, approfondisce ancora Piazzese, il regime sta tentando una sorta di manomissione della storia: le violenze durante le commemorazioni, la trasformazione urbana dei luoghi simbolo come piazza Tahrir, «insieme a una massiccia campagna propagandistica, hanno permesso all’esercito egiziano di poter riscrivere (se non addirittura imporre) una versione della storia a loro favorevole che li dipinga come i veri salvatori della rivoluzione, salvo poi calpestarne tutti i suoi principi di uguaglianza e giustizia sociale».
L’autore di Nigrizia passa poi in rassegna una serie di provvedimenti del regime di al-Sisi che dimostrano il netto scostamento dell’attuale governo del Paese dai principi ispiratori che mossero le proteste di 10 anni fa: leggi contro il “terrorismo” o per regolamentare le proteste si sono rivelate «strumenti per dare una patente di legalità a pratiche senz’altro già note sotto il regime di Mubarak, ma che nel corso degli ultimi sette anni sono state adottate in maniera estensiva, sistematica, continuativa e nella totale impunità di chi le adopera». Altre leggi sull’associazionismo o sui mezzi di comunicazione, insieme al controllo politico e militare dei media, «hanno finito col soffocare non solo i focolai d’opposizione presenti sul web e altre piattaforme di comunicazione, ma anche, e soprattutto, la libera espressione di un pensiero critico da parte di qualsiasi cittadino egiziano».
Questo è lo scenario 10 anni dopo la caduta di Mubarak. Un quadro che potrebbe protrarsi ancora a lungo, in ragione delle modifiche della Costituzione, confermate dal referendum del 2019, che permetteranno ad al-Sisi di candidarsi ancora alla presidenza del Paese, potenzialmente fino al 2030.
L’analista delinea i tratti di «un regime più feroce di quello di Mubarak». E parla anche delle responsabilità della comunità internazionale che lo ha sostenuto, finanziato e armato fino ai denti in una chiave anti-terroristica. E così, «l’Egitto è divenuto il terzo importatore mondiale di armamenti, preceduto solo da Arabia Saudita e India». Francia, Russia e Stati Uniti i suoi principali fornitori di armi, ma anche l’Italia «ha registrato una forte crescita delle esportazioni di armi» tanto che il Paese africano ha toccato la vetta della classifica dei suoi migliori acquirenti d’armi.
Un flusso inspiegabile, visti lo stato di repressione all’interno del Paese e la delicatezza del quadro regionale, segnato dal sostegno al generale Haftar nella crisi libica e dagli attriti con l’Etiopia di Abiy Ahmed Ali per via della mega-diga Grand Ethiopian Renaissance Dam sul Nilo Azzurro. Un flusso di armi in continua crescita, che «l’Ue si è rivelata incapace di arrestare», denuncia Nigrizia. Intanto, «milioni di egiziani continuano a soffrire la repressione, la brutalità e gli atti di violenza di cui si sono macchiati al-Sisi e i suoi uomini, nonché la mancanza di un futuro in un regime che ha trovato nei Paesi europei degli alleati imprescindibili per il prosieguo delle proprie politiche securitarie. Comprendere le enormi responsabilità che questi paesi hanno nel sorreggere l’attuale regime egiziano permetterebbe di aprire gli occhi dinanzi al tentativo di certi politici europei, inclusi illustri leader di partito del nostro paese, di continuare a legittimare l’attuale presidente egiziano. Renderebbe questo anniversario un po’ meno amaro dei precedenti».
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