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PRIMO PIANO. Dalla politica politicante alla ricostruzione

PRIMO PIANO. Dalla politica politicante alla ricostruzione

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 7 del 20/02/2021

Affiora la vera emergenza democratica da queste convulse giornate di crisi del Governo. I termini sono crudi: la politica è sempre più avulsa dai contenuti, i partiti sono sempre più avulsi dai cittadini. Quello che con complice partecipazione i media trasmettono ai cittadini è lo spettacolo della politica politicante. È tutto un trionfo di mosse, contromosse, partita a poker, bluff… non c’è nessuno spiraglio per idee diverse di soluzione di un problema, per ricette che affrontino le emergenze, per una visione che dia risposta ai disagi crescenti di gran parte della popolazione. Insomma, senza contenuti e senza partiti, è tutta una maionese impazzita dove tutti hanno ragione e nessuno è responsabile.

E la decisione del presidente della Repubblica di conferire un incarico a Mario Draghi per formare un Governo che faccia fronte con celerità alle emergenze del nostro Paese, non ha fatto altro che certificare il fallimento di questa politica.

A chi giova tutto questo caos? Prende sempre più corpo l’idea che la democrazia sia una scatola vuota, non più in grado di risolvere i problemi. Sta tutta qui l’emergenza democratica in Italia. E non solo in Italia. Colpisce che nessuno sia stato in grado di nutrire una percezione vera della gravità della pandemia sanitaria e della più grave pandemia economia e sociale. Qualsiasi proposta seria per affrontare l’emergenza e tratteggiare risposte concrete deve partire da una consapevolezza profonda di come stanno davvero le cose. E questo, nel sentire della gente e nell’opinione pubblica, non c’è. E su questo, lasciatemelo dire, prima che della politica – sempre additata come sentina di tutti i mali – c’è in realtà il sistema dei media, dell’informazione ansiogena, del frullatore agitatorio che alimenta quotidianamente la macchina dell’informazione, ormai totalmente lontana dalla responsabilità di fornire un’informazione seria, equilibrata e misurata.

O si è in grado di tornare sui contenuti o non ci si salta fuori da questa situazione.

In questo quadro sfilacciato com’è possibile pensare a una strada di salvezza per il nostro Paese e per la nostra democrazia, di fronte ai rischi incombenti di una crisi economica e sociale che nei prossimi mesi colpirà ancor più in profondità? Pensando a un GPS della possibile uscita, si intravedono i capisaldi di un sentiero che è strettissimo, che sta tutto dentro alle misure straordinarie che la tanto vituperata Unione Europea ha messo in campo: fine del rigore sui deficit del bilancio statale; messa in campo di risorse ingentissime della Bce per comprare il nostro debito; messa a disposizione di una mole senza precedenti di risorse per il Recovery Fund, con l’Italia destinataria della fetta più grossa – i famosi 209 miliardi di euro –. La strada per non precipitare nel baratro e pensare a un rilancio passa attraverso questo sentiero strettissimo. E allora la discriminante sono proprio le forze europeiste, unite nella sfida straordinaria che il Vecchio continente, per la prima volta, messo alle strette da una crisi cui nessuno era preparato, ha messo in campo.

Ed è qui che sono emersi i limiti e le inadeguatezze del Governo Conte. Limiti e inadeguatezze fatte emergere con insistenza da chi ha scatenato la crisi dentro i palazzi romani (Renzi) senza però riuscire a chiuderla. Ed è da qui che potrebbe nascere la nuova impresa dell’ex presidente della Bce, al timone del nuovo esecutivo che, in un modo o nell’altro, sta prendendo forma proprio in queste ore.

Con Draghi, oltre alla certezza di presentarci all’Ue con i compiti fatti e fatti bene, c’è l’auspicio del rilancio della dignità della politica e del Paese. I problemi del Paese, si sa, non derivano tutti dai partiti e dai movimenti politici o dai loro rappresentanti. E i corpi intermedi? Anche loro hanno delle responsabilità. Siamo in presenza, e non da pochi giorni, di una crisi di sistema e, come ci insegna la storia, la crisi irrompe quando i confini della democrazia non sono più ben definiti.

È successo in passato, nella storia del nostro Paese che, a fronte di una Chiesa dalla voce debole, ci fosse invece nella politica una forte capacità propositiva e aggregante dei cattolici. Può apparire schematico, ma oggi è pauroso constatare come a fronte di una Chiesa non sempre coesa ma capace di farsi ascoltare, attraverso un papato fortemente in sintonia con le complicazioni di questo tempo, la presenza dei cattolici in politica non sia all’altezza di quel forte messaggio. Ci tornano alla mente le parole che il papa ha pronunciato sette anni fa rivolgendosi ai parlamentari. Parole che sembrano ancora straordinariamente adatte a fotografare l’attuale situazione italiana. A partire dal passaggio del Vangelo di Marco in cui il popolo di Israele viene definito come «pecore senza pastore», Francesco commenta: «Il popolo di Dio era solo, e questa classe dirigente – i dottori della legge, i sadducei, i farisei – era chiusa nelle sue idee, nella sua pastorale, nella sua ideologia… una classe dirigente che si era allontanata dal popolo. Ed era soltanto con l’interesse nelle sue cose: nel suo gruppo, nel suo partito, nelle sue lotte interne… Avevano abbandonato il gregge ». E cosa fa Gesù allora? Gesù, ricorda il papa, «va dai poveri, va dagli ammalati, va da tutti, dalle vedove, dai lebbrosi a guarirli. E parla loro con una parola tale che provoca ammirazione nel popolo». Forse è proprio da questo che potrebbero ripartire i politici e ancora di più i cattolici impegnati in politica e nelle istituzioni: tornare ai poveri, ai fragili, agli ultimi.

Mi permetto di fare un’ultima osservazione che può apparire provocatoria: il dibattito è spes- so concentrato sul ruolo dei cattolici nello schieramento democratico e si sta a far la punta su ogni aspetto che riguarda il centrosinistra. Ma non si può negare la consistente presenza dei cattolici anche all’interno del centrodestra. Chi parla allora con quei cattolici che hanno scelto il centrodestra? Perché chi si richiama a un’appartenenza cattolica sembra accettare supinamente la supremazia della destra più populista e sovranista? Perché non si apre lì un processo che sganci la parte più responsabile dalle avventure senza sbocco di Salvini e della Meloni?

In queste ore l’appello (sottointeso) di Mattarella a una pacificazione nazionale potrebbe trovare le prime risposte con l’adesione al progetto del professor Draghi da parte di una «supermaggioranza». Potremo quindi per un po’ smettere di lagnarci per lo spettacolo indecente di una parte della politica e per l’incompetenza di una parte della classe dirigente. Per dedicarci alla ricostruzione, assieme a tutte le forze e le intelligenze di chi, soprattutto nei territori, continua a spendersi quotidianamente in progetti sociali e culturali. 

Paolo Tomassone, giornalista, è coordinatore della rete C3dem

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