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PRIMO PIANO. Ddl zan: o “fratelli tutti” o che?

PRIMO PIANO. Ddl zan: o “fratelli tutti” o che?

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 28 del 24/07/2021

La discriminazione ha tracciato lungo la Storia una scia rossa di sangue e di dolore, e oggi, intorno a essa, si gioca moltissimo della sopravvivenza dignitosa di migliaia di nostri concittadini. Il carattere poco inclusivo della nostra società è oggi rappresentato dal trionfo dell’ipocrisia attorno al ddl Zan, che estende l’aggravante ai reati di odio per discriminazione razziale, etnica o religiosa, già puniti dalla legge, anche a quelli contro lgbt, disabili e donne. E il dibattito scaturito dalla proposta di legge rappresenta un ulteriore test di civiltà per la nostra società. Se non passerà il voto parlamentare sarà come se fosse permessa la discriminazione nei confronti di quei concittadini; mentre già non passa giorno senza che si venga a conoscenza di episodi di aggressione, violenza o bullismo contro qualcuno di loro. Le accese discussioni attorno al ddl Zan, hanno evidenziato l’omofobia, nascosta o palese, all’interno di qualche partito e anche, se ce ne fosse ancora bisogno, della ingerente gerarchia cattolica; contemporaneamente, la proposta di legge è la dimostrazione dello scivolamento verso il fallimento culturale ed educativo della nostra società democratica: se si ha bisogno di una legge per far rispettare le scelte dell’altro – rispetto che invece dovrebbe essere iscritto nel nostro dna democratico e culturale – vuol dire che la nostra società “procede” come il gambero. È triste che l’Italia pretenda il rispetto dei diritti civili all’esterno, da dittature contro le quali è fin troppo facile puntare il dito, mentre li nega al proprio interno, ai propri cittadini.

Ma l’esclusione e la discriminazione verso le persone lgbt, non sono praticate solo nell’ambito della società civile. Di questo peccato ci macchiamo spesso noi cristiani; e la Chiesa cattolica non di rado lo commette quando esclude quei fedeli che battono vie nuove, quelle strade su cui subito prendono a camminare gli ultimi e gli esclusi, e sulle quali invece inciampano, scandalizzati, i “farisei”. Il Vangelo ci insegna che non è possibile essere liberi senza gli scartati, tutti gli scartati. Non ce la caviamo senza di loro. Se essi sono perdenti, noi tutti saremo perdenti con loro. La solidarietà tra tutti è l’avvenire della società, e l’inclusività è l’avvenire delle Chiese, compresa quella cattolica che, nella gerarchia e nella base appare sempre più incapace di realizzare la «convivialità delle differenze», nonostante le aperture di papa Francesco. E poi, perché mai noi cattolici, dobbiamo occuparci os- sessivamente di sesso?! Bisognerebbe intervenire sul "disprezzo" per la sessualità che spesso è diffuso tra il clero che, non praticando per scelta e con serenità il proprio anacronistico celibato, si accanisce contro chi, e per fortuna è la maggioranza, vive tranquillamente la propria sessualità. Per non parlare dell’atteggiamento dei cattolici contro i gay! Ci nascondiamo dietro l’ipocrita condanna del peccato e non del peccatore; e l’insopportabile e irrealizzabile presunto insegnamento che sì, si può essere gay o altro, basta non avere rapporti sessuali! C’è da chiedersi se chi “inventa” queste improponibili “soluzioni” venga da un altro pianeta. Non certo dal Regno di Dio, che è alternativo al nostro e che Gesù paragona al minuscolo granello di senape che diventa un albero frondoso «e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra»: paradigma della Chiesa-altra che, inderogabilmente siamo chiamati a costruire; Chiesa inclusiva, che non emargina, non usa la pesante scure del giudizio contro alcuno, Chiesa degli esclusi e non dell’esclusione, capace di accogliere, di portare tutti, proprio tutti, in seno. La gerarchia cattolica a volte sembra fingere di non ricordare quanto affermato solennemente dal Concilio, nella Gaudium et spes: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».

Nonostante le timide aperture dell’enciclica Amoris laetitia, immancabilmente criticata non solo da gruppi reazionari e retrivi, ma finanche da vescovi e cardinali, c’è da chiedersi con onestà se la gerarchia cattolica, non solo in ambito sessuale, si sia realmente liberata dalla necessità di emarginare, di escludere e di inquisire i propri membri che dissentono dalla maggioranza. Certamente la violenza fisica non è più praticata – spero non solo perché il “braccio secolare” non è più disposto a esercitarla in nome e per conto degli ecclesiastici – ma quella morale e interiore è completamente scomparsa? La Chiesa che chiede perdono per l’Inquisizione del passato e che riabilita, reinclude e fa santi gli “eretici” messi al rogo è una Chiesa che veramente ha smesso di inquisire e di escludere? Ricordiamocelo sempre: l’insulto “finocchio” nacque proprio attorno ai roghi dove venivano arsi i gay: per farli soffrire di più, gli inquisitori facevano mettere bucce di finocchio sulla legna, così bruciava più lentamente, diffondendo il caratteristi- co odore dell’ortaggio, e prolungando l’agonia del malcapitato.

I vertici cattolici dovrebbero, finalmente, pronunciare una parola chiara: mentre papa Francesco dice “chi sono io per giudicare un gay”, la Nunziatura e il Sant’Uffizio affermano il contrario; intanto buona parte dei fedeli sono ancora convinti che sia peccato essere gay e troppi preti, non si rassegnano e continuano a escluderli dalla comunione. È grande la fortuna, o la Grazia, di avere un papa che parla di una “Chiesa in uscita”, che deve andare verso l’altro; ma è veramente cambiata la Chiesa, che concretamente dovrebbe “uscire” dalle proprie anacronistiche e antievangeliche convinzioni?

Il guaio è che tra i cattolici c’è ancora tanta omofobia nascosta sotto l’implacabile morale sessuale. E parte del clero, vivendo male la propria omosessualità, frustrata e repressa, si incattivisce contro chi invece la vive serenamente e liberamente.

Mi piacerebbe invitare la parte chiusa alle differenze e retriva, della politica e della gerarchia, il 2 febbraio al Santuario di Montevergine, in Irpinia, per la festa della Candelora. Ammirerebbero un frammento di Chiesa possibile nella quale, da secoli, i “femminielli” venerano la Madonna, “diversa” perché nera, e sono accolti attorno alla mensa eucaristica, da monaci e pellegrini, senza scandalo o discriminazione. Segno che, nella base popolare dei nostri territori, è sempre vivo il seme dell’accoglienza. Del resto, la ricchezza e la varietà delle scelte sessuali esistono, checché né dicano il Vaticano, l’Ungheria, la Lega o Fratelli d’Italia, e non le si abolisce per legge, né negandole. L’unica scelta davvero “contronatura” è non essere fraterni, rispettosi, o almeno tolleranti, nei confronti dell’altro, chiunque sia: “fratelli tutti”, proprio tutti, o il baratro!  

Vitaliano Della Sala è parroco a Mercogliano (AV) e vicedirettore della Caritas diocesana di Avellino    

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