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Erdogan, il pacificatore? La parola ai kurdi

Erdogan, il pacificatore? La parola ai kurdi

Il presidente turco, Tayyip Erdo?an, si sta accreditando sulla scena internazionale come pacificatore-mediatore nel conflitto russo-ucraino, ma intanto «bombarda la nostra gente qui in Irak…». Così inizia il racconto di p. Samir Youssef, parroco di Enishke nella diocesi di Amadiya, nel Kurdistan iracheno, fatto giungere all’agenzia AsiaNews (23/7). L’ultimo bombardamento, pesante, mercoledì 20 luglio, in un resort turistico ha provocato 9 morti, tra cui tre bambine. «Ankara deve essere fermata», conclude il sacerdote. Per capire il clima e il contesto della situazione kurda ai nostri giorni riportiamo quasi integralmente il servizio dell’agenzia, firmato da Giorgio Bernardelli.

Kurdistan, p. Samir: ‘Noi ostaggi della guerra di Erdogan al Pkk’

Dopo la strage di Zakho costata la vita a 9 turisti la testimonianza di un parroco che vive sulle montagne della regione dove avvengono i raid. “Ogni settimana ci sono persone che muoiono per questi bombardamenti, anch’io ho rischiato di essere colpito. Ankara deve essere fermata”.

«Erdogan cerca di far fare pace a Ucraina e Russia e poi bombarda la nostra gente qui in Iraq…». Dal Kurdistan iracheno è un racconto amaro quello di p. Samir Youssef, parroco di Enishke nella diocesi di Amadiya. Un amico di AsiaNews che da anni sosteniamo per quanto la sua parrocchia continua a fare per i profughi cristiani scappati ormai otto anni fa da Mosul sotto la minaccia dell’Isis e che in gran numero vivono ancora su queste montagne. Ma la sua parrocchia si trova anche molto vicina al confine tra la Turchia e l'Iraq, dove da mesi imperversa la nuova offensiva della guerra di Erdogan alle milizie curde del Pkk, e ad appena un’ora d’auto da Zakho, teatro mercoledì (20/7/22) della strage sui turisti al parco di un resort che ha provocato 9 morti tra cui tre bambine, una delle quali di soli 11 mesi.

«Sono zone molto belle, ci sono fiumi e cascate su queste montagne - racconta p. Samir -. Durante la pandemia il turismo era rimasto bloccato, ma da alcuni mesi la situazione era cambiata. Soprattutto in questi ultimi giorni con la festa dell’Eid erano arrivate migliaia di persone. Iracheni giunti dal sud, da Baghdad e Bassora, per sfuggire al caldo che anche qui è particolarmente intenso in queste settimane. E poi anche dall’estero: arabi del Golfo. Adesso in 9 sono tornati a casa cadaveri e non c’è più nessuno». 

La zona della strage non era mai stata colpita in precedenza. «Nei video diffusi - continua p. Samir - si sentono dei turisti che, vedendo il fumo arrivare dalle montagne, chiedono se è sicuro stare lì e le guide rispondono che il pericolo è solo più in alto, come sempre. Subito dopo, però, arrivano i colpi di artiglieria proprio in quel punto». Le autorità irachene parlano di proiettili da 155 mm sparati dall’esercito turco, Ankara nega, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha chiesto una «indagine accurata». Ma intanto sulle montagne sopra a Zakho negli ultimi due giorni si è comunque continuato a sparare, nonostante le vittime civili.

«I turchi bombardano ovunque sulle nostre montagne - commenta il sacerdote caldeo -. Ogni settimana abbiamo due, tre, dieci persone che muoiono: è successo anche nel nostro distretto di Amadiya. Le milizie del Pkk si muovono su queste montagne con le loro auto senza targa, scendono nei villaggi per rifornirsi di cibo. E per colpirli i turchi non si preoccupano della presenza dei civili. Una volta stavo tornando dopo aver celebrato la Messa in un villaggio e alcuni miliziani del Pkk hanno fermato armati la mia auto. Mi hanno obbligato a farli salire per portarli ad acquistare cibo. Durante quei dieci minuti di tragitto ho pregato 40 o 50 Ave Marie: mi tremavano le gambe perché in cielo ci sono sempre gli aerei e i droni turchi che volano per cercarli. Se ci avessero individuati ci avrebbero sicuramente bombardati. Un’altra volta li hanno colpiti a una stazione di benzina dove ero da poco transitato: quando sono tornato non c’era più nemmeno la strada».

La debolezza delle istituzioni irachene - aggravata oggi dalla lotta di potere interna agli sciiti tra il movimento di Moqtada al Sadr e i filo-iraniani dell’ex premier Nouri al Maliki - non aiuta certo ad affrontare il problema. «Oggi tutti in Iraq stanno condannando la Turchia per l’attacco - racconta p. Samir -. Ma che cosa è stato fatto finora? Ai tempi di Saddam Ankara non poteva fare nulla qui. Poi nel 1991 è arrivata la seconda Guerra del Golfo, con gli Stati Uniti che, in cambio della possibilità di utilizzare la base aerea di Incirlik, hanno permesso all’esercito turco di entrare in Kurdistan con proprie basi. Il risultato è la situazione di oggi. Con i più i problemi sulla gestione dell’acqua: la Turchia ha costruito quattro dighe enormi che stanno prosciugando il Tigri e l’Eufrate. Non dico certo che rimpiangiamo Saddam - precisa il sacerdote iracheno - ma Ankara va fermata».

* Grance Moschea della Luce a Kirkuk, nel Kurdistan iracheno. Foto di Ahmed Salawat, tratta da Commons Wikimeida, immagine originale e licenza

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