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COP27 sul clima: i popoli indigeni di tutto il mondo potranno far sentire la loro voce

COP27 sul clima: i popoli indigeni di tutto il mondo potranno far sentire la loro voce

«I popoli indigeni di tutti i continenti faranno sentire la loro voce alla Conferenza mondiale sul clima COP27» che inizia il 6 novembre in Egitto. A fornire questa informazione e a rendere possibile tale partecipazione è l’Associazione per i Popoli Minacciati: grazie allo status consultivo di cui l’APM gode presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, è stato possibile accreditare le popolazioni indigene per la Zona Blu, dove si svolgono i negoziati governativi e gli eventi collaterali.

«Con il sostegno dell’Associazione per i Popoli Minacciati (APM), i rappresentanti indigeni si stanno recando in Egitto a Sharm el-Sheikh», annuncia l’organismo in un comunicato del 3 novembre. «Il cambiamento climatico rappresenta un’enorme minaccia per i mezzi di sussistenza delle popolazioni indigene. Allo stesso tempo, grazie alle loro conoscenze uniche, svolgono un ruolo chiave nel superare periodi di crisi. Nei rispettivi Stati nazionali, tuttavia, gli interessi indigeni hanno spesso un ruolo subordinato. Per questo è importante che le comunità indigene possano inviare i propri delegati e che sia loro consentito di partecipare attivamente ai processi decisionali».

«È stato dimostrato – seguita il comunicato – che le popolazioni indigene sono in grado di proteggere al meglio le foreste pluviali, le foreste boreali e altri biomi in tutto il mondo». Ma i loro territori indigeni sono anche fra i più sensibili al clima: «Lo scioglimento delle calotte polari a nord, l’innalzamento del livello del mare negli oceani, la siccità in generale e in particolare nella regione amazzonica li riguardano direttamente. Le grandi nazioni industrializzate come molti Stati europei sono i principali responsabili di questa devastazione».

Eppure, «non tutti gli Stati e i governi sono seriamente interessati alla protezione del clima e non tutte le regioni sono ugualmente interessate». In Brasile – è l’esempio fra i più eclatanti portato dal comunicato dell’APM – il presidente Jair Bolsonaro, in carica fino al 31 dicembre, «ha fatto bloccare praticamente tutte le misure di tutela dei diritti degli indigeni e dell’ambiente» nel Paese. Ora, «dopo l’elezione del nuovo presidente Lula da Silva», che assumerà la presidenza il prossimo 1° gennaio, «i popoli indigeni sperano che i loro territori e le riserve naturali circostanti vengano finalmente protetti di nuovo».

Ma «nessuna regione al mondo – informa l’Associazione – sta cambiando più velocemente della regione artica a causa della crisi climatica. L’80% della popolazione indigena russa vive in queste aree rurali. È qui che lo Stato russo estrae le materie prime dalla terra. L’energia fossile finanzia l’economia di guerra della Russia. Allo stesso tempo, aumenta la domanda di minerali di transizione per la transizione verso l’energia verde e la mobilità. Questi cosiddetti “minerali di transizione”, come litio, nichel, cobalto e palladio, rimangono estremamente redditizi per la Russia nonostante le sanzioni. La fame di materie prime ha portato a una battuta d’arresto nel rispetto dei diritti di partecipazione delle popolazioni indigene e dei requisiti di protezione ambientale. Per i popoli indigeni russi, la COP27 è ora l’unica piattaforma internazionale rimasta per rivendicare i loro diritti».

*Foto di Noel Bauza da Pixabay

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