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La giornata internazionale della solidarietà con i palestinesi rilancia la soluzione dei due stati

La giornata internazionale della solidarietà con i palestinesi rilancia la soluzione dei due stati

Tratto da: Adista Notizie n° 42 del 10/12/2022

41305 ROMA-ADISTA. Nel 1979 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha indetto la Giornata Internazionale della Solidarietà con il Popolo Palestinese per il 29 novembre, giorno in cui, nel 1947, la stessa Assemblea Onu adottava la cosiddetta "Risoluzione della Partizione", che imponeva la creazione, in Palestina, di due Stati, uno arabo e uno ebraico, con Gerusalemme posta sotto giurisdizione internazionale separata. A oggi di Stato ce n'è uno solo. E poi c'è un popolo palestinese, senza Stato, che vive nei territori occupati da Israele, a Gerusalemme Est, e nei campi profughi degli Stati arabi confinanti.

Il dibattito sui “due popoli due Stati” nel corso degli anni è evoluto, e oggi non sono poche le voci che propongono il superamento di quel modello, considerato sempre meno realizzabile, in favore di una prospettiva di convivenza tra palestinesi e israeliani all’interno di un singolo Stato bi-nazionale, fondato non sulla connotazione etnico-religiosa ma sul pluralismo, sull’uguaglianza e sulla pari cittadinanza (v. Adista Notizie 41/22). D’altra parte, il riconoscimento dello Stato di Palestina resta un obiettivo fondamentale per il ripristino del diritto internazionale in Medio Oriente e per il raggiungimento di quello status di riconoscimento che consentirebbe l’avvio di negoziati alla pari.

L’Onu e la “visione” dei due Stati

Il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, in occasione della Giornata2022, si è detto «profondamente rattristato dal numero crescente di civili palestinesi che hanno perso la propria vita nella spirale di violenza che sta travolgendo la Cisgiordania occupata. Ogni vittima alimenta la paura e la violenza». Dopo aver esortato le parti in causa a «spezzare questo ciclo di morte», Guterres ha denunciato che «i fattori storici del conflitto (inclusi l’occupazione ancora in corso, l’espansione degli insediamenti, la demolizione delle case e gli sfratti) intensificano la rabbia, l’angoscia e la disperazione». In chiusura del suo messaggio, il Segretario generale ha chiesto di interrompere l’isolamento della Striscia di Gaza, la quale «continua a sopportare chiusure debilitanti e crisi umanitarie».

Secondo Guterres, «la posizione delle Nazioni Unite è chiara: deve avanzare la pace, l’occupazione deve finire. Siamo fermi nel nostro impegno a realizzare la visione di due Stati, Israele e Palestina, che vivono fianco a fianco in pace e sicurezza, con Gerusalemme come capitale di entrambi gli Stati. Insieme, riconfermiamo il nostro supporto al popolo palestinese nella loro ricerca per ottenere i propri diritti inalienabili e costruire un futuro di pace, giustizia, sicurezza e dignità per tutti».

Il papa chiede dialogo

In chiusura all’Angelus del 27 novembre scorso, anche papa Francesco si è detto preoccupato per «l’aumento della violenza e degli scontri che da mesi avvengono nello Stato di Palestina (così definito perché dal 2015 il Vaticano ha riconosciuto formalmente lo Stato palestinese, ndr) e in quello di Israele». Il papa è intervenuto in seguito ai due attentati che a Gerusalemme hanno provocato la morte di uno studente di un collegio rabbinico e alla morte, poche ore prima, di un sedicenne palestinese, ucciso a Nablus dall’esercito israeliano. «La violenza uccide il futuro», ha denunciato Francesco, «spezzando la vita dei più giovani e indebolendo le speranze di pace». E ha poi aggiunto: «Auspico che le autorità israeliane e palestinesi abbiano maggiormente a cuore la ricerca del dialogo, costruendo la fiducia reciproca, senza la quale non ci sarà mai una soluzione di pace in Terra Santa».

AssisiPaceGiusta

Il 29 novembre è una data che ci ricorda quanto la questione palestinese sia «ancora e drammaticamente irrisolta. Senza un piano di pace che dia speranza di giustizia e di libertà». Lo afferma, in un comunicato diramato in occasione della Giornata, AssisiPaceGiusta, piattaforma di realtà associative e sindacali per il riconoscimento dello Stato di Palestina di cui fanno parte, tra le alte, Rete italiana Pace e Disarmo, Anpi, Comunità Papa Giovanni XXIII, AssoPacePalestina, Cgil, Cisl, Uil, Pax Christi, Fondazione Basso e Fondazione La Pira.

Per il popolo palestinese la situazione è drammatica: la rete denuncia la continua «occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele e la costruzione di nuove colonie», la minaccia di espulsione dei residenti a Gerusalemme Est, l’«espropriazione e demolizione delle loro abitazioni», la negazione del diritto di espressione e di associazione, l’isolamento di Gaza, con la negazione della libertà di movimento, la condizione di «tre generazioni di profughi raccolti nei campi in Giordania, Libano, Iraq, Siria e nei Territori palestinesi, cittadini di serie B in ogni luogo, sempre in attesa, senza diritti, spesso vittime di altre guerre».

Si tratta, prosegue la nota, di «una pentola in continua ebollizione che giorno dopo giorno, anno dopo anno, non fa altro che peggiorare le condizioni di vita di tutti quanti, israeliani compresi». Una situazione esplosiva che però la Comunità internazionale non vuole affrontare, solo perché Israele rifiuta la nascita di uno Stato di Palestina. Siamo al paradosso: «Non è più la comunità internazionale, le Nazioni Unite ed i suoi Stati membri che, dopo aver riconosciuto lo Stato d’Israele, hanno il compito e la responsabilità di dar corso al riconoscimento dello Stato di Palestina, come detto, scritto e sancito da innumerevoli risoluzioni Onu, ma il decisore è diventato lo Stato d’Israele». Eppure basterebbe tornare agli Accordi di Oslo dell’agosto 1993, quando Yitzhak Rabin riconosceva il diritto dei palestinesi a uno Stato e Yasser Arafat accettava i confini del 1967 e la condivisione di Gerusalemme, capitale dei due Stati.

Secondo AssisiPaceGiusta «il riconoscimento dello Stato di Palestina, al fianco dello Stato d’Israele non sarebbe la fine del conflitto, ma diventerebbe la base per far sedere al tavolo del negoziato i due Stati ed affrontarlo con pari dignità, legittimità, autorevolezza». Unica condizione in cui «due Stati sovrani che con la cooperazione e l’assistenza delle Nazioni Unite dovranno risolvere le questioni rimaste in sospeso e costruire la convivenza, la sicurezza comune, il rispetto di tutte le comunità, religioni e minoranze presenti nei due Stati».

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