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Papa Francesco elogia mons. Gisana. Dov’è la tolleranza zero?

Papa Francesco elogia mons. Gisana. Dov’è la tolleranza zero?

- Comunicato del Coordinamento contro gli abusi nella Chiesa cattolica

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 39 del 18/11/2023

«Saluto il Vescovo di Piazza Armerina, Monsignor Rosario Gisana: bravo, questo Vescovo, bravo. È stato perseguitato, calunniato e lui fermo, sempre, giusto, uomo giusto. Per questo, quel giorno in cui andai a Palermo, ho voluto fare sosta prima a Piazza Armerina, per salutarlo; è un bravo Vescovo».

Queste le parole di papa Francesco pronunciate il 6 novembre durante l’udienza, nel Palazzo Apostolico Vaticano, al gruppo dell’Associazione Piccola Casa della Misericordia di Gela (Caltanissetta). Parole che suonano quanto mai grottesche e stridono con le sue reiterate affermazioni di vicinanza alle vittime degli abusi e contro il clericalismo, gli insabbiamenti, le coperture.

Mons. Rosario Gisana, infatti, è coinvolto dalla Giustizia civile (ma non indagato) in più procedimenti oltre al più noto caso di don Giuseppe Rugolo, il prete accusato di violenza sessuale aggravata su minori a processo al tribunale di Enna (ormai nella fase conclusiva), trasferito dal vescovo a Ferrara, dove poi è stato arrestato nel 2021. Sempre nella sua diocesi, a Gela, un catechista è stato accusato di presunti abusi su minore e rinviato a processo lo scorso luglio. Secondo le indagini, la presunta vittima aveva messo al corrente il vescovo degli abusi subiti, circostanza negata da Gisana.

Da chi sarebbe stato “perseguitato”, allora, mons. Gisana? Forse dalla giustizia, dagli atti processuali? Dalla testimonianza delle vittime? Davvero, nella Chiesa della “tolleranza zero”, si considerano “persecuzioni” le denunce di vittime di abusi?

Da chi sarebbe stato calunniato, se persino lui, il vescovo, ammette, testualmente (come da intercettazioni agli atti), di “avere insabbiato il caso”?

Cosa significa per papa Francesco essere un “uomo fermo”? Trasferire, come ha fatto Gisana, don Rugolo in altra diocesi, secondo una prassi più che consolidata nella gerarchia della Chiesa, giustificando l’iniziativa per “motivi di studio”?

Che cosa significa per papa Francesco essere un “uomo giusto”? Offrire, come ha fatto Gisana, a un sopravvissuto 25mila euro in contanti, presi dai fondi della Caritas, con una clausola di riservatezza?

Che cosa significa per Francesco essere un “bravo vescovo”? Fare carta straccia del motu proprio Vos estis lux mundi, trasferendo, nella mancanza di trasparenza, un prete accusato di abusi sessuali in altra diocesi e pensando così di tutelare le vittime? Non comunicare i dati sulle attività diocesane in merito alla gestione dei casi di abuso richieste dal primo report della Cei (2022), come ha fatto la diocesi di mons. Gisana?

Ma non è finita qui, perché al merito dell’apprezzamento si aggiunge la tempistica: le parole del papa infatti giungono proprio alla vigilia della requisitoria del pm e della discussione delle parti civili, in programma il 7 novembre, presso il tribunale di Enna.

Un pronunciamento di questo tipo da parte del papa fa comprendere che l’atteggiamento di tutela dell’istituzione è un habitus mentale e comportamentale intrinseco alla gerarchia. Una volta di più si conferma che la Chiesa non può riformarsi da sola. Una società civile laica e consapevole, come avviene in altri Paesi, dovrebbe fare la sua parte.

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