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Neoliberismo, terre e trattori

Neoliberismo, terre e trattori

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 8 del 02/03/2024

Quella che ormai è chiamata la protesta degli agricoltori o, meglio, la protesta dei “trattori” dai media di tutta Europa ha la sua origine in Germania dopo un drastico taglio ai sussidi erogati al mondo agricolo sul prezzo del gasolio effettuato dal governo tedesco per problemi di bilancio. Lo stesso che anche in Italia abbiamo con il nome di “gasolio agricolo” fornito alle aziende agricole a circa la metà del prezzo che abbiamo alle pompe di benzina per la mobilità privata e industriale.

Immediatamente siamo stati bombardati , stampa, televisione e social, da immagini di enormi trattori mobilitati per bloccare arterie stradali e presidi nelle aree urbane.

Da questo “rivolta dei trattori”. In tempi rapidissimi la protesta si è estesa sia geograficamente sia come contenuti delle rivendicazioni .coinvolgendo l’intera Europa.

La protesta degli agricoltori partita a causa dell’aumento dei costi energetici ha investito l’intera filiera della produzione industriale del cibo, mettendo in discussione i suoi meccanismi di leggi e regolamenti che ne configurano le modalità di lavoro e l’intero impianto di sussidi e incentivazioni di cui il comparto usufruisce da decenni.

Il primo dato da conoscere è proprio questo: nelle economie del mondo industriale occidentale, il settore primario, la produzione del cibo, l’agricoltura, non è autosufficiente economicamente ma si sorregge con un complicato sistema di incentivazioni (contributi pubblici) che, in Europa, arrivano anche a oltrepassare il 50% dell’intero bilancio dell’Unione.

È importante ricordare come a metà del secolo scorso, appena dopo i due conflitti mondiali, una intera classe contadina europea ha subìto la deportazione verso le città, verso le industrie che iniziavano a produrre il “benessere e il progresso” e come gli allora gruppi industriali abbiano trasformato le loro produzioni chimiche e meccaniche belliche in supporti all’agricoltura industriale nascente, bisognosa di energia (il petrolio), di acciaio e tecnologia (le macchine agricole) e di chimica (pesticidi, diserbanti e concimi). La cosiddetta rivoluzione verde poi ha globalizzato il fenomeno raccontando la menzogna della lotta alla fame in un mondo in espansione demografica. Puntualmente il mondo si è diviso in sviluppati e sottosviluppati.

Gli uni sono i produttori e i consumatori, gli altri sono i fornitori di materie prime a basso costo.

Dunque, ormai da settimane gli agricoltori sono scesi in strada con i propri trattori per protestare contro le politiche stringenti che li colpiscono; questi imprenditori agricoli, così definiti per legge, si ribellano alle imposizioni dei regolamenti e alle regole di fruizione dei contributi che, nelle ultime versioni, sentono come penalizzanti.

Tali misure si inseriscono nel solco della cosiddetta "transizione ecologica", formula ormai ambigua e oltremodo abusata. Vantandosi di andare verso una più "sostenibile" modalità di produzione del cibo, si è colta l’opportunità di aggiustare voci di bilancio sempre più insostenibili.

L’effetto immediato è stato quello di innescare un braccio di ferro con gli attori primari della filiera, drogati da decenni da un sistema che li ha resi consumatori passivi e dipendenti.

Queste proteste spesso sono accompagnate e sostenute anche da cittadini che in modo più o meno strutturato e consapevole si sentono in balìa di un sistema di cui non si fidano più, e che sentono anche di dovere contrastare, disertare, sovvertire.

Da una parte, quindi, il mondo della produzione del cibo industriale (gli imprenditori agricoli), quindi un modello energivoro, tossico e petrolifero, dipendente da input chimici e da spietati meccanismi finanziari capitalisti e neoliberisti (dinamiche globali di mercato regolate dai trattati sovranazionali), un modello neoliberista, ottimo per pochissimi negativo per tutti gli altri.

Dall'altra il Parlamento Europeo e le organizzazioni interne degli Stati membri, che sistematicamente hanno prodotto regolamenti e incentivazioni economiche producenti esattamente l'opposto delle belle e nobili finalità dichiarate nei decenni scorsi, riproducendo invece e consolidando il citato modello neoliberista . Quindi la stessa classe politica responsabile dell'attuale sfacelo sociale e ambientale diventa improvvisamente “green” ed impone la presunta transizione scaricando totalmente i costi su soggetti già gravati da decenni di politiche che hanno teso a salvaguardare non loro ma gli interessi delle multinazionali finanziarie, della produzione delle sementi, della chimica e delle biotecnologie, nonché del settore industriale della metalmeccanica .

Tutto fa pensare che l'attuale crisi del sistema con queste plateali proteste così mediaticamente sostenute, darà luogo a una transizione che vedrà imporsi la digitalizzazione e la manipolazione genetica come soluzione alle problematiche produttive e ambientali, ovvero quell’agricoltura 4.0 detta “di precisione”, e dei nuovi OGM detti TEA propagandati come "innovazione sostenibile", ripetendo all'infinito l'inganno della rivoluzione verde prima e della green-economy poi. Dopo aver analizzato e ragionato sulla complessità di questa protesta che in ogni situazione ha presentato facce diverse e contenuti molto distanti fra loro e dopo esserci interrogati come contadini e contadine che ruotano intorno alla galassia Genuino Clandestino (ma non solo, anche tutte le realtà sociali che dal basso si occupano di sovranità alimentare, collaborano con la Via Campesina, o semplicemente difendono i loro territori dall’agroindustria praticando agricoltura contadina agroecologica), ci appaiono evidenti alcune considerazioni.

Essere contadini significa infatti prendersi cura della terra, saperla comprendere, sentirsi come parte integrante di un sistema articolato e interdipendente, delicato, complesso ma anche capace di rigenerarsi con o senza di noi; significa intendere l’agro-ecosistema come relazioni tra viventi e non, l’acqua, l’aria, il suolo, le montagne, il mare ecc. e non come spazio inerte da manipolare e sfruttare adottando l’una o l’altra tecnologia. La pratica quotidiana dell’agricoltura agro-ecologica ci pone completamente su un altro piano: le considerazioni sul modello agricolo da adottare e difendere non hanno basi semplicemente economiche, né sono legate a interessi particolari e corporativi. Ciò che conta, per noi, è produrre cibo sano e di qualità, da distribuire il più possibile sul territorio, senza sfruttamento dell’umano sull’umano e dell’umano sull’ambiente attraverso modalità di agire che tentano costantemente di costruire agroecosistemi sostenibili.

La parola sostenibilità, pronunciata in un contesto ambientale, significa una sola semplice cosa: utilizzare risorse fino al limite che un ambiente può produrre e produrre rifiuti fino al limite che un ambiente può smaltire naturalmente .

Ci stanno strette quindi analisi semplicistiche tra agricoltori “cattivi” e istituzioni “buone” e viceversa, così come l’appiattimento del dibattito pubblico su una dicotomia che relega la scelta tra la padella e la brace.

Con la consapevolezza che siamo parte dell’ecosistema dobbiamo metterci in testa che distruggerlo significa distruggere noi stessi.

L’ecologia non si può delegare solo ai regolamenti e alle leggi, dobbiamo praticarla nelle nostre vite. Non potrà mai esistere una vera transizione ecologica della nostra società se non partiamo dalla produzione locale e agrecologica del cibo e questo non è possibile con la struttura sociale che ci siamo dati (o ci hanno consigliato o imposto).

Oggi nelle realtà del mondo sviluppato e industriale gli addetti alla produzione del cibo sono sotto la soglia del 5% (Europa media 3,5%). Con queste proporzioni e con la nostra attuale distribuzione sui territori (l’80% di noi vive in città) l’agricoltura contadina agroecologica non è possibile. Nel mondo questi dati sono ancora in forte evoluzione, da che parte vogliamo andare?

Giovanni Pandolfini, Comunità di Mondeggi bene comune (FI), Genuino Clandestino (https://genuinoclandestino.it/)

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