Lettera aperta a quanti vogliono riscoprirsi Chiesa
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 14 del 13/04/2024
«Pregate per me» raccomanda a tutti papa Francesco, sin dalla prima uscita il giorno delle elezioni sul balcone di piazza san Pietro, ma ora sempre più frequentemente aggiunge, con tono divertito ma non ingenuo: «mi raccomando a favore, non contro». Sono trascorsi da poco undici anni di pontificato e le tensioni all'interno della Chiesa cattolica sembrano accentuarsi o perlomeno vengono sempre più allo scoperto. Al di là delle beghe personali o delle solite lotte di potere, purtroppo presenti anche tra i discepoli di Cristo, sono in gioco due modelli di Chiesa che faticano sempre di più a convivere. Spesso si parla di scontro tra conservatori e progressisti ma i termini mutuati dalla politica sono fuorvianti in ambito ecclesiale perché nella Chiesa il vero progressista è colui che vuole conservare il nucleo originante la fede, eliminando le incrostazioni dovute allo scorrere dei secoli, e il vero conservatore vuol fare arrivare nell'oggi il messaggio autentico del vangelo. In pratica, paradossalmente, le due figure nella Chiesa finiscono per coincidere.
Non è dunque la contrapposizione tra conservatori e progressisti il vero terreno di scontro bensì fra «clericalismo, con la mentalità patriarcale e la mascolinizzazione generalizzata della chiesa» (José Maria Álvarez), e una visione sinodale, cioè un camminare insieme di tutto il popolo di Dio in ascolto dello Spirito Santo al servizio del mondo.
E questa è la vera missione della Chiesa. Il tentativo vano di delegittimare papa Francesco da parte di frange integriste, supportate anche da vescovi e cardinali, nasce proprio dalla paura di sporcarsi le mani nella storia, dal voler contrapporre la Chiesa al mondo non accettando il concetto evangelico che la Chiesa non è un’entità a sé ma è il lievito inserito nella pasta che è il mondo, è sale che deve dare sapore alla società.
Un passo indietro. Papa Giovanni XXIII ebbe la grande intuizione profetica di un Concilio, celebrato dal 1962 al 1965 in Vaticano per la seconda volta, e dunque Concilio Vaticano II, che non fosse in difesa della fede, per arginare eretici ed eresie, ma, per la prima volta, per «rendere ragione della speranza» che anima i credenti, usando un linguaggio e uno stile che rispondesse alle attese del nostro tempo. I semi innovatori, profusi nei testi conciliari, faticarono a farsi strada a causa delle resistenze dovute anche ai papi che si succedettero, dalle forti personalità accentratrici e spesso nostalgici a oltranza dei tempi passati.
Finalmente con papa Francesco quei semi, cresciuti oltre misura, sono venuti fuori come piante rigogliose con cui non si può più non fare i conti. Come il magma che ribolle nel ventre della terra, quando trova un condotto vulcanico, squarcia il terreno e crea dei crateri, senza più la possibilità di ostruirli, e la lava inonda i terreni al punto da trasformarli e rimodellarli, così sta accadendo oggi per la Chiesa.
La Chiesa, per secoli, fu intesa come società perfetta, che aveva molto da insegnare e poco da imparare; oggi invece viene percepita, per usare un'immagine di papa Francesco, come ospedale da campo per curare le ferite sia spirituali che fisiche. Il modello diventa il buon samaritano (Luca 10,25-37) che soccorre una persona trovata ferita in strada e se ne prende cura, senza lesinare tempo e denaro. Quello che ha fatto Cristosamaritano deve fare anche la Chiesa che ne è il sacramento, cioè il segno visibile! Il vescovo Tonino Bello, attingendo al Cristo che lava i piedi degli apostoli, parla della Chiesa che deve indossare il grembiule per servire l'umanità.
Si contesta papa Francesco anzitutto perché sta cercando finalmente di attuare il Concilio facendo emergere la nuova visione del mondo e della storia; per l'attenzione nei confronti di migranti, profughi, richiedenti asilo, che hanno la colpa di cercare una terra accogliente; per il suo porsi dalla parte dei movimenti sociali, che rivendicano il diritto di essere a pieno titolo cittadini di questo mondo chiedendo con forza «terra, lavoro e casa»; perché alza la voce per difendere gli «scarti umani» di questa società; finanche per aver consentito la benedizione degli omosessuali, che è cosa buona, quando si sono benedetti, per secoli, senza fare una grinza, armi ed eserciti, mafiosi e sfruttatori del sudore umano; per aver messo al centro la salvaguardia del creato, di cui siamo custodi non padroni; perché esprime la certezza evangelica che se siamo «fratelli tutti» è necessario riconoscere la dignità di ogni persona per far rinascere un'aspirazione mondiale alla fraternità. Certo, non tutto va per il meglio, ci sono ancora ritardi e lentezze nel cammino della Chiesa che deve scommettere sulla sinodalità senza tentennamenti e portarne le conseguenze fino in fondo, che deve ridefinire la ministerialità, e quindi l’accesso delle donne ai ministeri ordinati, l’ordinazione di uomini sposati, ecc.
E poi c’è il suo impegno a oltranza per la pace. È sua l'intuizione e la denuncia che si sta combattendo la terza guerra mondiale a pezzi. Come può tacere di fronte alla guerra che in Ucraina stanno combattendo gli Stati Uniti e l'Europa contro la Russia o sui massacri perpetrati da Israele contro i Palestinesi? Che altro può fare un papa se non schierarsi apertamente, a costo di essere profeta visionario inascoltato?
Immodestamente è ciò per cui anch’io lotto da una vita e finalmente mi sento legittimato a proseguire e a radicalizzare ulteriormente le scelte che mi vedono coinvolto e che ho fatto mie, anche quando sembrava che la Chiesa istituzionale andasse per altri sentieri.
Antonio Di Lalla è parroco a Larino (CB).
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