
Gaza: tra diritto e brutalità, da che parte state? Appello alle istituzioni italiane e UE
Il 28 maggio scorso Spagna, Irlanda e Norvegia hanno riconosciuto formalmente lo Stato di Palestina. Una decisione che rappresenta – spiega la Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace e il Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca” dell’Università di Padova in un appello a firma congiunta – «un segno concreto della volontà di riconoscere il diritto all’esistenza del popolo palestinese contro il folle ma evidente tentativo di disumanizzarlo e di espellerlo dalla propria terra». Il 10 maggio scorso poi, in sede Onu, 143 Paesi (su 193) si sono detti favorevoli all’inserimento della Palestina come 194.mo Stato membro delle Nazioni Unite, riconoscendo i confini del 4 giugno 1967 e Gerusalemme Est come capitale.
L’Italia, attesta con amarezza il documento, «si è astenuta». Eppure, si legge ancora nel testo, di fronte alla reiterata strage di civili nella Striscia di Gaza, ormai «sappiamo, vediamo, ascoltiamo, ma cosa facciamo?».
Intanto la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) delle Nazioni Unite e la Corte Penale Internazionale (CPI) – istituita con lo Statuto di Roma nel 1998 – si sono espresse sulla grave responsabilità di Israele nel massacro dei palestinesi. Ma Paesi come Stati Uniti, Russia, Cina e Israele non hanno riconosciuto la giurisdizione obbligatoria della CIG e non hanno ratificato lo Statuto di Roma.
Il seguito del documento-appello riporta nel dettaglio i tre pronunciamenti della CIG: l’ordinanza del 26 gennaio 2024, in seguito all’iniziativa del Sudafrica, che impone a Israele una serie di misure per scongiurare la violazione della “Convenzione per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio” del 1948, ratificata da Israele nel 1950; e poi il pronunciamento del 16 febbraio seguente, arrivato dopo aver constatato che Israele non ha mosso un dito nella direzione auspicata dall’ordinanza precedente, che ne chiede rapida attuazione; stesse raccomandazioni sono arrivate anche il 24 maggio 2024, imponendo inoltre l’immediato stop all’operazione militare su Rafah, la fornitura senza ostacoli degli aiuti umanitari attraverso il Valico di Rafah, la garanzia dell’accesso libero a Rafah degli ispettori Onu preposti a investigare sulle possibili violazioni dei diritti umani e sul rischio di genocidio.
Iniziativa di peso anche quella del 20 maggio scorso del procuratore capo della CPI, il quale ha indagato per crimini di guerra e crimini contro l’umanità nella Striscia e ha poi presentato alla Corte una richiesta di mandato d'arresto contro il premier israelianoa Benjamin Netanyahu, il suo ministro della Difesa, Yoav Gallant, e tre leader di Hamas (tra i quali anche il vertice Yahya Sinwar). Le accuse mosse contro i leader israeliani – si legge nel documento – «sono pesantissime»: stragi intenzionali, fame e inedia come arma di guerra, trattamenti crudeli di massa, popolazione civile scientificamente fatta bersaglio dell’aggressione. Secondo le prove raccolte dal procuratore della CPI Israele si sarebbe spinto ben oltre quel “diritto alla difesa” tanto sbandierato dopo il 7 ottobre, violando criminosamente e sistematicamente il diritto internazionale.
Secondo la Fondazione PerugiAssisi e il Centro “Antonio Papisca” la comunità internazionale deve intervenire in maniera rapida e decisa per ripristinare il diritto nella Striscia di Gaza e per punire i colpevoli di tanta sofferenza, superando l’ostruzionismo dei singoli Paesi amici di Israele, che tentano continuamente di svilire l’autorità delle Nazioni Unite – che pure prevale su quella dei singoli Stati in ambito di pace e sicurezza – lasciando impunito e indisturbato lo Stato alleato.
L’appello è rivolto anche ai governanti dell’Unione Europea e d’Italia, affinché decidano «da che parte stare. Dalla parte dell’ONU, del multilateralismo e del diritto internazionale, oppure dalla parte di coloro che, in una logica ancora tutta hobbesiana, westfaliana, statocentrica e dunque belligena, rifiutano autorità sopraordinate agli Stati, agiscono unilateralmente o per coalizioni e rifiutano di rispettare le norme internazionali stabilite con la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale». Secondo i due firmatari dell’appello, «non c’è una via di mezzo»: o dentro o fuori dell’ordinamento giuridico internazionale; o con i diritti o con l’ordine gerarchico dove prevale «la legge della forza sulla forza della legge».
«L’Italia e l’Unione Europea che hanno nel loro DNA i valori del ripudio della guerra, del rispetto della dignità umana e dei diritti umani, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza e dello stato di diritto – conclude il documento – non possono più tacere. Non hanno più alibi. Devono dire ai cittadini e alle istituzioni che invocano pace e giustizia, da che parte stanno».
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