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Processo contro l'Eni: sarà la Cassazione a stabilire se in Italia si possono intentare cause climatiche

Processo contro l'Eni: sarà la Cassazione a stabilire se in Italia si possono intentare cause climatiche

ENI è una delle aziende italiane più inquinanti al mondo in termini di emissioni di gas serra e il maggior emettitore di CO2 in Italia. Per questo Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini hanno deciso di intentare una causa climatica contro ENI e i suoi azionisti Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), ritenuti responsabili di danni alla salute, all’incolumità e alle proprietà, messi in pericolo per effetto delle conseguenze del cambiamento climatico.

La denuncia era stata presentata alla seconda sezione civile del Tribunale ordinario di Roma. Questa però ha rinviato alla Corte di Cassazione la decisione sulla procedibilità di tale processo civile. L’eccezione era stata sollevata proprio da ENI, CDP e MEF che sottolineavano «il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito», ovvero contestando la possibilità di procedere con una causa climatica davanti a una corte ordinaria.

Un motivo di improcedibilità a sua volta contestato da Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini aderenti al quella che chiamano la “Giusta Causa”, che avevano fatto ricorso alla Suprema Corte per chiedere di pronunciarsi in merito. Il provvedimento del Tribunale Civile di Roma ha dunque negato che il ricorso presentato fosse manifestatamente inammissibile riguardo alla tempestività e alla giurisdizione, né manifestatamente infondato nelle ragioni della contestazione. Ha quindi avallato le richieste di cittadine e cittadini, Greenpeace Italia e ReCommon sospendendo il processo ordinario. Sarà quindi la Corte di Cassazione a esprimere la sua posizione vincolante sulle cosiddette climate litigation (azione legali quale mezzo nel contrasto al riscaldamento climatico) e sulla loro procedibilità.

«La responsabilità di ENI sulla crisi climatica – si legge sul sito di Greenpeace  – è oramai conclamata. ENI infatti è responsabile a livello globale di un volume di emissioni di gas serra superiore a quello dell’intera Italia, essendo così uno dei principali artefici del cambiamento climatico in atto. ENI e le altre compagnie petrolifere sono consapevoli da oltre cinquant’anni dell’impatto che le loro attività hanno sul clima, tanto da mettere in atto strategie di lobby e di greenwashing per mascherare le proprie responsabilità».

«Sarebbe paradossale – commenta in un comunicato di oggi ReCommon  – che in un Paese dell'Unione europea, che continua a sbandierare degli obiettivi climatici almeno sulla carta ambiziosi, si finisca per non poter istruire una climate litigation. Tanto per comprendere la rilevanza di queste cause, le Nazioni Unite a tutto dicembre 2022 ne avevano mappate ben 2.180 in 65 paesi. Inoltre, in base a uno studio reso pubblico lo scorso giugno dal Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment della London School of Economics and Political Science, si può senza dubbio affermare che sono in costante crescita le cause contro aziende private, perché con le loro attività contribuiscono a fiaccare la salute del pianeta».

«L'ente inglese – aggiunge il comunicato – certifica che dal 2015 sono state avviate circa 230 cause legali contro società fossili e associazioni di categoria, di cui più di due terzi dal 2020. Tra i casi più eclatanti, quello vinto in primo grado dagli ambientalisti nel 2021 in Olanda contro la più potente multinazionale fossile europea, la Shell, e quello recente che ha visto le Klima Seniorinnen “trionfare” presso la corte Europea dei Diritti Umani  contro il governo elvetico.

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