
Ecofemminismo: storia lunga e non riconosciuta
Tratto da: Adista Documenti n° 37 del 26/10/2024
Si potrebbe dire che l’ecofemminismo sia quasi un fantasma che si aggira da oltre 50 anni tra movimenti ecologisti e soprattutto femministi senza che sia mai entrato al centro della discussione politica come del resto merita. Si potrebbe quasi dire che sia un rimosso da ambedue gli ambiti.
La definizione nasce con Francoise d’Eaubonne nel 1974 e da allora come una specie di rivolo sotterraneo ha scavato un solco arricchendosi di molte e complesse impostazioni teoriche. Nel rapporto che individua nella questione ambientale il principale momento di oppressione delle donne si sono nel tempo posizionati molti approcci spesso contrapposti e divergenti, perché le donne hanno dovuto lottare nel corso della storia contro la subordinazione a un destino biologico che le escludeva dal dominio della cultura riservata agli uomini. Inoltre, il dibattito all’interno dell’ecofemminismo e non solo si è nel tempo arricchito di apporti che venivano da culture dell’Oriente, in primis il buddismo; e infatti il primo movimento delle donne che viene identificato come tale è stato quello delle donne Chipko nel 1973, in India, che abbracciavano gli alberi per opporsi alla deforestazione.
Nel mondo occidentale l’ecofemminismo si manifesta condizionato dalla tradizione filosofica sia della contrapposizione di natura e cultura che da approcci più manifestamente legati alla New Age e allo spiritualismo. Ci sono quindi molte madri o, meglio, maestre di pensiero alle quali l’ecofemminismo deve molto, a partire dall’analisi sulla tragedia della perdita di biodiversità, che provoca lo sfruttamento della natura a opera delle multinazionali dell’agribusiness, compiuta da Vandana Shiva fin dagli anni 80. Paradossalmente la sua riflessione influenzerà più i movimenti contro la brevettazione del vivente che il movimento delle donne che, specie in Italia, si sente minacciato dalla paura dell’essenzialismo ogni volta che il richiamo a Madre Natura si affaccia nel dibattito.
Si registra tuttavia, nel corso dei decenni, che la presenza delle donne nei movimenti politici legati all’ecologia sia rimarchevole. E, dato dimenticato (rimosso?), porta ad avere nel gruppo parlamentare dei Verdi in Italia nel 1987, nel corso della X legislatura, una maggioranza di elette. Questa presenza di donne contribuisce molto all’avanzamento delle donne nella scena politica, ma non si presenta come presenza ecofemminista.
Parallelamente, nell’ambito della ricerca storico-filosofica, sia negli USA che in Italia, la figura della Dea Madre e del matriarcato permette di acquisire una prospettiva più ampia nel centrare la donna e il suo rapporto con le specie viventi non umane. Parallelamente, si approfondisce la riflessione in campo accademico, principalmente sul Materno e sulla Dea\Madre nelle società arcaiche prima dell’era cristiana dove si individua la presenza di caratteri egemonici legati al femminile che mostra come la potenza della riproduzione si imponga come paradigma totalizzante. Madri e raccoglitrici.
Sulla scena politica
Se sul piano della scena politica l’ecofemminismo non si presenta con un’unicità di parole, è pur vero che ad esso si deve negli anni ‘80, in Italia, la prima e unica manifestazione femminista per la contestazione del nucleare dopo Chernobyl.
Un altro elemento all’interno della complessità degli approcci è sicuramente costituito dal rapporto tra le donne e le altre specie viventi alla base dei movimenti anticaccia e animalisti, diventati nel corso del tempo sempre più influenti e che si basano sulla corrispondenza tra la violenza perpetrata nell’uccisione degli animali alla violenza del patriarcato sulle donne, sottolineandone il continuum culturale tra i due elementi.
Parimenti proficuo appare, specie alla luce delle discussioni attuali, la presa di posizione dei movimenti ecofemministi contrari alla maternità surrogata a partire dalla difesa della naturalità del parto, così come l’opposizione agli organismi geneticamente modificati sviluppati dalle multinazionali dell’agribusiness e che causano quella perdita di sovranità alimentare così rilevante per i Paesi del Sud del mondo.
Una mancata comune riflessione tra ecofemminismo e pensiero della differenza sessuale mostra allo stesso tempo quanto sia rilevante l’ampiezza della posta in gioco. Questo anche se l’appello al valore della diversità rimane una costante del movimento ecofemminista, che rivendica come la salvaguardia della Terra si basi sulla triade “Diversità, Nonviolenza e Cura”. La trama della Vita che avvolge il pianeta ha mostrato come superato e inefficace l’approccio meccanicistico nella scienza finora alla base dell’industrialismo, che ha portato alla situazione attuale soprattutto a partire dall’Occidente.
Biopirateria ed emergenza climatica
Tra ecofemminismo e quelle che vengono definite politiche della pari opportunità, all’interno del quadro legislativo e istituzionale ormai corposo a partire dalla Conferenza Mondiale delle donne di Pechino del 1995, si è sviluppato un confronto che potremmo definire “a distanza”, in quanto non sempre il riformismo alla base dei provvedimenti, sia nazionali che europei, riesce a cogliere la ricchezza e sia pure la complessità delle istanze ecofemministe. A prova di questa difficoltà c’è lo scarso rilievo che viene dato alle straordinarie battaglie delle donne indigene a livello globale che manifestano l’irriducibile istanza per la sopravvivenza delle popolazioni e la salvaguardia della biodiversità dei luoghi da sempre appartenuti alle loro comunità. Le “Guardianas de Semillas” (guardiane dei semi) presenti in alcuni Paesi dell’America Latina fin dagli anni ‘90 dimostrano la capacità delle donne e dell’ecofemminismo di intercettare le migliori istanze di cambiamento e di combattere la biopirateria delle multinazionali.
Questa ricchezza di istanze e di approcci ha dovuto fare i conti con la necessaria risposta da dare alla violenza sessuale, fenomeno ormai planetario che rischia di offuscare la forza delle donne sulle questioni strategiche da affrontare, in primis l’Emergenza Climatica; la quale non è questione neutra, ovvero colpisce in maniera differenziata, uomini e donne, sia nelle società occidentali che nei Paesi cosiddetti in via di sviluppo. Si può fare un solo rilevante esempio, che è quello dell’abitare e delle conseguenze che la crisi climatica ha sulle donne e sugli stili di vita, non solo perché della casa le donne si sono sempre occupate avendovi un ruolo specifico, ma anche perché le tecnologie di comunicazione cambiano la relazione con lo spazio e col tempo, che non può prescindere dalla soggettività femminile. Oppure, allargando lo sguardo, possiamo vedere come la povertà energetica, nuova emergenza dovuta alla tragedia della guerra russo-ucraina in atto, si abbatta sulla qualità della vita delle donne stesse, non solo perché incide in maniera pesante sul reddito familiare, ma anche perché le donne sole sono in costante aumento.
Ecofemminismo, parametro di una nuova società
L’ecofemminismo si pone quindi come parametro di una nuova possibile società, forse l’unica praticabile per il superamento dell’Antropocene che sta portando il pianeta alla sua distruzione. La rilevanza che oggi hanno i valori della realizzazione di comunità solidali che assumono la rinaturalizzazione e la riconversione ecologica come parametro di pratica quotidiana interpella le donne in maniera fortissima e nella realtà sociale qualcosa sta mutando anche se spesso si fa fatica ad accorgersene.
Si potrebbe persino parlare di un nuovo ecofemminismo, quello che porta le nuove generazioni di donne a non ragionare solo per opzioni ideologiche o di appartenenza, quanto per quello che potrebbe definirsi come un nuovo sguardo sulla vita stessa. Non potrebbe spiegarsi altrimenti la grande presenza di donne nelle azioni di volontariato, sia relativamente al proprio territorio locale che a livello internazionale. Sono le donne, ad esempio in Veneto, in prima fila nella battaglia contro i PFAS, sostanze chimiche altamente tossiche e permanenti; sono le donne molto presenti nella questione dell’alimentazione, intesa sia come educazione alimentare che come lotta allo spreco del cibo, e si potrebbe continuare.
Del resto, sul corpo delle donne si gioca oggi forse la più grande delle battaglie, e cioè quella del controllo della riproduzione: il tentativo in atto di espropriare le donne di quello che avviene dal concepimento alla nascita e successivamente a questa. Ma i movimenti legati all’ecofemminismo saranno un argine non secondario a quella donna-cyborg che alcune pensano sia una conquista necessaria o quanto meno un destino ineludibile al quale rassegnarsi. E sarà una battaglia che dimostrerà come l’ecofemminismo non è una visione semplicemente contro, ma l’unico orizzonte possibile per la nostra specie.
Titta Vadalà è ecologista, da molti anni impegnata nel movimento sia ambientalista che delle donne. Ha partecipato a battaglie internazionali per la difesa delle popolazioni indigene e fa parte del Gruppo internazionale della Casa delle Donne di Roma.
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
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