
Donne in Africa: giustizia di genere contro il patriarcato
Tratto da: Adista Documenti n° 37 del 26/10/2024
«Non vedo distinzione
tra ambientalismo
e femminismo.
È difficile per me distinguere s
e porto avanti la mia lotta
come donna o semplicemente
come essere umano
che cerca di garantire
che tutti ottengano
i propri diritti»
[Wangari Maathai]
Secondo l'Harvard College Women's Centre, l'ecofemminismo mette in evidenza come una società patriarcale mantenga il dominio su individui discriminati per il genere e sulla natura, sostenendo che i suoi criteri portano a una comprensione inadeguata dell'universo. Chi sostiene l'ecofemminismo promuove una visione alternativa che celebra la vita, riconosce l'interdipendenza dell'umanità con il mondo naturale e considera l'ambiente sacro. La prospettiva africana sull'ecofemminismo si basa sui sistemi di sapere indigeni, sulla confluenza tra disuguaglianza di genere e sfide ambientali e sull'impegno delle donne africane contro il degrado ambientale e la marginalizzazione socioeconomica. L'accento non è posto solo sulla salvaguardia dell'ambiente, ma anche sul recupero dell'autonomia, della sovranità e sulla costruzione di mezzi disussistenza sostenibili per le comunità. L'ecofemminismo africano affronta l'eredità del colonialismo riconquistando i diritti alla terra indigena e la gestione ambientale, che un tempo erano appannaggio delle donne africane. Sfida il patriarcato dando potere alle donne perché guidino pratiche sostenibili e lottino contro le disuguaglianze di genere, affrontando al contempo la marginalizzazione razziale ed etnica nelle comunità colpite in modo sproporzionato dal degrado ambientale. Resistendo allo sfruttamento capitalistico e promuovendo lo sviluppo sostenibile, le ecofemministe africane lottano per una giustizia ecologica che promuova sia l'ambiente che le donne che dipendono da esso per la loro sussistenza.
Custodi della terra per un futuro sostenibile
Le donne africane guidano iniziative dal basso per difendere i diritti alla terra, conservare le risorse idriche e mantenere la biodiversità, lottando sia per l'uguaglianza di genere che per la sostenibilità ecologica. Promuovono la giustizia ambientale e danno fiducia alle donne nel guidare attività di salvaguardia attraverso manifestazioni, cause legali e progetti comunitari. L'ecofemminismo in Africa comprende la rivendicazione della conoscenza e del patrimonio culturale indigeni, allo scopo di onorare la saggezza degli antenati e garantire un futuro sostenibile. Comprende anche l'incorporazione, nelle strategie moderne di salvaguardia ambientale, di pratiche tradizionali come la gestione delle risorse naturali, l'agricoltura sostenibile e la conservazione dei semi.
Storicamente, l'ecofemminismo può essere fatto risalire alle pratiche tradizionali africane in cui le donne sono sempre state custodi della terra e dell'ambiente. C’erano ruoli molto definiti, e la società è rimasta ingran parte patriarcale. Gli uomini svolgevano gran parte del lavoro con gli animali mentre le donne si occupavano della casa e dei campi. In aree come la Nigeria meridionale, le colture alimentari venivano generalmente coltivate insieme sotto una copertura di alberi sparsi. Questo sistema conserva l'energia umana sfruttando al massimo lo spazio limitato nella foresta fitta. È anche un mezzo economico per combattere l'erosione e il dilavamento e per mantenere la fertilità del suolo. I ruoli e le pratiche hanno influenzato e incoraggiato le donne a prestare maggiore attenzione all'ambiente, perché ne riconoscevano l'essenzialità per il sostentamento delle famiglie.
Una cura e mille ostacoli
Sempre più donne stanno subendo gli effetti del cambiamento climatico. Sono le protettrici della natura; sono le più vulnerabili e colpite dalle carenze alimentari legate al clima. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, poiché a livello globale hanno meno ricchezza monetaria e dipendono maggiormente dall'ambiente naturale, le donne tendono a essere più spesso costrette a sfollare a causa del cambiamento climatico, e devono percorrere distanze maggiori per procurarsi risorse come l'acqua, poiché le stagioni secche diventano più frequenti. Secondo il Programma dell'Unione Africana per lo Sviluppo delle Infrastrutture in Africa, le donne nell'Africa subsahariana trascorrono 40 miliardi di ore all'anno a raccogliere acqua, l'equivalente di un anno di lavoro per l'intera forza lavoro francese. Questa mancanza di investimenti influisce sulla partecipazione delle donne alla conservazione e alla salvaguardia ambientale, nonché sull'autonomia femminile.
Uno studio di Global Citizen mostra che l'aumento della violenza di genere deriva da un maggior numero di matrimoni infantili nella regione del Sahel in Africa. Questi matrimoni sono motivati dalla necessità delle famiglie povere di sopravvivere alla carestia e alla siccità; pertanto, le bambine o abbandonano la scuola o vengono date in sposa a famiglie ricche in cambio di denaro o di un appezzamento di terra. Per logica, il gruppo di persone più colpito dal degrado ambientale dovrebbe essere quello più attivo nei movimenti per l'azione climatica. La dottoressa Melania Chiponda, ecofemminista dello Zimbabwe, ha osservato che le donne sono più vulnerabili ai disastri climatici come inondazioni, cicloni e frane, mentre gli uomini vanno avanti con la loro vita in modo più disinvolto, lasciando le donne da sole a pensare al sostentamento delle loro famiglie. Questo è il motivo per cui le donne sono in prima linea come custodi dell'ambiente.
Ecofemministe africane
Wangari Maathai (Kenya): Nota principalmente per essere stata la prima donna africana a ricevere il Premio Nobel per la Pace, ha attirato l'attenzione globale sul fatto che tutte le donne sono custodi del pianeta. Attraverso il Green Belt Movement, ha dato alle donne gli strumenti per proteggere l'ambiente e migliorare il loro sostentamento. Le viene attribuito il merito di aver dimostrato il legame stretto tra femminismo africano e attivismo ecologico africano, che combattono i meccanismi patriarcali e neocoloniali che indeboliscono il continente, affrontando anche il governo. Ha subìto minacce di stupro e mutilazione genitale da parte di chi tentava di ricordarle il suo posto di donna.
Fatimata M’baye (Mauritania): È un'ecofemminista e avvocata dei diritti umani che si batte per la giustizia ambientale e i diritti delle donne, in particolare nel contesto del cambiamento climatico e della desertificazione nell'Africa occidentale. Il suo lavoro comprende l'impegno a mitigare l'impatto della desertificazione sulle donne delle campagne sostenendole nel garantire i diritti alla terra e l'accesso a tecniche agricole sostenibili. Il suo impegno esplora l'intersezione tra genere, cambiamento climatico e giustizia sociale, sostenendo politiche che proteggano gli ecosistemi a rischio e le donne che ne dipendono.
Hindou Oumarou Ibrahim (Ciad): Attivista ambientale, unisce l'ecofemminismo all'attivismo indigeno per proteggere le risorse naturali e aumentare la rappresentanza delle donne nelle discussioni sul clima. Alla guida di iniziative miranti a catalogare le risorse naturali usando la conoscenza tradizionale, ha permesso alla sua comunità nomade Mbororo di adattarsi al cambiamento climatico. Il lavoro di Ibrahim ha avuto un'influenza globale, influenzando le politiche climatiche e promuovendo la diversità in contesti come le Nazioni Unite.
Mariama Sonko (Senegal): È la leader del movimento Nous Sommes la Solution (Noi Siamo la Soluzione), che si è diffuso con successo in altri Paesi dell'Africa occidentale, come Guinea, Ghana, Mali e Burkina Faso. L'obiettivo del movimento è quello di dare potere alle donne delle aree rurali dell'Africa occidentale affinché adottino pratiche agricole sostenibili e recuperino le competenze agricole tradizionali. Promuove l'agroecologia, che aiuta le donne a combattere il cambiamento climatico attraverso la conservazione dei semi, l'agricoltura biologica e la salvaguardia dell'acqua. I suoi sforzi hanno non solo migliorato la sicurezza alimentare, ma hanno anche rafforzato la leadership delle donne nella sostenibilità ambientale in Senegal e altrove.
Adenike Titilope Oladosu (Nigeria): È principalmente conosciuta per il suo impegno nella promozione di pratiche sostenibili in tutta l'Africa. In qualità di fondatrice di iLeadClimate, ha guidato iniziative di base per la riforestazione e l'educazione climatica, con un'enfasi particolare sulla regione del Lago Ciad, che è gravemente colpita dal cambiamento climatico. Il suo lavoro ha avuto un impatto sui dibattiti sulle politiche climatiche, dando voce a donne e popolazioni indigene che lottano per la sostenibilità ambientale e la giustizia.
Le ecofemministe africane affrontano enormi ostacoli, tra cui un patriarcato radicato, lo sfruttamento delle risorse da parte di multinazionali e la mancanza di supporto istituzionale, che limita frequentemente la partecipazione femminile alle questioni ambientali. Queste barriere sociali e politiche pesano sulla loro capacità di influenzare le politiche e di ottenere diritti sulla terra e sulle risorse, complicando ulteriormente la loro lotta per la giustizia ecologica. Malgrado questi ostacoli, esse dimostrano un'incredibile resilienza e inventiva, e sono alla guida di programmi di base che promuovono pratiche sostenibili e attività di conservazione comunitaria. Organizzando proteste, fondando cooperative e recuperando conoscenze indigene, non solo combattono le ingiustizie strutturali, ma sviluppano anche un forte senso di comunità e di empowerment tra le donne, portando a cambiamenti concreti nelle loro comunità.
Un approccio innovativo
Il potenziale per la diffusione delle pratiche ecofemministe in Africa diventa sempre più chiaro, soprattutto man mano che gli effetti del cambiamento climatico diventano più gravi. Giovani donne africane si stanno unendo al movimento ecofemminista, combinando l'attivismo ambientale tradizionale con i progressi tecnologici e il potere delle piattaforme digitali. Questa generazione utilizza i social media per promuovere la consapevolezza, mobilitare le comunità e fare campagne per la giustizia climatica, raggiungendo con successo un pubblico più vasto e influenzando i dibattiti politici. Il loro approccio innovativo mescola iniziative di base con tecnologie moderne, consentendo loro di affrontare le sfide ambientali e, al contempo, di promuovere un senso di comunità e solidarietà tra le donne.
Gli sforzi delle donne africane risuonano oltre i confini e le culture e forniscono modelli per lo sviluppo sostenibile, la giustizia di genere e la salvaguardia ambientale. Il loro impegno non solo combatte le ingiustizie locali, ma contribuisce anche ai dibattiti globali sul cambiamento climatico e sull'equità. Dando maggiore forza alle loro voci e attività a livello globale, possiamo promuovere una risposta più inclusiva ed efficace alle gravi questioni ambientali che oggi si pongono.
Sophie Gai è avvocata dell’Alta Corte del Kenya con un background in energie rinnovabili, diritti umani e sviluppo sostenibile. Ha collaborato con diverse organizzazioni contribuendo alla ricerca su moda etica, emancipazione femminile e sostenibilità ambientale. Si occupa di volontariato, ambiente e arte.
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
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