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Dare all’etica una nuova dimensione

Dare all’etica una nuova dimensione

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 43 del 14/12/2024

Una riflessione teologica e pastorale – ma anche dai risvolti pratici per l’impegno dei fedeli sul punto di vista del cristianesimo ortodosso italiano, rispetto al “grido di dolore” della Terra, i cambiamenti climatici e la sacra responsabilità radicata nel rispetto e nella difesa della Creazione – interroga nel profondo il rapporto, in una società secolarizzata, tra le basi spirituali della cura della Natura e le azioni e i comportamenti concreti e quotidiani di ogni cristiano ortodosso. Qualche anno fa, in un saggio di bioetica ambientale, ho coniato un neologismo, che ha avuto una certa fortuna nel dibattito scientifico e neuroetico su questi temi: Ecobioetica.

L’approccio muove le mosse dalla sconsolata presa d’atto che sistemi globali e le istituzioni internazionali non hanno sinora saputo offrire, rispetto al dissesto dell’ambiente, risposte soddisfacenti: gli interessi a breve sembrano sopravanzare di fatto i doveri di responsabilità per il futuro. Occorre dare all’etica una dimensione nuova, un imperativo ontologico ed “ecobioetico”, che unisca credenti e non credenti in una sfida morale senza precedenti.

La responsabilità verso le generazioni future del degrado del Pianeta, trascurata per secoli dall’evoluzione del pensiero filosofico e giuridico, con l’unica eccezione degli scritti magistrali di Hans Jonas (nella seconda metà degli anni Settanta), è divenuta, negli ultimi due decenni, il tema centrale di molte osservazioni critiche, non senza allarmismi eccessivi o astrattismi inconcludenti, nel discorso bioetico e politico. Venendo al tema, pur lontano da alcune posizioni generali di Jonas, ho rilevato significative analogie tra il finalismo dell’autore, la sua critica al prometeismo e la sensibilità ortodossa per il ruolo dell'umanità come custode della terra, dal passaggio significativo in Genesi 2:15, dove Dio prende l'uomo e lo pone nel Giardino dell'Eden perché lo lavori e se ne prenda cura, illustrando il ruolo di amministrazione che è affidato all'uomo. Ma anche il Discorso della Montagna, come ha bene rilevato la teologa americana Copeland, è un vigoroso appello alla responsabilità dei fedeli a osservare, agire e impegnarsi per valorizzare la natura: fondare, potremmo dire, una “teologia dell’imperativo essenziale” per la Terra, la nostra casa comune.

Dal dominio alla cura

La Chiesa ortodossa, in particolare quella greca con gli scritti significativi del Patriarca Bartolomeo (non a caso chiamato il “Patriarca Verde”), ha offerto su questi aspetti alcune indicazioni pratiche che mi sento di condividere. La Creazione è eredità divina, di cui l’Uomo non ha “dominio” ma “cura”: Basilio il Grande e Gregorio Nisseno sottolinearono questa differenza di principio tra la cosmologia biblica con le Energie divine che tutto compenetrano e la concezione pagana della natura.

È l’esperienza straordinaria della contemplazione dell’amore per la natura testimoniata dai santi asceti della nostra Chiesa: Serafino di Sarov, Porfirio di Athos, gli italiani De Rosso e Mancini e altri. L’umanità è parte primaria nella creazione, e la sua caduta può comportare la caduta di tutto l’ordine della creazione, in un nesso inscindibile e quasi escatologico. D’altra parte, la nostra tensione a unirci con il Cristo risorto è pegno della futura trasfigurazione di tutta la creazione, «perché Dio sia tutto in tutti» (prima Lettera ai Corinzi, 15, 28). Così, oggi, diventa coerente e doveroso promuovere la coscienza ecologica e il concetto di responsabilità verso le generazioni del futuro attraverso l’educazione e l’organizzazione di eventi comunitari incentrati sulla responsabilità ambientale, moltiplicare in ogni gruppo e comunità discussioni sull’obbligo morale di prendersi cura del creato, nonché seminari pratici e azioni tangibili su come vivere in modo più sostenibile.

La difesa dell’ambiente puramente utilitaristica, senza un fondamento spirituale e divino, è priva di senso. Apportare cambiamenti graduali ma radicali ai lifestyles, come ha giustamente osservato il sociologo Luigi Berzano, prendere coscienza della gravità del degrado, sottolineando, proprio per quell’esigenza di centralità dell’acquisizione ecobioetica, per ogni essere umano, di questa consapevolezza, il suo fondamento spirituale e trascendente, negli “imperativi scritturali” per la cura della Creazione. Ogni cristiano ortodosso, mi pare di poter osservare, in linea con l’insegnamento patristico greco e la Filocalia è in qualche modo, “mandatario” biblico, “amministratore” divino, e ha il dovere e la responsabilità di agire per proteggere la creazione che Dio ci ha affidato, senza antropocentrismi, proprio partendo da correzioni del proprio stile di vita ed appello ai fratelli.

La spiritualità orientale, soprattutto siriaca dei primi secoli (Efrem o Isacco) ripropone con particolare fermezza questa “necessità di cura”, questa responsabilità “pericoretica”, di reciproca fecondazione tra il pensiero umano e quello divino Creatore. Da questo punto di vista, tuttavia, iniziative comuni tra le varie espressioni cristiane, ispirate a un autentico e sincero ecumenismo, sono fondamentali. La teologia cristiana occupa una posizione unica nel plasmare valori, bussole etiche, comportamenti.

Nella variegatezza straordinaria dei metodi di insegnamento, tra cattolici, ortodossi o riformati, possono moltiplicarsi forme e strumenti educativi per illuminare i fedeli rispetto alle responsabilità climatiche, intese come “mandato scritturale fondamentale” di ciascuno. Il Libro dei Salmi elogia costantemente la creazione divina della natura, esortando i credenti a onorare Dio proprio attraverso la cura della Sua creazione. Una mobilitazione dei cristiani, di tutti i cristiani, mi sento di affermarlo con decisione, pur nel rispetto delle caratteristiche e delle speciali sensibilità della tradizione spirituale orientale e ortodossa postula, per la serietà, gravità e urgenza del problema, una più ampia missione di impegno ecumenico, volta a promuovere una Terra che rifletta l’amore divino e la giustizia per tutta la Creazione e le generazioni future, in uno spirito di speranza che unisca e rafforzi l’impegno di tutti e di ciascuno.

Max Giusio è vescovo e Presidente del Tribunale Nazionale Ecclesiastico della Chiesa ortodossa Italiana; avvocato e giornalista, saggista esperto in storia e antropologia delle religioni; docente e ricercatore presso l’Università Ortodossa San Giovanni Crisostomo di Roma.

 

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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