Da Tina Anselmi alla sanità meloniana: la parola torni ai corpi.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo l'articolo inviatoci da Dianella Pez, matematica, esecutivo nazionale Comitati No Autonomia Differenziata
La malattia è un’esperienza intima che, a volte, ed è il momento, esige di divenire politica, esattamente come quel personale che, passando da donna a donna, raccontato, ascoltato, e scoperto così esperienza comune, diventa trampolino di lancio verso una visione differente. Il personale fattosi politico non è un vecchio slogan anni 70 ma la concretezza di una pratica in cui ogni corpo (un corpo sessuato) e ogni singolo vissuto si relazionano con una storia feroce di potere, quello dell’ordine e del linguaggio patriarcale, rinnovatosi in liberista. Il modello del padre padrone arricchitosi nel frattempo della figura che ha saputo rompere il soffitto di cristallo nel peggiore dei modi, quella di madre matrigna. È incarnata nelle donne di guerra che abbiamo al governo in Europa ed in Italia, pronte ad imbracciare la motosega di Milei e follie simili create per azzerare ogni residuo di stato sociale, ogni solidarietà, ogni bisogno di salute, ogni vita di donna (di ogni altra donna, destinata a raccogliere a mani nude i cocci di questa distruzione). Il lungo tradimento della Sanità targata Tina Anselmi sta raggiungendo col Governo attuale il suo apice erodendo l’intero mondo valoriale su cui la collettività si regge: la malattia è chiamata quindi a mostrarsi nell’urgenza della responsabilità politica. Nella malattia si erge e si consolida la sorellanza capace di ascoltare, di farsi impegno e tempo, ingredienti di ciò che un vero servizio pubblico dovrebbe – ed è stato reso incapace a farlo – offrire stringendosi attorno a ciascuna persona in una trama abbracciante di fiducia e cure. Le donne conoscono bene questo modello del farsi rete, avendolo realizzato con la presenza viva durante i processi per stupro, o nel Tribunale delle Donne di Sarajevo capace di dare voce e protagonismo a donne rese afone, invisibili, o nelle lotte delle donne sudamericane, o nel silenzio forte dei corpi delle Donne in Nero esposti a dichiarare l’espulsione della guerra dalla Storia.
La malattia diventa fatto politico nel momento della relazione con la realtà sanitaria, fatta non solo di altre persone malate ma di altre donne e altri uomini che vi lavorano con modi imposti dettati da precise scelte politiche, in una precarietà del pubblico pianificata. La visione politica della sanità si vede, si tocca, si subisce, proprio in una condizione di enorme fragilità e sudditanza, soprattutto quando si parla degli ambiti più cruciali e nello stesso tempo più in crisi della sanità italiana, l’anestesia rianimazione con i suoi numeri insufficienti, il Pronto soccorso affidato ai gettonisti, i reparti oncologici, le radiologie e le radioterapie, la Medicina generale carente di personale. Chi ci sta curando, chi lo farà, chi si occuperà della Cenerentola che è la prevenzione? Parlino i corpi quindi, e rendano collettivi esperienza e dolore, li impugnino, li manifestino, tessendo con l’ordito della fatica personale una trama capace di interpellare quella politica solipsistica incapace di ascoltare persino le organizzazioni professionali che, da tempo, denunciano. Avanzi un nuovo “habeas corpus” liberatorio, di quei corpi che in buon ordine fordista entrano in una macchina, si contendono uno spazio, porgono il braccio per un ago, attendono un appuntamento che mai è nei tempi necessari: noi donne dal “fiore in bocca” lanciamo un guanto di sfida verso un potere verticistico chiuso in se stesso che del Servizio Sanitario Nazionale fa strame.
Tina Anselmi, partigiana, democristiana, Ministra, donna per le donne, era giunta a realizzare un’idea straordinaria attraverso la Legge 23/12/78 n. 833, Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. Attendeva di essere perfezionata e non presa a martellate costanti e continue. Sembrava possibile la fine dei “sommersi e salvati”: non è così, enormi disuguaglianze hanno ricreato i sommersi, ricomparsi nei milioni di persone costrette a rinunciare alle cure (persino nel ricco Friuli da cui si sta scrivendo raggiungono il 10%). L’obiettivo di superare gli squilibri territoriali rendendo “uniformi le condizioni di salute sul territorio nazionale”, attraverso la partecipazione e controllabilità democratica, si incardinava, secondo le parole di Anselmi, in quattro principi: “globalità delle prestazioni, universalità dei destinatari, eguaglianza del trattamento, rispetto della dignità e della libertà della persona”. Ma questo Servizio, invece di fiorire, subì l’innesto della pianta aziendalistica, verticistica, regionalistica che trasformò il Servizio in Sistema, il pubblico in privato, la cura in profitto, l’eguaglianza di trattamento in diseguaglianze sempre più profonde che con l’Autonomia differenziata – ora tema di referendum se la Consulta si pronuncerà in questo senso – diverranno strutturali e abissali, chiamandoci ad una lotta davvero per le nostre esistenze. Non c’è libertà senza salute (personale e collettiva), come non c’è libertà senza giustizia: ci stiamo giocando vita e libertà, non minimizziamo perciò questo referendum, che ci chiama ad essere granelli di sabbia pronti a bloccare gli ingranaggi di un potere sempre più vorace e feroce, capace di stritolarci nei luoghi dove siamo più deboli, imbrogliandoci con false promesse.
Negli anni di Tina Anselmi presero vita progetti straordinari. La legge 22/05/78 n.194 sull’interruzione volontaria di gravidanza fu una risposta coraggiosa, anche da parte di Anselmi stessa e della sua morale, ai movimenti che animavano il forte conflitto sociale che coinvolgeva soggetti politici e popolazione: certo la legge conteneva già il germe che l’avrebbe corrosa, l’obiezione di coscienza, che, differenziata anch’essa e in grado di differenziare le donne, veleggia in Piemonte al 55%, in FVG al 53, in Puglia 80, in Sicilia 85. Eppure, una grande conquista di autodeterminazione. La legge 13/05/1978 n.180 (legge Basaglia) ridisegnò il rapporto tra la comunità e la salute mentale. La legge 29/07/75 n. 405, istitutiva dei Consultori, rappresentava la dimensione sociale della medicina e la reale partecipazione delle donne alla creazione di luoghi di crescita e discussione per le donne e fra donne, le cui Associazioni avevano parte attiva nei Regolamenti e nella gestione delle strutture. Tutto questo, smantellato: non solo i Consultori hanno perso ogni dimensione e potenzialità sociale ma, dopo essere stati trasformati in freddi luoghi sanitari, vengono depotenziati e chiusi. E così i punti nascita (vedi, ancora, il Friuli), e così la riduzione degli asili nido. I luoghi delle donne, donne depauperate, donne divise. Le donne emiliane e quelle calabresi sono considerate donne diverse: in un video promosso da SVIMEZ e mostrato in uno dei seminari tematici proposti da Comitato e Tavolo contro l’Autonomia differenziata (15 febbraio 2024 “Donne e Autonomia differenziata: nessun problema?”) appaiono numeri drammatici: screening mammografici 87% in Emilia Romagna, 42% in Calabria; nella prima la mortalità per tumore al seno è diminuita in 10 anni del 17%, mentre in Calabria è aumentata del 2%, con relativa disparità nella speranza di vita. Vita! La differenziazione agisce nel segno del meno, della sottrazione, con le donne prime vittime nella trincea cui sono costrette per sopravvivere. Sono tasselli importanti di un puzzle chiarissimo atto a disegnare un intero mondo e senso comune, quello in cui prassi e obiettivo sono creare nemici, rendere le persone nemiche tra loro, mettere a tacere, reprimere, governare con la frusta e la paura, instaurando istituzioni autoritarie e feroci che parlano la lingua della violenza nei modi e nei contenuti: è urgente inventare una nuova presenza di corpi, una Nuova Alleanza ribelle e convinta, che non indulge ad alcuna concessione. Le parole delle donne ne siano il discorso: attenzione, relazione, cura, limite. Al centro la salute: lì la colloca la Costituzione antifascista del 1948 nata dalla Resistenza. Non dimentichiamo che esclusivamente la salute è riconosciuta e definita come diritto fondamentale (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” art.32), sulla cui base ogni altro diritto può prendere vita.
Un abisso separa gli anni 70 del secolo scorso dagli anni 20 di questo, abisso umano, politico, valoriale, di fermento sociale. Allora si costruì per le persone, ora invece si abbraccia il vangelo del potere e della ricerca di poteri sempre più autoreferenziali, forti, isolati dalla collettività che viene convinta a sostenerli e fin adorarli. Ci hanno confusi e confuse. Questo abisso separa anche due declinazioni di donne, distinguendo in modo drammatico lo stile, il pensiero, il progetto di Tina Anselmi da quelli della attuale Presidente del Consiglio. Per la prima, il forte e autorevole senso delle Istituzioni, il coraggio di promuovere leggi, come la 194, anche contrarie al proprio sentire ma nell’interesse manifesto della società, la volontà di confrontarsi con amicizia e lealtà (Tina Anselmi democristiana con Nilde Jotti comunista) con l’altra parte politica, il fine di migliorare la vita collettiva, sociale, e di ogni donna, che guidò la “compagna” Tina – così la sentiva l’amica Luciana Castellina - nel proprio percorso politico. Sembrano vecchi arnesi ammuffiti nell’orizzonte della seconda, nutrito di ringhi, amicizie internazionali pericolose e prive di equilibrio politico e morale, gesti di scherno, guidati da un pensiero autoritario teso alla compressione dello spazio politico attraverso un tessuto legislativo disumano e punitivo, basato sulla riscrittura della Storia e della Costituzione, sulla manipolazione delle coscienze e sulla delegittimazione degli altri poteri dello Stato.
La sanità è più di una cartina di tornasole della vita di un paese, come lo sono la condizione delle donne e il modo in cui le fragilità vengono considerate: è vero e proprio campo di battaglia in cui non solo ogni organismo lotta per la propria vita ma in cui si scontrano concezioni opposte della natura del contratto sociale che ci unisce, delle relazioni che ci costruiscono. Il processo di privatizzazione e mercatizzazione va bloccato ed invertito per tornare al valore del pubblico, la voracità dei poteri regionali va sconfitta, ed allo stesso modo va invertito il processo che collega fondi stanziati e bisogni perché prima vengono i bisogni e solo poi di conseguenza gli stanziamenti necessari. Non si imbrogli la popolazione: i fondi per la Sanità sono sempre meno in relazione ad ogni parametro, sia esso il PIL o l’inflazione o il confronto con altre realtà europee. Si investe altrove: marchette elettorali di vario genere, il fantasmagorico Ponte sullo Stretto, il rifiuto a tassare i grandi patrimoni o, con aliquote adeguate, i grandi redditi, la guerra ed i suoi immensi investimenti, la nuova gallina dalle uova d’oro. È sempre e solo questione di spartizione del mondo e dei poteri ad ogni livello: le donne, i popoli, non vogliono le guerre, i cannoni non necessitano di bombe ma di mettervi fiori. Ogni dispositivo militare ruba un dispositivo medico. Ogni arma che uccide una persona in guerra porta alla morte anche una paziente oncologica che ritarda le cure: non è un’equazione banale ma esprime tutto il dolore di chi lotta per guarire in piena rabbiosa consapevolezza di sapere quanto vicine e volute siano queste due morti, ovunque si trovino. Ogni aumento di spesa in armi toglie soldi destinati al personale sanitario, toglie tempo al sorriso che può dedicare alla paziente: invece di farsi in quattro come è costretto a fare, dividendo tra quattro persone ciò che dovrebbe offrire ad una, avrà spazi e occasioni per conoscere, di ciascuna, nome, cognome, vita precedente, desideri, paure. Sparita e mai considerata l’idea del “dividendo per la pace” di soli tre inverni fa che mirava al disarmo diminuendo gli investimenti militari, ora si corre al contrario rapidamente sul folle binario utopico della risoluzione bellica dei conflitti. Ben più concreta è l’utopia del valore della relazione, dell’abbraccio, in cui la cultura di pace si salda alla centralità della salute. È il momento di volere tutto, per tutti e per tutte, in tutti i modi: un servizio pubblico alto, partecipato, retto democraticamente, profondamente e strutturalmente umano, con personale formato ad essere tale, così come pensato dallo sguardo lungo delle discussioni costituenti, dal progetto varato da Anselmi, dalle lotte delle donne. “Le donne non staranno zitte, professore Dahn. Noi scriveremo, terremo discorsi, lavoreremo, agiremo. Le donne cambieranno la società e loro stesse” disse il premio Nobel per la Pace Bertha von Suttner. Le donne Anselmi ovviamente.
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