Variabili di potere e sovranità: le guerre per procura dell’Occidente
Il seguente articolo, scritto da Elena Basile - scrittrice ed editorialista per Il Fatto Quotidiano, già Ambasciatrice italiana in Svezia e in Belgio, fra i molti altri incarichi - è stato pubblicato dal sito La fionda oggi, 9 agosto, e in versione ridotta sul Fatto Quotidiano.
Attualmente, ancora più che in passato, è essenziale, per condurre un’analisi corretta delle dinamiche internazionali, comprendere la differenza tra variabili indipendenti e non, che operano in un contesto complesso e fortemente strutturato.
Nel corso delle primavere arabe, il malcontento popolare albergava nei Paesi del Nord Africa da tempo, ma ha costituito un fattore in grado di destabilizzare le società soltanto quando la politica neoconservatrice statunitense ha deciso, con finanziamenti e organizzazione, di puntare sui Fratelli Musulmani per una forma di dominio più solida rispetto ai dittatori tradizionali.
La defenestrazione di Moubarak, l’elezione di Morsi — in seguito abbandonato da Washington a vantaggio dell’odierno Presidente dell’Egitto, Al Sisi — è la rappresentazione evidente della strategia ondivaga che ha sede a Washington.
Ugualmente, la guerra civile in Siria non sarebbe scoppiata, seminando lutti e dolore nel popolo siriano per circa un decennio, se Obama, nel 2015, non avesse deciso, con l’operazione Sycamore e d’accordo con i servizi segreti sauditi, di utilizzare le fisiologiche proteste anti-Assad quale fattore di destabilizzazione della società siriana.
Ricordo che all’epoca ero in Svezia e restavo allibita nell’osservare la bella intellighenzia del Paese che aveva d’obbligo un libro in tasca contro il pericolosissimo dittatore Assad. Sicuramente gli Assad, soprattutto il padre, avevano commesso crimini e favorito il loro potere alaudita con la repressione. Non diversamente da come molti dittatori, nostri alleati, hanno sempre fatto.
Oggi, come sappiamo, la politica occidentale sostiene Al Jolani, che ha spodestato gli Assad e compie stragi di Alauditi con l’appoggio della democratica Europa e di Washington.
Le rivoluzioni arancioni nel vicinato russo si sono basate sulle stesse tattiche: il fisiologico malcontento diviene una variabile indipendente in grado di far cadere i governi grazie a una manina invisibile esterna che lo rafforza e lo struttura.
Bisogna chiedersi: quali Stati sono oggi in grado di avere una politica estera sovrana? L’indipendenza si manifesta come capacità di scegliere la linea politica consona ai propri interessi, pur tenendo in conto i condizionamenti esterni. I BRICS sono un esempio concreto di sovranità e si sono uniti in un gruppo ancora poco strutturato per difendere il perseguimento dei propri obiettivi contro il ricatto e l’arbitrio statunitense.
Per questo motivo credo che l’India, sottoposta alla minaccia di dazi americani al 50%, colpevole di importare gas russo a basso prezzo, vitale per la propria economia, farà di tutto per resistere alle pressioni trumpiane.
L’Europa, da Maastricht in poi, è stata costruita come un’appendice del capitalismo finanziario di Washington e non può portare avanti una politica estera ed economica consona ai propri interessi. La guerra per procura contro la Russia, condotta da Ucraina e UE per gli interessi statunitensi, è l’esempio emblematico di rinuncia all’esercizio della sovranità.
Anche un dottorando in politica internazionale, in grado di ragionare con la propria testa, comprenderebbe che gli interessi europei sono individuabili nella cooperazione con Mosca, nell’importazione di gas russo a basso prezzo — essenziale al nostro sviluppo economico e industriale — e nella stabilità dell’area geopolitica grazie alla neutralità ucraina.
La classe dirigente europea, legata allo Stato profondo statunitense, importa invece gas USA a prezzo quadruplicato, compra armi statunitensi e le invia all’Ucraina per far continuare un conflitto che sostiene i profitti dei fondi sovrani.
Ugualmente, attribuire a Zelenski la dignità di una variabile indipendente è uno sbaglio frequente di molti analisti. L’Ucraina non esiste quale Stato sovrano: essa obbedisce a interessi stranieri e continua la guerra con la Russia fino all’ultimo ucraino, come vogliono la burocrazia del Dipartimento di Stato, il Pentagono, il complesso militare-industriale e l’intelligence anglosassone.
Perverrebbe a una pace sporca — sostenuta finalmente anche da Limes senza ambiguità, l’unica opzione, come andiamo affermando da almeno due anni, basata sul compromesso possibile — se Trump non oscillasse nella sua strategia, impersonata da Witcoff e Kellog, sostenitori di due linee opposte. Il braccio di ferro in corso tra potentati diversi a Washington si manifesta nella strategia contraddittoria di Trump.
Il malcontento contro Zelenski esiste da tempo. Soltanto analisi ideologiche hanno potuto credere alla rivolta partigiana della popolazione contro lo straniero. Il dittatore ucraino è restato a galla grazie alla repressione. Oggi, tuttavia, il dissenso contro il Presidente ucraino diventa visibile sui media occidentali: si è forse deciso di rendere il malcontento popolare un fattore efficace di destabilizzazione? Si prepara la capitolazione del Paese? Zelenski può essere liquidato?
L’avanzata russa, sebbene l’esercito non abbia mai dispiegato il suo potenziale e abbia avuto ritmi lenti essenziali a salvare vite umane, appare inarrestabile. Le infrastrutture civili sono colpite, gli ucraini massacrati al fronte. Il Paese è fallito, la classe dirigente si mantiene in vita grazie a corruzione e repressione della popolazione.
Di fronte all’imminente capitolazione di Kiev, la diplomazia europea non dà segnali di vita. La strategia suicida, basata prima sull’obiettivo della vittoria sul campo (parole di Meloni, Macron, von der Leyen, Kallas), ora sul rafforzamento dell’Ucraina in vista della “pace giusta”, perpetuando il conflitto, indebolisce sempre di più l’Ucraina che, in un eventuale negoziato, non potrà mantenere gli obiettivi raggiungibili nel marzo del 2022, quando le delegazioni russa e ucraina si incontrarono a Istanbul.
La Russia sarà irremovibile su due condizioni: no all’Ucraina nella NATO né alla NATO in Ucraina, quindi no ai deliri anglo-francesi relativi alla presenza di loro truppe a Kiev al fine di garantire la pace. Maggiore flessibilità vi sarà sull’avvicinamento dell’Ucraina dimezzata all’Europa, sui territori a ovest del Dniper. La Russia potrà rinunciare ad avanzare se in cambio vengono ritirate le sanzioni occidentali e favorito un cambiamento di regime a Kiev. Trump accetterebbe volentieri queste condizioni in cambio di accordi bilaterali sulle terre rare, nello spazio e in altri settori economici redditizi.
Purtroppo le mafie internazionali, le lobby delle armi e del business, cercheranno di far durare il conflitto a lungo al fine di alimentare il keynesianesimo militare, la bolla speculativa in Europa e i propri interessi. I Dem e i loro accoliti europei demorderanno a fatica dai loro intenti criminali, aiutati da un’accademia e uno spazio mediatico al loro servizio.
Israele non è uno Stato sovrano: la sua politica estera dipende interamente dal sostegno statunitense. Le sue campagne contro Siria, Libano e Iran non sarebbero possibili se dovesse contare soltanto sulle proprie forze. Il genocidio di Gaza e l’annessione graduale ma continua della Cisgiordania, realizzata con forme di apartheid e crimini di guerra, avviene in virtù del sostegno esplicito oppure mascherato degli americani. Biden o Trump sono criminali genocidari alla stessa stregua di Netanyahu.
L’anomalia è data dal fatto che la potenza sponsorizzata, la variabile dipendente, Israele, controlla — attraverso la lobby israeliana — l’intera classe dirigente statunitense, ne condiziona la politica estera anche a spese degli interessi nazionali americani.
L’Europa collabora al genocidio mantenendo in vita la cooperazione politica, militare ed economica con Israele, schierandosi con gli Stati Uniti per non porre fine al cessate il fuoco e assicurando l’impunità di Tel Aviv grazie a una propaganda intesa a demonizzare Hamas, aumentarne la minaccia, assolutizzare il diritto alla difesa di Israele e criminalizzare le critiche allo Stato terrorista, considerate come antisemitismo e filoterrorismo, perseguibili per legge.
Dopo sessantamila morti a Gaza, al fine di gestire il consenso nelle oligarchie illiberali occidentali, accademia e spazio politico-mediatico occidentale si dividono in diversi filoni. La destra oltranzista e moderata vicina a Trump mette in discussione i crimini israeliani, considerandoli colpa di Hamas, e nega il genocidio affermando che le vittime civili sono una conseguenza della guerra, come è sempre stato nella storia.
I progressisti Dem e i loro accoliti europei, con spazio mediatico al loro servizio (BBC, CNN, TV Sette), denunciano il genocidio attribuibile a un pazzo — Netanyahu — e alle politiche criminali di Trump, e lo considerano una rottura rispetto al passato. Lontano è il riconoscimento dell’essenziale continuità dei crimini israeliani e della complicità di una politica occidentale che, dal 1967, assicura l’impunità di Israele. Il discorso su Hamas resta propagandistico, in quanto non si riconosce che l’organizzazione è stata rafforzata dai servizi segreti occidentali e che essa ha costituito l’alibi per appoggiare politiche espansionistiche dell’impero in Medio Oriente, utilizzando Israele come pedina della NATO.
Una minoranza, infine, vede nel genocidio una conseguenza naturale dell’ideologia della destra israeliana, che dal 2000 in poi ha dominato il panorama politico, e dell’obiettivo del Grande Israele. Si tende, da parte di molti, a salvare il sionismo e il mito di Israele quale Stato che avrebbe garantito la fine delle persecuzioni degli ebrei.
Ilan Pappé, Moni Ovadia e una parte importante dell’intellighenzia riconoscono invece nel sionismo un’ideologia basata sul suprematismo bianco e sull’espansione coloniale. Il genocidio ne sarebbe quindi l’inevitabile sbocco.
Credo sia importante comprendere che Gaza è il vero volto della politica imperialistica occidentale, che Netanyahu ha portato alle estreme conseguenze le premesse da noi difese. L’espansionismo del potere occidentale in Eurasia, in Medio Oriente e nel Pacifico risponde alle profonde esigenze del capitalismo finanziario in crisi. Il riciclaggio dei surplus e i processi di rifinanziarizzazione del dollaro sono meccanismi inceppati, a cui le guerre offrono una temporanea scappatoia. La trappola del debito è costituita dal mostruoso minotauro che richiede sacrifici umani: un mare di sangue alimenta il flusso di dollari necessario.
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