
Mainstream e guerra: il racconto che manca
(Il presente articolo è tratto dal sito La Fionda del 30 settembre 2025. Elena Basile, scrittrice ed editorialista per Il Fatto Quotidiano, è stata Ambasciatrice italiana in Svezia e in Belgio)
Se avessi più tempo a disposizione scriverei una rubrica ogni giorno chiamata “l’anti la Repubblica e Corriere della Sera”. Credo infatti sia essenziale svolgere un lavoro costante di risposta agli editoriali che appaiono su questi giornali, plasmando ricorrentemente l’opinione pubblica moderata delle destre e del centro-sinistra, nerbo del potere attribuito alla maggioranza Ursula, e divulgando tesi non consone ai fatti documentati, resi disponibili da un’informazione corretta.
Cercherò di riepilogare i temi preferiti che, con una monotonia estrema, vengono enunciati senza contraddittorio da giornalisti e intellettuali, che dominano la scena del pensiero mainstream da decenni.
Con un’ingenuità apparente viene posta un giorno sì e un altro no la stessa domanda: come mai – si chiedono storici, accademici e giornalisti – migliaia e migliaia di persone scendono in piazza contro le aggressioni di Israele e non contro la Russia, considerata da loro alla stregua di Israele, uno Stato che viola il diritto internazionale? (editoriale di Ezio Mauro di domenica 28 ottobre).
La risposta è semplice. La gente colta e meno colta, professionisti e persone ordinarie, ha capito l’essenziale. Il paragone con Putin, colpito da un mandato di arresto della CPI esattamente come Netanyahu, è fuori luogo. La Russia ha reagito, invadendo l’Ucraina, al disegno di dominio imperialistico che la NATO ha deciso di attuare al fine di desovranizzare il perdente della guerra fredda e attuare un regime change. La Russia fronteggia un esercito: è intervenuta applicando il principio “Responsabilità di proteggere” coniato nel diritto onusiano, in aiuto delle popolazioni russofone che per sette anni sono state bombardate dal governo di Kiev. La guerra della Russia è stata provocata dall’espansionismo aggressivo della NATO e dal calcolato disprezzo delle legittime preoccupazioni di sicurezza russe. Dopo aver esperito tutte le possibili iniziative diplomatiche, dal 2007 (anno del noto discorso di Putin alla Conferenza di Monaco per la Sicurezza) al dicembre 2021, la Russia ha scelto una guerra preventiva, nella convinzione che – dopo il colpo di Stato a Kiev, la penetrazione militare anglosassone, l’addestramento dell’esercito ucraino e la mobilitazione del nazionalismo ucraino occidentale, dopo l’inserimento del battaglione Azov nell’esercito regolare ucraino e il bombardamento dei russofoni a cui erano negati i diritti linguistici – la mossa seguente sarebbe stata l’attacco alla Russia. Mosca non utilizza in questa guerra la sua potenza che potrebbe essere micidiale e fare un numero di vittime civili maggiore: non spiana al suolo le città e non prende di mira i civili, che restano danni collaterali.
Israele è la pedina atlantica in Medio Oriente: fa parte di un disegno imperialistico statunitense della regione cominciato con le guerre di esportazione di Bush. L’islamofobia e la demonizzazione di Hamas e del terrorismo (presente nella storia ogni volta che un popolo resta sotto occupazione di una potenza straniera e non ha la possibilità di risposte politiche) sono state l’alibi di guerre di occupazione americane e israeliane, in violazione del diritto internazionale, che hanno seminato morte e distruzione e a cui gli Stati europei si sono allineati in ambito NATO oppure come membri delle cosiddette “coalizioni di volenterosi”. Israele è uno Stato terrorista che non ha rispettato le molteplici risoluzioni dell’ONU, ha attuato attentati in paesi stranieri decapitando le leadership di Stati considerati nemici, ha realizzato l’apartheid e crimini contro l’umanità in Cisgiordania (dove non esiste Hamas), punizioni collettive sulla popolazione di Gaza fino all’attuale genocidio, decretato da esperti ebrei dell’Olocausto come Amos Goldberg, dalla CIG – uno dei principali tribunali onusiani (lo ha considerato plausibile invitando l’accusato a mettere in piedi tutte le misure necessarie per evitarlo) – e da una Commissione indipendente del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani.
La gente semplice, che semmai non conosce la documentazione disponibile, non ha perso la propria umanità e protesta contro uno Stato canaglia in difesa di un popolo inerme, di donne, anziani e bambini uccisi, torturati dalla fame e dalla carenza di strutture ospedaliere. La società civile ha compreso che tra Putin e Netanyahu non c’è alcuna similitudine. I caratteri comuni invece della condotta di Israele e di quella NATO in Ucraina saltano agli occhi: si tratta di due conflitti decisi dall’imperialismo occidentale, dai neoconservatori americani, contro la volontà dei popoli europei.
In questi giornali l’accusa che viene rivolta a tutti coloro che criticano la narrativa della NATO è quella di essere filoputiniani. L’accusa non ha fondamento, in quanto Occidente e Russia non sono due squadre di calcio. Non si è dimostrato che siamo al servizio della Russia o che riceviamo vantaggi dal sostegno ragionato alle legittime preoccupazioni di sicurezza russe. Potremmo essere definiti filoucraini in quanto siamo gli unici a preoccuparci del massacro di una generazione di giovani e meno giovani soldati, utilizzati come carne da cannone per una guerra per procura, per i giochi geopolitici dei neoconservatori statunitensi.
I filoatlantici nella difesa delle loro posizioni ricevono invece molteplici benefici. L’Italia fa parte della NATO e dell’impero americano. Difendere gli interessi dell’impero assicura prebende e accoglienza calorosa nell’establishment. Essi infatti occupano i media più diffusi e maggiormente finanziati. Noi siamo parte di una nicchia, di un’avanguardia che raggiunge un’audience limitata.
Nel mondo orwelliano la guerra si chiama pace e si insinua che coloro che in buona fede analizzano le dinamiche della politica internazionale lo facciano per convenienza e vicinanza alla Russia.
Si celebra inoltre reiteratamente l’unità dell’Europa che esprimerebbe la stessa visione bellicista nonché l’intenzione indefessa di rifornire di armi l’Ucraina fino all’ultimo ucraino, di riarmarsi con 800 miliardi smantellando lo Stato sociale europeo, di rafforzare militarmente il fianco Est (editoriale di Mieli 28 settembre).
In effetti la Polonia e la Svezia, che storicamente hanno avuto grandi ambizioni sui Paesi baltici, si alleano quasi volessero vendicare la sconfitta subita a Poltava il 27 giugno del 1709 dallo zar Pietro I che mise fine alle ambizioni imperiali svedesi. L’alleanza dei tre mari, che comprendeva insieme alla Polonia i Paesi dell’Est e l’Austria, ora si estende a Svezia e Finlandia. In sintesi, l’Europa viene oggi guidata da quella soggettività che Rumsfeld opponeva con disprezzo alla vecchia Europa: l’Europa continentale e mediterranea che si opponeva alle guerre al terrore. Dopo la diserzione tedesca e francese dall’invasione dell’Iraq, la CIA ha cominciato a guardare con maggiore insofferenza alla Germania e ha predisposto, attraverso incentivi finanziari e formazione dei leader, contromosse che hanno permesso – come è descritto in un documento della Rand Corporation del 2022 – di trasformare lo storico partito dei Verdi nell’irriconoscibile agglomerato da cui sono usciti politici come il Ministro degli Esteri tedesco Baerbock, e che doveva essere la punta più avanzata per un contagio in grado di fare accettare la dipendenza energetica di Berlino dagli Stati Uniti. È morta l’Europa che dava fastidio a Rumsfeld, quella che fino al 2014 difendeva una politica di cooperazione con la Russia e si opponeva all’inserimento di Ucraina e Georgia nella NATO. È morta l’Europa mediterranea che chiedeva un rafforzamento contro il terrorismo del fianco sud della NATO. L’unità a cui si riferiscono i cantori dell’Occidente in armi è la fine di ogni sogno di autonomia strategica basata sui reali interessi dei popoli europei. L’unità è apparente ed è determinata dalla genuflessione della politica alle lobby finanziarie, delle armi e di Israele da parte di una classe dominante hackerata da Washington. Non si tratta di un’unità reale basata su un interesse comune, su una sintesi delle inclinazioni particolaristiche di ciascun Paese, ma di una prostrazione condivisa allo scettro di Washington. Esaminati da vicino, i Paesi europei sono l’un contro l’altro armati, con politiche estere differenti: basti pensare all’Ungheria e alla Slovacchia che vedono in modo opposto alla maggioranza Ursula la guerra in Ucraina. I Paesi mediterranei non condividono la russofobia polacco-baltica e nordica. L’Italia non vuole truppe in Ucraina. Persino l’asse franco-tedesco è una finzione avendo i due Paesi interessi opposti economicamente. La politica estera in Medio Oriente è maggiormente parcellizzata. Ci vorrà una guerra, pensano forse i neoconservatori e i loro sostenitori, per ottenere l’allineamento perfetto agli interessi di Washington. Attaccati da Mosca saremmo tutti finalmente uniti in un conflitto che avremmo potuto evitare.
Chissà se i quotidiani citati, in qualche raro momento di coscienza, si rendono conto della pericolosità delle loro posizioni guerrafondaie. Stiamo lentamente scivolando verso la terza guerra mondiale dimenticando ogni possibile insegnamento della storia. Alcuni giornalisti e politologi conservatori hanno profetizzato, di fronte all’aggravarsi delle minacce della NATO, di fronte a possibili mosse di Washington verso sanzioni secondarie, di fronte all’utilizzo di una parte dei miliardi sotto sequestro russi per la guerra in Ucraina, insomma di fronte all’escalation voluta dalla NATO e alle provocazioni verbali di Trump che sembra voler spingere Putin verso la posizione dei falchi (“Russia tigre di carta”), hanno affermato – dicevo – che vi sarà il ricorso all’arma micidiale, al missile ipersonico Oreshnik, al fine di colpire il regime di Kiev, Zelensky e il suo entourage.
Come alla vigilia della prima guerra mondiale, l’accademia e il giornalismo fomentano la guerra con un’incoscienza difficile da comprendersi. Forse non sono consapevoli che la diplomazia appare inesistente mentre noi sfidiamo potenze nucleari. Viene spontaneo pensare che forse sanno che l’Occidente ha una carta da giocare e che il sacrificio di centinaia di migliaia di persone è stato già deciso per mantenere in sella un’élite barcollante, per permettere al capitalismo intrappolato nel debito di risorgere attraverso la rapina delle risorse delle potenze del surplus.
*Foto tratta da Commons Wikimedia, immagine originale e licenza
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