Sentenza CGUE sui matrimoni omosessuali: il monito dei vescovi UE
Di fronte alle rimostranze di due cittadini polacchi, uniti in matrimonio nel 2018 in Germania ma non riconosciuti come sposi nel loro Paese d’origine, con tutti i disagi del caso (aggiornamento proprietà immobiliari, assicurazioni sanitarie familiari, disoccupazione, ecc.), la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) ha sentenziato il 25 novembre scorso che tutti i Paesi UE devono riconoscere i matrimoni omosessuali contratti legalmente all’interno del territorio dell’Unione. Nella forma che preferiscono e con il nome che decideranno, certo, ma tutelando comunque gli stessi diritti riconosciuti a una famiglia “tradizionale” (in Italia probabilmente basteranno le ben note “unioni civili”, nonostante le limitazioni sui figli). E questo perché lo status familiare di una coppia, con diritti e doveri annessi, non può cessare solo perché si è varcato un confine. La Polonia – e tutti gli Stati membri che non prevedono alcuna forma di riconoscimento delle unioni gay, come Bulgaria, Romania, e Slovacchia – dovrà presto adeguarsi. Ma la strada si direbbe tutta in salita: sebbene il governo centrista di Donald Tusk abbia in cantiere un disegno di legge sulle “unioni civili”, il nuovo presidente della Repubblica Karol Nawrocki, di destra, potrebbe bloccare l’iter legislativo. E le destre sovraniste, in ascesa anche in Polonia, già minacciano la “Polexit”.
I vescovi UE non gradiscono affatto
Contro il pronunciamento della CGUE, in buona compagnia delle destre polacche, si sono schierati anche i vescovi UE, riuniti nella Commissione delle Conferenze Episcopali dell'Unione Europea. In una “Dichiarazione della Presidenza della COMECE”, diramata il 9 dicembre in risposta alla sentenza della Corte, i prelati del vecchio continente ribadiscono la «visione antropologica della Chiesa, basata sulla legge naturale», per la quale il matrimonio è solo una «unione tra un uomo e una donna».
Legge “naturale” a parte, sul diritto di famiglia, gli esperti giuristi della COMECE invitano a un «approccio prudente e cauto», cercando di «evitare influenze indebite sui sistemi giuridici nazionali». I vescovi rispettano la decisione della Corte ma ne denunciano una sorta di tracimazione, contestando l’incongruenza della sentenza con l'articolo 9 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea sul “Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia”. L’art. 9 stabilisce infatti – afferma la COMECE testo alla mano – che «il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio». E alcune di queste leggi nazionali, a volte anche nelle Carte costituzionali, riconoscono il matrimonio come unione tra uomo e donna. Nella sua sentenza, la CGUE riconosce questo principio, ma di fatto restringe la libertà degli Stati di legiferare liberamente sulla disciplina del matrimonio, ponendo alcune decisioni in contrasto con il diritto di circolare e soggiornare liberamente nell’area UE.
I vescovi UE si dicono preoccupati perché questo pronunciamento – così come altri, in passato, sulla tutela delle comunità religiose negli Stati membri – sembra minare il principio di tutela dei sistemi giuridici nazionali, e il principio di salvaguardia della stessa “identità nazionale” dei Paesi, per la quale una certa visione di famiglia e di matrimonio potrebbe risultare cruciale.
Si legge nella nota della COMECE: «La sentenza della Corte dell'UE avrà un impatto sui sistemi giuridici nazionali in materia di diritto di famiglia e potrebbe esercitare pressioni affinché questi vengano modificati. Essa richiede inoltre l'introduzione di procedure di riconoscimento e chiede persino la disapplicazione, se necessario, delle disposizioni nazionali in questione. La sentenza crea di fatto una convergenza degli effetti del diritto matrimoniale, anche se l'Unione non ha il mandato di armonizzare il diritto di famiglia. Vi è anche un impatto sulla certezza del diritto, poiché sempre più Stati membri non saranno in grado di prevedere in modo chiaro quali parti del loro diritto di famiglia rimarranno di loro competenza».
C’è poi un altro nodo che preoccupa fortemente i vescovi. Sulla via di un’omologazione forzata dei sistemi giuridici, «la COMECE teme che la sentenza possa portare a sviluppi negativi in altri settori sensibili del diritto di famiglia transfrontaliero, ad esempio aprendo la strada a futuri approcci giuridici simili in materia di maternità surrogata».
Queste sentenze, affermano infine i minacciosi vescovi, non fanno che acuire la disaffezione dei popoli europei nei confronti delle istituzioni comunitarie e «non sorprende che questo tipo di sentenze dia adito a sentimenti antieuropei negli Stati membri e possa essere facilmente strumentalizzato in tal senso».
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