Cile: al ballottaggio domenica prossima la comunista moderata e il devoto cattolico pinochettista
In Cile, fra due giorni, ballottaggio elettorale fra Jeannette Jara e Antonio Kast per la carica presidenziale. Jara ha vinto al primo turno (16 novembre) con il 26,85% dei voti. Il contendente ne ha raccolti il 23,92%.
Domenica sarà più difficile ripetere lo stesso successo per Jara, perché Kast potrebbe vincere le elezioni perché è riuscito a far convergere su di sé il voto delle altre formazioni di destra e a una campagna incentrata sulla sicurezza, sulla lotta all'immigrazione clandestina e sul narcotraffico.
Difensore della dittatura di Augusto Pinochet (1973-1990), il 59.enne Kast è un cattolico devoto, padre di nove figli, nel 2016 si è dimesso dall'Unione Democratica Indipendente (UDI), partito di cui è stato membro per decenni, considerando che aveva abbandonato i principi conservatori che lo avevano ispirato. Nel 2019 ha fondato il Partito Repubblicano, che la stampa definisce di ultradestra. Si oppone all'aborto anche in casi di stupro, alla pillola contraccettiva d'emergenza, al divorzio e al matrimonio gay. Propone una lotta senza quartiere contro il crimine, intende espellere i 330.000 immigrati senza documenti che vivono nel paese, cui attribuisce l'aumento della criminalità. «Se non lo fanno volontariamente, li cercheremo», come dire “li staneremo”, ha minacciato in attesa di conquistare la presidenza. Rifiuta però di essere paragonato a leader di destra quali l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro o l’attuale presidente argentino Javier Milei.
Jeannette Jara, 51.enne, è detta “comunista moderata”, perché, pur iscritta al Partito Comunista fin dall'età di 14 anni, fa parte della sua ala più liberale e critica. Si presenta per la coalizione di sinistra Unità per il Cile. Di origine popolare, Jara ha lavorato come raccoglitrice di frutta e cassiera prima di entrare all'università, dove si è laureata in giurisprudenza e amministrazione pubblica. Ministra del Lavoro nel governo dell’attuale presidente Gabriel Boric, ha promosso l'approvazione della riduzione della settimana lavorativa, da 45 a 40 ore, la creazione di 580mila posti di lavoro, la riforma del sistema pensionistico privato, l’aumento del salario minimo a quasi 800 dollari, il rafforzamento dei diritti dei lavoratori e aumentare la produzione di litio.
Un “vecchio” articolo del manfesto sui risultati del primo turno elettorale – è del 18 novembre scorso – descrive la vittoria di Jara al ballottaggio come «un’impresa disperata». L’articolo, di un pessimismo forse eccessivo su tutto il quadro politico, termina con il seguente comento: «Tra un progressismo senza contorni definiti e senza più capacità di attrazione da una parte e un autoritarismo neoliberista di impronta pinochetista dall’altra, i numeri sulle preferenze elettorati non mentono: sono per un programma centrato sulla militarizzazione della sicurezza pubblica, il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo, l’espulsione dei migranti irregolari, tagli massicci alla spesa pubblica e flessibilizzazione dei diritti del lavoro. Se non fosse già all’inferno, Pinochet morirebbe dal ridere». Due, tre giorni e potremo sapere cosa hanno deciso i cileni.
*Foto ritagliata del Governo del Cile tratta da Commons Wikimedia, immagine originale e licenza
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