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"NON ABBIAMO IMPARATO DAI NOSTRI ERRORI" LA STAMPA CATTOLICA USA RIFLETTE SULL' 11 SETTEMBRE

Tratto da: Adista Notizie n° 63 del 16/09/2006

33541. WASHINGTON-ADISTA. "Cinque anni fa, il rogo delle Torri Gemelle – quando 19 fanatici religiosi memori delle Crociate e pieni di odio per gli Stati Uniti misero il mondo sottosopra. O forse siamo stati noi. È difficile, cinque anni dopo, dire chi è stato il maggiore responsabile". Una riflessione amara e fortemente critica, quella che la suora benedettina Joan Chittister ha affidato alle colonne della rivista Sojourner in occasione dell'anniversario dell'attacco al World Trade Center. E il quinquennale dell'attacco è per i cattolici americani l'occasione per fare un bilancio di cinque anni passati all'ombra della ‘Guerra al terrorismo' e del sempre minacciato ‘scontro di civiltà', con un occhio alle elezioni di medio termine del prossimo novembre che dovrebbero segnare l'inizio della riscossa dei Democratici: ma i giudizi, finora, non sono incoraggianti.

La Chittister, columnist del settimanale cattolico americano National Catholic Reporter, intitola la sua riflessione "Il mondo è cambiato? O lo siamo noi?". Secondo la benedettina, "il mondo non doveva necessariamente cambiare" con l'11 settembre e nemmeno con l'intervento in Afghanistan: il colpo decisivo lo hanno dato gli americani, con la decisione di attaccare unilateralmente e senza prove chiare l'Iraq. Da allora, "il mondo ha scelto da che parte stare, e la maggior parte è contro di noi" e quello che un tempo era "il Paese più aperto del mondo" è diventato una nazione "sotto assedio". La guerra lanciata contro "i fantasmi di 19 uomini" dura ormai da più tempo di quanto fosse durata la guerra contro la Germania nazista e ha provocato 18.000 feriti, 10.000 disabili e 2.500 morti.

Nel suo impietoso ritratto, suor Chittister ricorda i tagli in bilancio a sanità e istruzione mentre le spese militari sono alle stelle, la riduzione delle libertà personali, i programmi di intercettazioni clandestine predisposti dal presidente Bush, gli attacchi alla Costituzione americana. Alla fine di tutto ciò, l'unico risultato è quello di aver "dato per davvero ai radicali qualche cosa per cui combattere".

Diversa nei toni, ma non nella sostanza, l'analisi della rivista dei gesuiti America: nell'editoriale, non firmato, del numero in uscita proprio l'11 settembre, viene messo in risalto il ruolo centrale dato dall'amministrazione repubblicana del presidente George W. Bush a "sicurezza nazionale" e "guerra al terrorismo". E i fallimenti del governo statunitense proprio in questi campi devono far riflettere l'elettorato americano: "Possiamo fidarci di quelli che difendono un presidente che ci ha condotto ad una simile debacle? È possibile aspettarsi che chi ha costantemente sbagliato il giudizio sulla situazione in Iraq possa finalmente darne uno giusto? Possiamo fidarci di leader che si rifiutano di imparare dai loro errori?". La vera domanda che "tormenta la nazione" è insomma: "Dov'è la prova che la guerra in Iraq, la più grande impresa anti-terrorismo del governo, abbia aumentato la nostra sicurezza?".

La risposta è che gli Stati Uniti "hanno perso la loro statura morale e galvanizzato i suoi molti e diversi avversari". Il costo di vite umane è enorme, così come quello economico, e l'aspirazione a costruire in Iraq una società democratica si è rivelata nient'altro che un "sogno vano". Sfortunatamente, l'opposizione democratica non offre un'alternativa confortante alla pochezza e all'arroganza dei repubblicani: mancano le "idee nuove" su come combattere l'offensiva terrorista e finora, i democratici si sono distinti solo per un'"eccezionale mancanza di onestà sulla loro acquiescenza" alle politiche di Bush.

Religione? Un po' meno, grazie!

Intanto, un nuovo sondaggio suggerisce che la maggior parte degli americani sono a disagio di fronte all'influenza della religione nella politica americana e desiderano una svolta al centro dopo anni di forte polarizzazione del dibattito pubblico intorno a temi ‘etici'. Secondo i risultati della ricerca effettuata in luglio dal Pew Forum on Religion and Public Life, se il 70% degli intervistati vede ancora i democratici come "troppo secolari", per quasi il 50% i repubblicani sono, per parte loro, troppo "aggressivi" nel sovrapporre religione e politica. Il sondaggio evidenza anche la crescita di una piccola minoranza di "sinistra religiosa" – 7% contro l'11% della "destra religiosa" – ma mentre quest'ultima è un gruppo omogeneo e fortemente identitario, i cristiani progressisti rimangono divisi su molti temi e non hanno un'agenda comune.

In generale, sono le ali estreme dei rispettivi schieramenti a sentirsi sotto pressione: nel quadro di un ‘ritorno al centro', il ruolo predominante della destra religiosa – tanto in politica estera, dove sono radicali sostenitori della causa israeliana e dell'inevitabilità dello ‘scontro di civiltà', tanto in politica interna, con le lotte contro aborto e matrimoni gay – sembra destinato a ridursi. Non a caso, la maggioranza degli evangelici assistono, preoccupati, ad un declino dell'influenza della religione sulla vita pubblica americana. Ma allo stesso tempo, gli americani non vedono di buon occhio i tentativi dei democratici vecchio stile di mantenere una rigida divisione tra Stato e chiese.

Insomma, alla vigilia delle elezioni di novembre, che potrebbero restituire ai democratici il controllo del Congresso, la Camera bassa del Parlamento, il rebus della società americana si fa sempre più complesso e per ora né i democratici né i repubblicani sembrano averlo risolto. Dopo anni di battaglie violente, temi come aborto, contraccezione e evoluzione sembrano raffreddarsi, e il terreno del contendere potrebbe tornare ad essere proprio la guerra in Iraq: dopo anni di appiattimento sulle posizioni di Bush, i democratici – come ad esempio la candidata in pectore alla presidenza da qui a due anni, Hillary Clinton – hanno deciso finalmente di sfidare i repubblicani proprio su questo tema, chiedendo a gran voce le dimissioni del segretario alla difesa Donald Rumsfeld.

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