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XI CONGRESSO ACLI: VINCE LABOR, PERDE LA DC

Tratto da: Adista Documenti n° 6 del 20/01/2007

799) TORINO (Adista)- A Torino il grande palazzo del lavoro, tipico frutto dell'attuale società: spendacciona ed ignara delle larghe sacche di miseria, ha assistito un po' sorniona all'appassionato dibattito che ha impegnato i circa 700 delegati aclisti. Non si è scomposto e non si è stracciato le vesti come ha fatto la stampa del sistema che lo ha costruito, ma è rimasto freddo e solo con la sua "imponenza", forse un poco incredulo. Eppure quegli uomini tanto piccoli di fronte a tanta inutile grandezza erano per la classe lavoratrice uno spiraglio per nuove ipotesi di lavoro.

E le speranze, per fortuna, non sono state del tutto deluse. Tralasciamo i convenevoli di apertura e, passando subito alla relazione del Comitato esecutivo uscente, letta da Livio Labor, si può dire che la stessa è stata una chiara analisi dell'attuale situazione sociale. La denuncia del sistema, la critica ai partiti, l'ansia di ricercare "il nuovo" sono state ben evidenziate. Con logica consequenzialità è stato chiesto di sancire la fine del collateralismo con la Dc, anzi con tutti i partiti presenti e futuri, nonché l'inizio della pratica del voto libero degli aclisti.

Il modo con cui l'assemblea congressuale ha seguito ed applaudito la relazione ha fatto capire, anche a chi ancora sperava, che una certa svolta storica si stava per compiere in quel palazzo, più stucchevole che brutto.

La "minoranza democristiana" la poteva contare anche un bambino di prima elementare; per farsi notare un po' di più doveva attendere il tempo della discussione... non è mancata all'appuntamento, sempre ben sostenuta ed incoraggiata dalla stampa padronale. Per questo, dopo aver registrato per dovere di cronaca la presenza di un 15 per cento di democristiani aclisti, sorvoleremo sui loro interventi, frutto, per dirla alla Geo Brenna, di "rachitismo culturale". Il primo intervento di rilievo è stato quello di Giorgio Pazzini.

Ha illustrato le posizioni avanzate del suo gruppo, già anticipate dall'Adista e non è andato oltre. Evidentemente la necessità di fare muro contro la reazione della minoranza ha avuto la meglio sull'altra necessità: quella di presentare una piattaforma ancora più avanzata.

Un altro uomo di punta, Domenico Rosati, dopo aver usato "fioretti, spade e clave" per ridicolizzare la minoranza, ha centrato il suo intervento affermando "che il potere reale del movimento operaio e quindi del movimento operaio cristiano - cioè il nostro autentico ruolo politico - non è nei partiti o coi partiti, ma nella società, nelle fabbriche, nelle campagne, nelle comunità locali, nelle molteplici forme associative che il movimento operaio promuove e libera come espressione di autonomia e di crescita del tessuto civile".

Sottolineando vari aspetti, sullo stesso argomento si sono espressi Borroni, Moreazzi ed altri.

Una certa qual delusione ha dato al congresso il movimento giovanile delle Acli presente solo con un anodino intervento del delegato nazionale senza quella scapigliata intraprendenza registrata a Viareggio. In questo clima l'intervento del futuro presidente Gabaglio è sembrato uno dei più aperti, anche se tra le righe si leggeva la preoccupazione di recuperare gli incerti per portare avanti, con la più larga maggioranza, un discorso nuovo. Il suo discorso è stato da un delegato definito "onesto, dignitoso e coscientemente moderato".

Tra gli ospiti intervenuti ci corre l'obbligo di segnalare quello di Macario, segretario della Fim-Cisl, inteso a sollecitare la fine di ogni funzione di supporto del movimento aclista anche nei confronti della stessa Cisl, per una più rapida realizzazione della unità sindacale.Con la replica di Labor, che nonostante tutto con il suo "saluto" ha commosso l'assemblea, è calato il sipario sull'XI Con. Naz. delle Acli.

(Adista n. 67 dell'1 luglio 1969)

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