QUALE DIO PER QUALE STORIA: L’ULTIMO LIBRO DI RANIERO LA VALLE
Tratto da: Adista Notizie n° 13 del 16/02/2008
34284. ROMA-ADISTA. Raccontare "come" lungo la storia – in particolare in quella di Israele e poi delle Chiese e della civiltà occidentale – sia stato compreso, vissuto, invocato o, anche, negato, strumentalizzato e tradito Dio: è questa l’impresa che Raniero La Valle affronta nell’ultima sua opera – Se questo è un Dio (Ponte alle Grazie, Milano 2008, pag. 308, 15 euro) – dove, pur facendo cenni anche all’Islam e ad altre religioni, si interroga soprattutto sui contesti filosofici, teologici e politici che in Europa hanno fatto da sfondo, nel declinare del secondo millennio, a quanti si sono impegnati per lodare, oppure ignorare, oppure contrastare un Dio variamente inteso. Per millenni, ricorda l’Autore, l’umanità non ha mai dubitato di Dio ma, semmai, ha discusso se il "mio" Dio fosse più potente del "tuo". Anche nel popolo ebraico, l’unanimità nella fede in Dio non trova poi tutti concordi nell’accettarne i misteriosi disegni e la sua presenza/assenza nella storia. La Bibbia, in merito, riporta tradizioni e interpretazioni che testimoniano appunto tensioni e contraddizioni nel tentativo di decifrare le vie del Signore. L’avvento di Gesù apre – secondo i cristiani – un tempo nuovo, perché nessuno aveva mai parlato Dio come lo ha fatto Cristo. Ma credere nel Dio annunciato da Gesù – un Dio umile e nascosto – dischiude problemi nelle Chiese che si interrogano su quale sia, in nome di Dio, il loro compito e la loro autorità, e che pretendono di accaparrarsi il Suo potere. Infatti, prosegue La Valle, quando papa Gregorio VII, all’alba del secondo millennio, dà avvio a quella che sarà chiamata la rivoluzione papale, egli dà un’impronta del tutto nuova alla civiltà occidentale: "Ma il prezzo che la Chiesa romana paga è di diventare un’altra cosa: da discepola e testimone del Risorto, come parte del mondo secolare, essa si fa interprete, vicaria e sostituta di Dio, ponendosi unica titolare e depositaria del divino sulla terra, in un mondo che per tale via viene avviato a una radicale secolarizzazione". Quando, con il secolo XVII, in Europa si ipotizza la possibilità, per la società, di vivere etsi Deus non daretur (come se Dio non ci fosse) - si inizia un’epoca, sottolinea lo scrittore, in cui alla irrilevanza di Dio, o alla sua messa tra parentesi, non si accompagna la cancellazione programmatica delle Chiese, purché esse servano a tenere la gente buona e obbediente all’ordine costituito, un ordine che vede i sovrani assoluti ritenersi quasi degli Déi in terra. Nelle molte pagine dedicate poi alla modernità, alla laicità e al modo con cui le Chiese si sono a queste rapportate – per lo più ignorando la lezione di Dietrich Bonhoeffer ("Davanti e con Dio vivere senza Dio": cioè avere una fede adulta che estirpi l’idea del Dio-tappabuchi) – l’Autore riflette sui conflitti, le sfide e la cronaca ecclesiale/culturale più recente. Parlando della Chiesa cattolica, lo Scrittore esamina il Concilio Vaticano II, con le sue luci (soprattutto l’avvio di una teologia del pluralismo religioso) e le sue problematiche irrisolte (l’esitazione ad abbandonare l’identificazione Chiesa=Regno di Dio), e mostra le conseguenze feconde derivanti dalla prima prospettiva, e quelle anguste derivanti dalla seconda. La Valle ha parole severe verso una "restaurazione" che, iniziata con Paolo VI, è poi proseguita. Del resto, dopo aver sottolineato che la "irrilevanza" di Dio è caratteristica di larga parte della modernità, commenta: "Una irrilevanza di Dio si manifesta anche nelle Chiese, come nelle recenti dispute con i legislatori italiani e spagnoli e con i costituenti europei, nelle quali la Chiesa romana ha fatto appello alla biologia, alla natura, alla storia, alle tradizioni culturali, alla precauzione politica, ma non a Dio, anzi ci ha tenuto a dire che la sua dottrina, la verità di cui era custode, corrispondeva a una visione razionale e umana a tutti comune, e sarebbe stata la stessa anche a pensare che Dio non ci fosse". E, a proposito della recentissima (estate del 2007) decisione di Benedetto XVI di reintrodurre nel rito romano il Messale in uso prima della riforma liturgica promulgata dal Concilio, nota: "Per la prima volta veniva assunta una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa come se il Concilio non ci fosse stato. Un nuovo come se che irrompeva nell’orizzonte ecclesiale… Veniva compiuta un’operazione, sia pure presentata come una concessione a un piccolo numero di fedeli, per la quale il Concilio si considerava semplicemente non avvenuto". Tuttavia, osservando i molti fermenti che, malgrado tutto, fioriscono nella Chiesa romana, lo scrittore suggerisce di non abbandonarsi ad un pessimismo eccessivo, perché viva è la "resistenza" ad un affossamento del Concilio: "Non è possibile licenziare il Concilio invocando il Concilio. Le citazioni dei testi del Vaticano II nei documenti dell’autorità ecclesiastica che tendono a correggerlo, gridano contro quelle stesse pagine in cui sono incastonate. Il Concilio resiste all’archiviazione. La restaurazione dolce non funziona. Occorrerebbe semmai che esso divenisse oggetto di un esplicito ripudio, di un’aperta sconfessione, ma questa sembra un’ipotesi lontana, se non impossibile; e troppo grande sarebbe la crisi che ne seguirebbe. Perciò si può pensare che la Chiesa della restaurazione ci farà soffrire; forse a qualcuno farà cadere la gioia dal cuore, mentre dopo il Concilio stare nella Chiesa era diventata una festa; ma non prevarrà". Sulle religioni, e sulle persone alla ricerca di Dio, La Valle fa sua l’ipotesi di Tommaso Moro "e, cioè, che vi siano molte vie, molti approcci, molte immagini, percezioni, visitazioni, riconoscimenti, esperienze, identificazioni di Dio, e che questa sia una cosa buona. Ciò dipende dal fatto che Dio non è vincolato nemmeno alle vie di salvezza che egli stesso ha aperto, che lo spirito di Cristo non è vincolato alle nostre professioni di fede cristologiche; egli stesso si apre le porte, nessuno sa da dove viene né dove va (Gv 3,8). Esso certamente sussiste in una religione e in una Chiesa, ma non è racchiuso e circoscritto in una religione e in una Chiesa. Perciò lo statuto dell’inabitazione di Dio nell’uomo, nel servo, e quindi in tutti gli uomini, in tutti i servi, è lo statuto del pluralismo religioso, e la sua pienezza si può attingere solo attraverso il dialogo tra le culture, l’ecumenismo tra le Chiese e la comunione delle fedi. E questo non è relativismo, perché Dio è sempre lo stesso anche se è percepito, sperimentato e declinato in molteplici modi". (luigi sandri)
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