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IL VESCOVO PRESIDENTE RIACCENDE I RIFLETTORI SUL PARAGUAY DIMENTICATO

Tratto da: Adista Notizie n° 35 del 03/05/2008

34405. ASUNCIÓN-ADISTA. Chissà da quanto tempo i giornali italiani (e non solo) non dedicavano tanto spazio a un Paese completamente ignorato come il Paraguay. Il merito dell’interesse mostrato dalla stampa è di Fernando Lugo, vincitore delle elezioni presidenziali del 20 aprile scorso, primo vescovo in America Latina, se non nel mondo, ad assumere la presidenza di uno Stato. Un’impresa tanto più clamorosa in quanto la sua vittoria ha posto termine a 61 anni di governo del Partito Colorado, rimasto saldamente al potere anche dopo la fine della lunga e feroce dittatura di Alfredo Stroessner (1954-1989). Lugo, che di anni ne ha 57, e che dunque in tutta la sua vita non aveva mai visto i Colorados all’opposizione (durante la dittatura suo padre è stato arrestato più di 20 volte e tre dei suoi fratelli sono stati torturati ed espulsi dal Paraguay), era entrato all’età di 19 anni nella Congregazione del Verbo Divino ed era stato ordinato sacerdote nel 1977, per poi partire alla volta dell’Ecuador, dove aveva preso contatto con mons. Leonidas Proaño, il vescovo degli indios. Nominato vescovo della diocesi di San Pedro, la regione più povera del già poverissimo Paraguay, nel 2005 Lugo aveva presentato la sua rinuncia alla carica, pare per motivi di salute (ma secondo altre fonti sarebbe stato Giovanni Paolo II a invitare il vescovo a dare le dimissioni per le sue oltremodo coraggiose prese di posizione in campo sociale). In realtà Lugo, noto per la sua vicinanza alla Teologia della Liberazione, è sempre stato uno dei vescovi più impegnati con il movimento contadino, duramente represso nel Paese da polizia e paramilitari. Ed è infatti proprio dai contadini e dagli indigeni, riuniti nel movimento Tekojoja (uguaglianza in lingua guaraní), che gli è giunta la richiesta più pressante di scendere in politica in vista delle elezioni presidenziali. Un invito che egli ha accolto nel dicembre del 2006, dopo aver chiesto la riduzione allo stato laicale (v. Adista nn. 3 e 19/07).

Un caso “inedito”

Invano il Vaticano ha provato a dissuaderlo dall’intento di entrare in politica, prima inviando al vescovo, nel dicembre del 2006, un'ammonizione canonica (sulla base del canone 285 del Codice di Diritto Canonico, che proibisce al clero di assumere incarichi pubblici che comportino una partecipazione all'esercizio del potere civile), poi respingendo la richiesta di riduzione allo stato laicale avanzata dal vescovo, infine comminandogli, il 20/1/2007, la sospensione a divinis. Lugo si era appellato al canone 287 del Codice di Diritto Canonico, che ammette la possibilità di una partecipazione diretta in politica da parte del clero nel caso “lo richiedano la difesa dei diritti della Chiesa o la promozione del bene comune”, condizione quest'ultima ritenuta da Lugo applicabile alla sua situazione. Ma il prefetto della Congregazione per i Vescovi, il card. Giovanni Battista Re, aveva negato che l'eccezione al divieto generale contemplata dal canone potesse essere prevista nel suo caso, ricordando inoltre come “la sacra ordinazione, una volta ricevuta validamente”, non possa “mai essere annullata”, imprimendo il sacramento dell'Ordine “un carattere indelebile e permanente”.

Tuttavia, ora che Lugo ha vinto le elezioni, in Vaticano ci si domanda cosa fare: se, cioè, concedergli la dispensa dagli oneri annessi all’ufficio, cioè la riduzione allo stato laicale, che prima gli era stata negata. Secondo mons. Velasio De Polis, canonista e neopresidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede, il caso è “inedito” e quindi ci sarà bisogno di “un po’ di tempo per studiare la situazione e riflettere”. Quanto a Lugo, egli ha sempre voluto evitare toni polemici, spiegando che il rifiuto del Vaticano ad accettare la sua rinuncia era “coerente con il pensiero della Chiesa”: “Per quanto mi faccia male, capisco. Sono ancora parte della Chiesa cattolica”. Né ha nascosto il suo desiderio, una volta conclusa la sua esperienza alla guida del Paese, di essere un giorno reintegrato: “Io non rinnego nulla né della mia fede né della mia Chiesa”. E intanto, il giorno dopo la sua elezione, Lugo ha voluto chiedere perdono: “Se il mio atteggiamento e la mia disobbedienza alle leggi canoniche hanno provocato dolore, chiedo sinceramente perdono ai membri della Chiesa, In particolare, chiedo perdono a Benedetto XVI”.

Ricostruire il Paese

Quello che invece attende oggi l’ex vescovo è un compito di enorme portata: risollevare le sorti di un Paese noto per gli altissimi livelli di corruzione e clientelismo, e in cui più del 50% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e il 35% nella miseria assoluta. E ciò malgrado il Paraguay, sostanzialmente dipendente dalle esportazioni agricole verso l’Argentina e il Brasile (con quasi metà del territorio in mano alle imprese straniere, soprattutto brasiliane), sia ricco di petrolio e di risorse idriche (l’Acuífero Guaraní è una delle più grandi riserve sotterranee di acqua dolce del pianeta) e disponga di grandi quantità di energia elettrica, grazie alle centrali idroelettriche di Itaipu e Yacyretá, costruite con capitali brasiliani e argentini. Tra i punti essenziali del programma di Lugo vi è proprio quello di rinegoziare il Trattato di Itaipu, sottoscritto dal dittatore Stroessner con il dittatore brasiliano Médici, in base al quale il Paraguay si vede costretto a vendere il proprio eccedente di elettricità esclusivamente al Brasile e a prezzo di costo anziché di mercato. Un obiettivo che confligge con gli interessi del Brasile e che può creare attriti in seno al Mercosur (il Mercato Comune del Cono Sur di cui fanno parte Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay, a cui si è aggiunto il Venezuela: tutti, dopo la vittoria di Lugo, retti da governi di sinistra o di centro-sinistra), sul quale Lugo, però, continua a scommettere, pur evidenziando la necessità di superare le asimmetrie esistenti: “È necessario un nuovo Mercosur, per intensificare e garantire lo sviluppo dei Paesi minori”. Dal Brasile giunge comunque un segnale di apertura: “Continueremo a discutere con il Paraguay sul tema di una remunerazione adeguata per la sua energia. Questo è giusto”, ha dichiarato il ministro degli Esteri brasiliano Celso Amorim. A cui Lugo, all’indomani delle elezioni, ha risposto escludendo che le divergenze tra i due Paesi possano condurre ad una crisi come quella che si è registrata tra il governo boliviano e la Petrobrás (l’industria petrolifera brasiliana). “Noi abbiamo un trattato bilaterale - ha spiegato -. Mentre la Bolivia aveva un contratto con un’impresa. È diverso. Cercheremo di raggiungere un accordo che sia buono per entrambi i Paesi”.

Altro punto centrale del suo programma di governo è quello relativo ad una “riforma agraria integrale”, che non preveda cioè solo la ridistribuzione della terra, ma anche la creazione di un diverso modello produttivo, in cui i protagonisti siano i contadini e gli indigeni. Obiettivo di Lugo è quello di rilanciare l’economia del Paese, ma “democratizzando la crescita economica”. Un compito che dovrà essere accompagnato da una riforma delle istituzioni, oggi completamente nelle mani del Partido Colorado, e dal recupero dell’indipendenza del potere giudiziario, oltre che da una lotta campale contro la corruzione. Una difficoltà potrebbe venire per Lugo dalla variegata composizione della sua Alleanza Patriottica per il Cambiamento (Apc), di cui fanno parte nove partiti, dalla destra del Partito Liberale Radicale Autentico (Plra), a cui appartiene il vice di Lugo, Federico Franco, fino all’estrema sinistra, e circa 20 movimenti sociali. Ma l’ex vescovo si dice fiducioso, e, per quanto lo riguarda, insiste di non essere né di destra né di sinistra, ma piuttosto di centro, sottolineando come l’opzione preferenziale per i poveri sia per lui un’opzione pastorale, non una scelta di classe.

Al di là dell’ambiguità ideologica dell’ex vescovo, però, la vittoria di Lugo rimane una splendida notizia per il processo di integrazione dell’America Latina. Resta da vedere come reagiranno le oligarchie, sul piede di guerra in tutti i Paesi in cui si assiste ad un reale processo di cambiamento (a cominciare dalla Bolivia, v. Adista n. 33/07). E gli Stati Uniti, che in Paraguay hanno ottenuto la concessione dell’importante base aerea di Mariscal Estigarribia, a 200 Km dalla frontiera dell’Argentina e a 300 km da quella del Brasile, con una pista superiore a quella dell’aeroporto internazionale di Asunción e la capacità di ospitare fino a 20 mila soldati. (claudia fanti)

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