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TRA CAUTELE E SPERANZE, LE CHIESE CRISTIANE SALUTANO IL NUOVO PRESIDENTE

Tratto da: Adista Notizie n° 10 del 31/01/2009

34802. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. La Chiesa cattolica ha seguito da subito con cautela l'ascesa di Barack Obama alla guida degli Stati Uniti: teme le sue posizioni liberal sulle questioni morali, dall'aborto alla ricerca sulle staminali, e già rimpiange il rapporto privilegiato che si era stabilito con il 'cristiano rinato' George W. Bush. Alla cerimonia di insediamento del 44.esimo presidente Usa, la Santa Sede ha preferito limitarsi a rispettare rigorosamente il protocollo diplomatico, inviando come proprio rappresentante il nunzio a Washington, mons. Pietro Sambi.

Coincidenza ha voluto che il primo giorno da presidente di Obama coincidesse con l’anniversario della sentenza Roe vs. Wade che nel 1973 ha legalizzato l'interruzione di gravidanza negli Stati Uniti. Ogni anno, il 22 gennaio, centinaia di migliaia di cattolici partecipano a Washington all'annuale March for Life contro l'aborto. A guidarla, c'era questa volta l'arcivescovo di Philadelphia, card. Justin Rigali.

 

Cautela in Vaticano

In occasione dell'insediamento di Obama, papa Benedetto XVI ha inviato come da tradizione un telegramma di auguri. Nel suo messaggio, Ratzinger auspica che sotto la leadership di Obama “il popolo americano continui a trovare nella sua eredità religiosa e politica i valori richiesti dal cooperare nella costruzione di una società libera e giusta, segnata dal rispetto della dignità, uguaglianza e diritti di tutti i suoi membri, specialmente i poveri, gli emarginati e chi non ha voce ”. “In un'epoca in cui molti fratelli e molte sorelle in tutto il mondo chiedono la liberazione dal flagello della povertà, della fame e della violenza, prego che lei confermi la sua risoluzione di promuovere la comprensione, la cooperazione e la pace tra le Nazioni, perché tutti possano partecipare al banchetto della vita che Dio ha preparato per tutta la famiglia umana”.

Sotto l’aspetto più squisitamente politico, l’insediamento di Obama è stato accolto con sostanziale ottimismo in Vaticano: così le speranze per ciò che il nuovo presidente potrà fare per la crisi economica e sulla scena internazionale, soprattutto per il conflitto israelo-palestinese, sembrano mettere in secondo piano, almeno per ora, le preoccupazioni per le questioni etiche. L'Osservatore Romano ha paragonato l'arrivo di Obama alla Casa Bianca con la caduta del Muro di Berlino e ha ascritto al “grande merito” del nuovo presidente quello di “di aver già ridato fiducia nella politica”. Adesso, il primo 'esame' per il nuovo presidente sarà la scelta dell'ambasciatore Usa presso la Santa Sede, chiamato a sostituire una beniamina del Vaticano, la professoressa Mary Ann Glendon, ex-presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.

 

Le due lettere dei vescovi Usa

Ma i messaggi più significativi sull'atteggiamento che la Chiesa cattolica terrà nei confronti della presidenza Obama sono quelli che provengono dalla Conferenza episcopale Usa (Usccb). Stranamente, in meno di una settimana, il presidente della Usccb, l'arcivescovo di Chicago, card. Francis George, ha inviato ben due lettere al nuovo presidente, la prima datata 13 gennaio, la seconda 16 (ma è stata resa nota solo a poche ora dall'inizio della cerimonia di insediamento).

Nella prima lettera, il card. George parla della “speranza” che segna l'arrivo di Obama alla Casa Bianca e rinnova “l'offerta di cooperazione” dei vescovi “sui valori e sulle politiche che daranno forma al futuro della nostra nazione”. In particolare, George mette l'accento sui temi della povertà (appoggiando gli interventi massicci promessi da Obama per contrastare la crisi), dell'immigrazione (sposando l'idea di riformare il sistema portata avanti anche dal neo-presidente) e della riforma della sanità pubblica, la cui esigenza è condivisa tanto da Obama quanto dalla Chiesa cattolica. Nella lettera, naturalmente, l'episcopato Usa non manca di fare riferimento anche alla questione dell'aborto. “Ci opporremo – scrivono i vescovi – alle misure legislative e di altra natura volte a espandere il diritto all'aborto. Gli sforzi per costringere gli americani a finanziare l'aborto con i soldi delle loro tasse porterebbero una grave sfida morale e metterebbero in discussione il passaggio di una essenziale riforma della sanità”.

Questa prima lettera, però, è risultata forse troppo morbida e accomodante ad alcuni vescovi, che hanno chiesto e ottenuto una correzione di rotta, puntualmente recepita nella seconda lettera del card. George, redatta ad appena tra giorni di distanza dalla prima. Nella seconda missiva, George si concentra esclusivamente sulle questioni etiche e scrive che sarebbe un “errore gravissimo” per la nuova amministrazione democratica permettere il finanziamento federale della ricerca sulle cellule staminali o cambiare in qualche modo l'attuale legislazione sulle questioni della 'vita'. Si tratta di decisioni che “potrebbero introdurre importati fattori negativi e di divisione nella vita nazionale, in un momento in cui dobbiamo unirci per affrontare le gravi sfide che minacciano il nostro popolo”. George mette esplicitamente in guardia Obama dall'usare i suoi poteri “per cambiare le leggi attuali che si oppongono alla distruzione della vita umana per mano del governo” - un riferimento al Freedom of Choice Act, una legge che allargherebbe le possibilità di ricorso all'aborto in tutti gli Stati Uniti, anche in quegli Stati dove le leggi nazionali hanno reso l'interruzione di gravidanza de facto illegale (v. Adista n. 83/08). “Ti invito – conclude il presidente dei vescovi Usa – a riflettere su quello che potrebbe essere un errore terribile, moralmente, politicamente e per quel che riguarda la crescita della solidarietà e del benessere del popolo della nostra nazione”.

 

In Italia

Nel nostro Paese, da parte cattolica si segnala l'editoriale dedicato dal quotidiano della Cei Avvenire ad Obama nel giorno del suo insediamento (21 gennaio), firmato da Andrea Lavazza, che mette in evidenza l'“incognita delle scelte sul fronte della tutela della vita” e sottolinea come “l'auspicio a dare priorità ai poveri” sia “un impegno da verificare”.

Ben diversi i toni usati dalla Chiesa valdese: in un editoriale dell'agenzia Nev, Paolo Naso parla di una cerimonia di insediamento dal “ significato eccezionale” perché “rappresenta una frattura netta con la cultura, la politica e la religiosità di George W. Bush”. Se “nei giorni delle celebrazioni dell'inizio del nuovo mandato presidenziale, il nome di Dio è risuonato molte volte”, nota l'agenzia valdese, non si tratta di“una contraddizione” perché “questa cerimonia, e le altre che l'hanno preceduta, avevano il carattere laico di celebrare un patto civile contratto tra uomini e donne liberi che confidano che l'amministrazione Obama possa svolgere un ruolo positivo per il Paese e per la comunità internazionale”. (alessandro speciale)

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