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Armi, la droga peggiore

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 12 del 31/01/2009

Tra le cose cui probabilmente conviene allenarsi a resistere c’è il fascino dei mezzi potenti. Sono gli strumenti di seduzione, le tentazioni dell’idolatria. Il danaro ci attira e ci affidiamo a lui e alle sue leggi. Lo stesso accade con i meccanismi di fanatizzazione di massa: televisioni, grandi manifestazioni, la forza di cosche e organizzazioni … C’è da vegliare, come credenti e come cittadini, perché il fascino degli “strumenti forti” non prenda la mano e diventi fattore di prevaricazione e violenza personale e politica.

Fra tutti ci sono dei mezzi che contengono un veleno mortale, e sono le armi. Questi moltiplicatori della forza creano inevitabilmente situazioni di disparità: di dominio e di oppressione ed anche sangue e morte. Esistono forse delle circostanze in cui le armi, affidate a persone responsabili, guidate da regole precise, controllate prima e dopo circa la rettitudine delle intenzioni e dell’uso concreto, possono essere accettabili o comunque un “male minore”. Ma in nessun caso si può dimenticare che le armi cambiano chi le usa e favoriscono sempre un delirio di onnipotenza. La facilità di fare danni immensi senza alcun controllo razionale e morale… Se posso imporre qualcosa con la forza sarò molto meno motivato a persuadere con la ragione il mio interlocutore o avversario.

Le armi sono le droghe più pericolose: rovinano il cuore e il cervello, cambiano la psicologia delle persone che le usano. Avete presente come cambia la faccia di una persona che esibisce armi o minaccia o spara? E prima ancora di provocare vittime innocenti rovinano il sistema economico con una produzione che non solo è inutile ma comporta disuguaglianze, ingiustizie e danni anche economici.

Le armi rendono possibile la sopraffazione e rendono vano il dialogo, la persuasione e il compromesso; rendono inutile la ricerca di strade più complesse, più nuove e giuste. Si può forse dire che le armi sono davvero una causa di regressione nello sviluppo dell’umanità.

Bisogna imparare a resistere senza aver bisogno delle armi, ma affidandosi all’intelligenza, alle idee, alla capacità di esempio e di creatività morale. Ovunque: nelle case, nella vita sociale, nei rapporti internazionali. In Italia ci sono dieci milioni di armi “legali”, quattro milioni di famiglie hanno un’arma. Basta leggere i giornali per capire come e quando vengono usate. E poi ci sono le armi della delinquenza. La “legittima difesa” è poco più (o meno) di una illusione, talvolta luciferina. Non parliamo delle armi negli Stati Uniti e tantopiù nei Paesi dove c’è una guerra civile, latente o dichiarata. E non parliamo dei teatri delle guerre, magari chiamate missioni di pace….

Resistere al barbaro mito della necessità o della utilità delle armi, con le loro spese pazzesche e l’oscena idolatria che comportano: ecco un bel programma da proporre ai giovani, da trasformare in cultura minuta, mentalità diffusa. Spesso si tratta solo di farlo emergere con pazienza: meno armi ci saranno in giro (nelle case, per le strade e nelle caserme) meglio sarà per tutti, soprattutto perché ciò contribuirà anche al disarmo dei cuori e ad una maggior giustizia e serenità sociale.   (ab)

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