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ACCOGLIERE LA SUA TESTIMONIANZA DI CHIESA

Tratto da: Adista Documenti n° 47 del 02/05/2009

Caro Vittorio,

mi chiedi che pensi dell'ufficialità che si costruisce attorno a don Mazzolari nel cinquantesimo della sua morte, un'oc-casione attesa e preparata per onorare i comportamenti, i sentimenti, la memoria insomma di questo nostro fratello la cui vita è stata intensamente vissuta davanti alla Parola che non passa, all'amore del Padre fatto carne in Gesù Cristo.

Debbo fare una precisazione che mi sembra importante anche se potrebbe sembrare una questione formale. Tu mi chiedi che io parli di don Mazzolari "in quanto suo discepolo". In questa espressione ci può essere un equivoco. Innanzitutto, come lo conobbi io, don Mazzolari non voleva discepoli che lo imitassero. E penso che non ci fosse nulla da imitare. Don Mazzolari indicava chi bisognava imitare ponendosi sempre come discepoli. Il mio Maestro, diceva parlando dei comportamenti evangelici. Don Primo incentrava tutta l'influenza che la sua eccezionale parola e sensibilità suscitava senza nemmeno ricercarla verso l'evangelo. Cercava collaboratori, questo sì, alla maniera dell'apostolo, perché gli fossero d'aiuto e di sostegno nell'opera che sentiva come una missione. Forse ci fu chi poco intelligentemente pensò a un'imitazione di facciata, rasentando il ridicolo. Se ci fu qualche tentativo in questo senso, si sciolse nel nulla, al suo timido apparire.

Questo non significa che don Primo non esercitasse un'influenza straordinaria. Parlo per me. Nella mia decisione di scegliere nella vita di diventare prete, i libri e l'esempio di don Primo ebbero una grande importanza; soprattutto sul modo di esercitare il sacerdozio, se mai fossi giunto a tale meta. L'influenza andava al cuore dell'evangelo senza che altre considerazioni potessero intromettersi, e che oggi sembrano essere addirittura la ragione dei fari puntati su don Primo in occasione del 50.mo della sua morte.

Lo si vuole onorare definendolo un Profeta. È un modo piuttosto sbrigativo per non chiederci che cosa ha lasciato, trasmesso, alla Chiesa tutta, e interrogarci se l'unico modo di onorarlo non sia quello di riprendere la sua passione di evangelizzatore. Non fu un profeta perché continuamente indicava, come Giovanni il Battista, Colui che aveva realizzato in sé ogni profezia. Chiamandolo profeta si corre il rischio di legittimare il comportamento d'incomprensione nei suoi confronti e di chiudere la questione innalzando il monumento al Profeta che non poteva essere compreso e che, quindi, seguì la sorte d'ogni profeta che non è mai accetto fra i suoi.

Si dice anche che precorse i tempi. Non c'è tema che don Primo abbia trattato che non sia definito un precorrere i tempi, avendo, ad esempio, come punto di riferimento, perfino il Concilio. Precorse anche il Concilio. Io penso che a interrogarlo allora, quando non si faceva questione né di profezia né di anticipazione dei tempi, don Primo avrebbe risposto che il tempo era ormai compiuto in Cristo, la pienezza del tempo altro non era che Cristo crocifisso e risorto, che il Padre ci aveva donato come segno del suo amore assoluto per l'uomo.

E allora, che cosa richiederei perché l'avvenimento del 50.mo della morte sia l'occasione per accogliere e fare propria, come Chiesa, la sua testimonianza di Chiesa? Mi rifaccio ancora alla mia esperienza personale. Non è che in casa mia, trattandosi della scelta che intendevo fare, la cosa fosse pacifica. Mio padre mi diceva che i preti non avevano cuore e che l'unico che lui conosceva veramente di cuore, don Primo, era messo al bando dalla Chiesa a dimostrazione che essa non voleva preti di cuore. Fino all'ultimo - dico alcuni minuti prima che entrassi negli esercizi del suddiaconato - batté per l'ultima volta su quel tasto. Non poteva accettare che suo figlio non potesse avere cuore. Al mio sorriso aggiunse: "Se proprio vuoi fare il prete, fallo giusto". Sapevo che cosa intendeva con quell'aggettivo: avere cuore e non cercare soldi. Come don Primo.

Ecco, non si dovrebbe dimenticare, in tutta l'ufficialità dei riconoscimenti - dicono perfino sedute alla Camera, un francobollo commemorativo, discorsi ufficiali di chi non conobbe don Primo e riuscirà a diventare punto di riferimento anche nella banalità - che don Primo ebbe un cuore di carne, come il suo Maestro oltretutto. Fin dalla prima omelia, giovanissimo curato in un paesetto a pochi chilometri da Cremona sul Po, ebbe la testimonianza della Nina: "Signor Curato, per essere la prima volta ha proprio parlato con cuore". Credo che anche l'ultima volta, a pochi giorni dalla morte, se ci fosse stata la Nina gli avrebbe detto: "Signor Parroco, per essere l'ultima volta ha proprio parlato con cuore". Fra la prima e l'ultima c'è stata di mezzo tutta la vita di un cuore che bruciava da consumarsi, come aveva splendidamente previsto il vecchio parroco della Nina che aveva udito, anche lui, la prima omelia: "Quel ragazzo ha del cuore fino in bocca". Vecchio di vita ed esperienza, aveva aggiunto con una lucidità impressionante, che sembrava illuminare le fatiche e le gioie di avere, come prete, un cuore di carne: "Penserà ben qualcuno nella vita a farglielo rimasticare". Non si dice nulla di strano a lamentare nella Chiesa di oggi la quasi assenza di un cuore di carne alla maniera d'un Giovanni XXIII (non per niente in un fugace apparire questo papa e don Primo s'intesero e si sorrisero). Chissà, fosse ancora vivo, soprattutto in questi ultimi tempi, come avrebbe dovuto rimasticarlo, questo suo cuore!

Credo, caro Vittorio, che questo sia il lascito di don Primo alla Chiesa, un dono che anche lui ha ricevuto attraverso avvenimenti e persone che gli hanno costruito il cuore. Allora accetto tutta l'ufficialità come il prezzo che questo nostro grande fratello deve pagare, come altri che lo precedettero su questa linea, per tranquillizzare a basso prezzo buone coscienze, perché non è possibile imbalsamare un cuore di carne che continuamente pulsa negli scritti e nei comportamenti di don Primo. Ormai il dono è irrevocabile per don Primo e per la sua Chiesa, la promessa pasquale già avverata come Profezia: "Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne" (Ez 36, 26). E tutto questo, nella stessa Profezia realizzata, "non per riguardo a voi, ma per amore del mio nome santo". Per amore del Cuore di Carne di Cristo, come cercò di dimostrare don Primo in tutta la sua vita.

Caro Vittorio, potrebbe essere questa lettura della vita e della testimonianza di don Primo un impegno di "Noi siamo chiesa", dato che volete onorare anche voi don Primo nella semplicità del cuore e nella verità della mente.

tuo Luisito

Viboldone, 15 aprile 2009

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