IL VANTAGGIO DI ISRAELE
Tratto da: Adista Contesti n° 74 del 04/07/2009
Che IN IRAN vincano i moderatii conservatori, ISRAELE AVRà QUALCOSA DA GUADAGNARE.
Tratto dal quotidiano israeliano “HAARETZ” (22/6/2009). Titolo originale: “Can Iran be freed from its religious regime?”
In Israele, il dibattito su quanto sta accadendo in Iran oscilla tra due poli problematici: la copertura mediatica, che soffre di una eccessiva drammatizzazione – alcuni eventi sono già di per sé ‘storici’ – e le osservazioni del mondo politico, che sono segnate da troppa sufficienza.
La prospettiva israeliana
Il conflitto a volte violento in atto in Iran non è tra i figli della luce e i figli dell’oscurità. In un certo senso, come già sottolineato dal professor David Menashri della Tel Aviv University, è una specie di lite di famiglia: fazioni che facevano parte del regime ispirato dalla Rivoluzione islamica ora ne mettono in discussione l’autorità.
È il caso di “conservatori moderati” come l’ex-presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, e anche di riformisti come l’ex-primo ministro Mir Hossein Mousavi. Già adesso, e anche se la rivolta sarà schiacciata, possiamo concludere che l’Iran è cambiato negli ultimi 10 giorni. Ma non è chiaro nemmeno se nemmeno il successo di una rivoluzione basterà a sottrarre l’Iran all’influenza dell’establishment religioso.
D’altra parte, Israele – che, c’è da sperare, si astenga dall’interferire eccessivamente negli eventi – ha qualcosa da guadagnare da entrambi gli scenari: se il dominio dei conservatori resiste, lo farà al prezzo di una brutale repressione delle proteste.
La comunità internazionale, che nel corso degli anni ha sviluppato una inquietante apatia verso le minacce iraniane di distruggere Israele, è molto più preoccupata della democrazia calpestata a Teheran. E questo può provocare un approccio molto più duro da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea se falliranno i negoziati sul programma nucleare iraniano e le sanzioni saranno inasprite.
Allo stesso tempo, una vittoria dei moderati, per quanto siano impegnati a portare a termine il progetto nucleare, potrebbe aumentare l’apertura dell’Iran all’Occidente e permettere accordi che fermeranno il progetto, anche se ad un prezzo difficile da pagare per la comunità internazionale. Israele, in questo caso, sarebbe più preoccupato dall’atteggiamento del governo Usa.
L’inazione del presidente Barack Obama di fronte alle provocazioni nord-coreane, così come la distanza tra i suoi appassionati discorsi e il suo comportamento esitante sul terreno, sono sconcertanti.
I limiti dell’intelligence
Non è una grande sorpresa, ma quanto sta accadendo in Iran, dai risultati delle elezioni alle grandissime proteste, è un brusco promemoria dei limiti dell’intelligence. Potremmo persino pensare che sugli eventi la Cia riceve più informazioni dalla Cnn – per quanto questa sia limitata dalle autorità iraniane – dai blog e da Twitter che dai suoi agenti nel profondo della terra degli ayatollah. L'intelligence occidentale si è concentrata sul programma nucleare molto più che sulla stabilità del regime iraniano. Una delle grandi domande di questa settimana verte sul perché i servizi segreti non hanno previsto quanto stava per succedere. Ma gli eventi in Iran hanno colto il mondo di sorpresa, e viene da chiedersi se persino gli 007 iraniani avessero idea di quanto stava per accadere. Diversamente dalla conta di carrarmati o centrifughe per l'arricchimento dell'uranio, processi meno 'fisici' come le intenzioni dei leader, i risultati di un'elezione o la volontà di una nazione di ribellarsi ad un regime tirannico sono molto più complessi da prevedere.
Anche un singolo database può portare a conclusioni completamente opposte, come quelle offerte dal servizio segreto militare e dal Mossad sui vantaggi di un negoziato con la Siria. Gadi Eisenkot, comandante generale del settore nord, racconta spesso che il suo incarico di ministro dell’esercito con l’allora primo ministro Ehud Barak gli ha insegnato una lezione importante: “Ero nella stessa stanza con lui, e spesso non avevo idea di cosa stesse pensando o preparando. Come pensiamo che i nostri 007 possano sapere cosa passa per la testa del presidente siriano Assad?”.
Il generale di brigata in pensione Shalom Harari, che ha preso parte alla supervisione delle attività dell’esercito nei Territori, racconta di aver toccato con mano i limiti dell’intelligence all’esplodere della prima intifada nel 1987: “Tutti possono dire che la situazione presente è insopportabile e porterà ad una esplosione, ma praticamente nessuno può predire il momento in cui accadrà nell’arco di dieci anni”. L’editorialista del New York Times, David Brooks, ha scritto lo scorso fine settimana: "Quel che accade veramente è lì fuori, in strada. Il corso futuro degli eventi è sommamente incerto. Il destino delle nazioni è determinato da sguardi e incontri casuali: dagli sguardi che i poliziotti si scambiano mentre da un viale avanza la folla che protesta... da un capitano che decide oppure no di uccidere un suo concittadino; da una donna timida che salta fuori da un gruppo per gettarsi sui teppisti che stanno prendendo a pugni un ragazzo a terra sul marciapiede". Brooks riporta anche una frase di Michael McFaul, un esperto di democrazia membro del National Security Council: "Col senno di poi, tutte le rivoluzioni sembrano inevitabili. Ma prima che accadano, tutte le rivoluzioni sembrano impossibili". L'ex-sottosegretario alla difesa Moshe Arens amava dire che gli uomini dei servizi "hanno una vista perfetta all'indietro". L’intelligence e i media hanno ‘mancato’ l’esplosione dell’Iran, proprio come i media finanziari e gli analisti non avevano previsto l’arrivo della crisi economica. La morale è che l’intelligence è uno strumento limitato, che serve a fornire informazioni ai leader ma che non può sostituire chi nei fatti prende le decisioni. I guai iniziano se mescoli i due elementi, e gli uomini dei servizi segreti sono così arroganti da dettare la politica. n
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!