Cei: meno spese militari, no al riarmo, servizio civile obbligatorio, smilitarizzazione cappellani militari
ROMA-ADISTA. Servizio civile obbligatorio, riduzione delle spese militari e degli investimenti in armamenti. È la riposta della Conferenza episcopale italiana all’aumento dei finanziamenti per le forze armate e ai piani di riarmo del governo Meloni e alla proposta del ministro della Difesa Crosetto di reintrodurre il servizio militare. Tutto scritto nero su bianco in una nota pastorale approvata dall’Assemblea generale dei vescovi italiani a fine novembre ad Assisi (“Educare a una pace disarmata e disarmante”) e resa pubblica ieri pomeriggio dall’ufficio comunicazioni della Cei. In un tempo segnato «dall’“inutile strage” di persone, per lo più civili e bambini», contraddistinto «da una mentalità che rincorre la strategia della deterrenza degli armamenti, che può cambiare l’economia e la cultura dei nostri Paesi», e caratterizzato «da una violenza diffusa che rischia di diventare una cultura che affascina soprattutto i più giovani», è «necessario» rimettere al centro il discorso sulla pace, spiega il cardinale Zuppi, presidente della Cei.
Ed è quello che prova a fare la nota pastorale dei vescovi italiani, con un’analisi che parte dall’Ottantanove, ovvero dal crollo del Muro di Berlino e dalla fine dell’Urss. «Momenti che hanno fatto sperare in una pace perpetua aprendo, dopo il 1989, una fase di contrazione delle spese militari. Si era convinti che tutti i conflitti, anche quelli sociali, andassero verso la dissoluzione, in una società globale centrata sui valori dell’autoespressione individuale, dell’autonomia, dell’espansione dei diritti civili». Invece, quegli stessi Paesi occidentali che avevano costruito il nuovo ordine mondiale, hanno in realtà contribuito al suo «deterioramento», seguendo due direttrici: un «modello economico che accresceva le diseguaglianze, rivelando la fallacia della promessa di benessere globale del liberismo»; e la guerra, «giustificata come umanitaria o perché esercitata a difesa dell’ordine internazionale». Il risultato è quello che oggi appare evidente: la «guerra mondiale a pezzi» – denunciata anche da papa Francesco – e la «minaccia nucleare».
È proprio in questo difficile contesto che bisogna tornare a «educare alla pace» – del resto quella della Cei è una nota pastorale, non una risoluzione politica – rilanciando il «primato della fraternità» e il comandamento del «non uccidere», prendendo spunto dal magistero di due vescovi, che sono stati anche presidenti di Pax Christi: Luigi Bettazzi e Tonino Bello. Con alcune proposte che i vescovi rivolgono alla Chiesa, alla società e anche alla politica, a partire dall’introduzione non di un servizio militare alla Crosetto, ma di un servizio civile per tutti. «Oggi, di fronte al mondo in guerra, dovremmo poter declinare il valore della “difesa della patria” in un servizio civile obbligatorio per ogni giovane, come momento che accompagna la maturità politica della maggiore età con quella civile e morale – si legge nella nota –. Un servizio civile obbligatorio sarebbe un investimento per dare alle prossime generazioni l’occasione di praticare la cura per la dignità della persona umana e per l’ambiente, per opporsi all’ineguaglianza che si fa sistema sociale, all’inimicizia come qualifica delle relazioni fra esseri umani e popoli, alla soggezione dell’altro alle proprie ambizioni».
Poi la riduzione delle spese militari e per gli armamenti – in Italia come in Europa – e «la presa di distanza da quelle realtà economiche che sostengono la produzione ed il commercio di armi», rafforzando i controlli della legge 185/90 (di nuovo sotto attacco delle lobby armiere e del governo) e sostenendo la campagna contro le “banche armate”. «Si parla talvolta di obiezione bancaria per indicare il disinvestimento, da parte di singoli ed istituzioni, da quei soggetti finanziari coinvolti in tali dinamiche – scrivono i vescovi –. È un’opzione importante, che singoli e comunità possono valorizzare per esprimere una volontà di pace attenta a quei fattori strutturali che contribuiscono a dinamiche conflittuali».
Infine, e questa è una proposta che la Cei potrebbe attuare in tempi brevi (se davvero volesse e riuscisse a vincere le resistenze interne), la smilitarizzazione dei cappellani militari, che oggi hanno i gradi e lo stipendio (pagato dallo Stato) di ufficiali e sottoufficiali. «Guardiamo con gratitudine all’opera dei cappellani militari», ma ci chiediamo «se non si debbano prospettare diverse forme di presenza in tali contesti, meno direttamente legate a un’appartenenza alla struttura militare: esse consentirebbero maggior libertà nell’annuncio di pace specie in contesti critici».
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