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ROMPERE L’ALLEANZA TRONO-ALTARE PER RIBADIRE LA LIBERTÀ DEI “FIGLI DI DIO”. ASSEMBLEA A ROMA

Tratto da: Adista Notizie n° 111 del 07/11/2009

35269. ROMA-ADISTA. “Qui non si tratta solo di difendere il diritto costituzionalmente garantito a rifiutare l'obbligo di un determinato trattamento sanitario che non si considera rispettoso della sua persona. Non si tratta solo di difendere la propria libertà individuale di fronte alla pervasiva ingerenza del potere politico ed ecclesiastico. Non si tratta solo di rivendicare, tanto più se si è cristiani, un senso del morire come parte del vivere, contro la cultura pagana della Chiesa che porta avanti una concezione sacrale della morte come realtà separata e opposta alla vita. Si tratta, soprattutto, di fare un atto pienamente politico: esprimere un rifiuto pubblico ed intransigente di un’alleanza trono-altare che difende la vita in un senso vuoto e strumentale. Che è capace di mobilitare centinaia di migliaia di persone a Madrid contro la revisione della legge sull’aborto, di scomunicare il medico e i sanitari che hanno consentito l’aborto di una bambina brasiliana di 9 anni violentata dal patrigno, ma che poco o nulla è capace di fare rispetto alla difesa della vita che vive, non di quella che deve cominciare a vivere o di quella che si sta spegnendo. Che è capace di dare vincolanti direttive politiche ai credenti, come nel caso del referendum sulla legge 40 (“Sulla vita non si vota!”), ma che nulla ha da dire ai parlamentari cattolici che hanno votato la guerra in Iraq ed in Afghanistan. A questa Chiesa siamo chiamati a dire un no intransigente”. Questo, secondo le parole del redattore di Adista Valerio Gigante, il senso dell’iniziativa che ha visto riunite a Roma presso il salone della Comunità di Base di San Paolo, un centinaio di persone, per un’assemblea di solidarietà ai 41 preti che a marzo 2009 avevano sottoscritto un documento sul fine-vita in cui si dichiaravano contrari ad ogni ipotesi di idratazione ed alimentazione forzata (v. Adista n. 37/09) e ribadivano “come credenti” che chiunque può decidere “anche di morire in pace, quando non c’è speranza di migliorare le proprie condizioni di esistenza umana”. Quel documento aveva suscitato le ire del Sant’Uffizio. La Congregazione per la Dottrina della Fede aveva inviato una lettera (il cui contenuto fu rivelato dalla nostra agenzia, v. Adista n. 86/09) indirizzata ai vescovi diocesani e ai superiori provinciali dei 41 preti e religiosi con un ordine preciso: convocare i sacerdoti per richiamarli all’ordine ed eventualmente punirli.

Per non lasciare nel silenzio questo ennesimo atto repressivo da parte della gerarchia, tanto più in una materia in cui non vi è alcun pronunciamento ufficiale del magistero, Adista, MicroMega e la CdB di S. Paolo hanno voluto organizzare un incontro pubblico per testimoniare vicinanza e sostegno ai preti “disobbedienti” e manifestare estraneità alle logiche di una Chiesa che continua a negare la possibilità stessa di un libero dialogo all’interno della comunità ecclesiale. Ed appunto “Libertà di dialogo nella Chiesa” è stato il titolo scelto per la serata, che ha visto la partecipazione di diversi tra i preti firmatari dell’appello. Tra loro, frate Benito Fusco, che, trasferito dall’eremo di Ronzano in una piccola parrocchia della pianura padana, ha pagato di persona quella che lui stesso ha definito una “scelta di fede”. “Il mio superiore provinciale mi ha riferito i rilievi della Congregazione per la Dottrina della Fede. Non mi è stato consegnato nulla per iscritto. Per cui non ho avuto nemmeno la possibilità di rispondere a rilievi precisi dal punto di vista dottrinale o pastorale. Ho intuito però che mi veniva soprattutto rimproverato di avere, con la mia firma, favorito ‘il suicidio e l’eutanasia’ e di avere collaborato con un’iniziativa di una rivista laicista ed anticlericale’”. Rilievo curioso, quest’ultimo, come ha sottolineato il redattore di MicroMega (e di Adista) Emilio Carnevali, dal momento che anni fa Ratzinger partecipò ad un dialogo con il direttore di MicroMega, Paolo Flores d’Arcais. Un volumetto, intitolato “Dio esiste. Un confronto su verità, fede e ateismo” (edito nel 2005 come supplemento al n. 2 della rivista), raccolse i contenuti di quel dibattito. Ratzinger ne scrisse la prefazione, affermando tra l’altro che, “nei rari momenti liberi”, leggeva ed apprezzava la rivista.

“È possibile morire naturalmente?”: è questo - ha raccontato don Alessandro Raccagni, vicario della parrocchia di s. Lucia a Bergamo - l’interrogativo che mi ha spinto a sottoscrivere l’appello. “Un appello i cui contenuti non capisco come mai siano dispiaciuti alla gerarchia, che usa continuamente l’espressione ‘naturale’ e ‘secondo natura’, ma la nega quando si applica alle questioni del fine-vita”. “Ritengo che soprattutto in questi tempi a tutti noi credenti, preti e laici, sia richiesta una obbedienza intelligente alla Chiesa. Dobbiamo infatti rendere visibile il Vangelo. Molte volte per paura che dalla nave scendano tutti (ma quelli che dovevano scendere, non sono forse già scesi?) si sottolinea la legge ma si trascura il kerigma”. E poi, se si guarda al Vangelo, “non si può evitare di notare come Gesù abbia sempre una parola personale per ciascuno; come il suo approccio sia diverso a seconda delle persone e delle circostanze”.

Nel corso del suo intervento dom Giovanni Franzoni ha invece sottolineato il proprio “senso di compassione verso una Chiesa che va in pezzi e che più ruggisce più manifesta la propria fragilità”. “Sarà forse anche perché sono ormai arrivato ad un’età avanzata e tendo quindi a guardare alle vicende ecclesiastiche con maggiore distacco – ha aggiunto l’ex abate di S. Paolo – ma penso che i credenti, di fronte a certi atti di prepotenza della gerarchia non debbano solo reagire con la giusta indignazione, ma debbano anche soffrire, oltre che per il torto subìto, per il limite e la debolezza di chi ci fa del male, compatendo la condizione di una Chiesa che versa ormai in una gravissima crisi”. “Pur mantenendo fermi i nostri principi e la radicalità delle nostre critiche  - ha aggiunto poi Franzoni - dobbiamo inoltre mostrarci meno aspri nei nostri toni, per rendere più efficace la nostra azione di testimonianza di un’altro modo di essere Chiesa, specie di fronte a quelle persone che, pur non condividendo appieno il nostro percorso, hanno compreso che la gerarchia sta imboccando un pericoloso vicolo cieco”.

Se Franzoni ha proposto un metodo, è stato don Vitaliano della Sala ad indicare un possibile percorso: “Serve – ha detto – un maggiore collegamento tra quei preti che, come è avvenuto con l’appello dei 41, esprimono delle istanze diverse da quelle della Chiesa gerarchica. Oggi nella Chiesa, e lo dico a malincuore, i preti fanno più notizia dei laici. Non per clericalismo quindi, ma per spirito di servizio ai laici, noi presbiteri dobbiamo avere il coraggio di prendere la parola, evitando di delegare alla Cei la rappresentanza unica delle tante voci e delle tante istanze che si muovono nella Chiesa di base”.

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