QUALE DIO? QUALE RELIGIONE? L’AGENDA LATINOAMERICANA 2011 PER UNA “SPIRITUALITÀ SENZA MITO”
Tratto da: Adista Documenti n° 80 del 23/10/2010
DOC-2303. ROMA-ADISTA. Giunta al suo ventesimo compleanno, l’Agenda Latinoamericana, opera aconfessionale, ecumenica e macroecumenica ideata da dom Pedro Casaldáliga e José Maria Vigil nel solco dell’educazione popolare liberatrice dell’America Latina intesa come continente spirituale (www.latinoamericana.org), si sofferma sul tema religioso: “Spiritualità senza mito. Un’altra religione è possibile”. Tema “attuale e scottante”, evidenzia Casaldáliga nella sua “Introduzione fraterna”, checché ne pensino “certi ambienti del Primo Mondo per i quali Dio e la religione ‘sono cose passate’”, ignorando “la contraddizione sconcertante di vedere e sentire più religiosità che mai, e anche più che mai miscredenza, con tutte le conseguenti ambiguità e opportunità”. Tema di decisiva importanza - sottolinea Vigil, coordinatore dell’Agenda nonché della Commissione Teologica dell’Asett (Associazione ecumenica dei teologi del Terzo Mondo) e dei Servizi Koinonia (www.servicioskoinonia.org) - anche per chi, in ambiente macroecumenico, ha “ritenuto utile mettere da parte i temi religiosi, lasciandoli alla sfera privata di ogni persona, per porre l’accento sulla ‘prassi storica della liberazione’”. La liberazione, infatti, come l’oppressione, ha anche un carattere religioso, come stanno abbondantemente ad indicare tutti i casi della storia in cui, afferma Vigil, la religione ha giocato un ruolo determinante “nella legittimazione dei sistemi di oppressione, così come nel suscitare movimenti di liberazione e di emancipazione”. “In nome dello stesso Dio – rimarca Pedro Ribeiro de Oliveira – si benedice il capitale e si dà forza alla lotta operaia; la stessa Bibbia legittima la dittatura e la resistenza popolare”. Cosicché non si può avere dubbi sul fatto che la religione abbia bisogno di liberazione, e viceversa.
Il problema, però, è quello di sapere di quale Dio si sta parlando e anche cosa si intenda per religione e come debba essere “una religione veramente libera e liberatrice”. E in questo tentativo di dare risposta alle due domande – che Dio? che religione? – l’Agenda 2011 tocca una gamma piuttosto completa di aspetti: la storia delle religioni e dell’ateismo, la differenza e la complementarità tra spiritualità (intesa come forma di vita religiosa, intima e personale, che accompagna ogni persona e può esistere dentro o fuori le religioni) e religione (che ne costituisce la dimensione istituzionale, con i suoi riti e i suoi dogmi), la legittimazione religiosa delle guerre, il fondamentalismo e l’alienazione, il dialogo interreligioso e il macroecumenismo, la sacralizzazione del potere, del lucro, del consumismo. “La caduta, quindi – evidenzia Casaldáliga – di vecchi dei, sostituiti da nuovi dei. La necessità, la sete vitale di risposta ai più grandi interrogativi del cuore umano. La ricerca di senso per la vita personale e per la società umana nel suo complesso”.
Di quale Dio parliamo
Di sicuro, sostiene Juan Arias, autore del famoso libro Il Dio in cui non credo, ad essere in crisi non è Dio, ma le “false immagini di Dio che abbiamo accumulato con la nostra ristretta visione del mistero, del divino, di una fede sterile incapace ormai di muovere le montagne”. Ad essere in crisi, ormai destituita di senso, è, come ha mostrato con grande efficacia Roger Lenaers nel suo libro Il sogno di Nabucodonosor, o la fine di una Chiesa medievale, quella rappresentazione tradizionale di Dio in cui siamo stati educati, puramente eteronoma, in base a cui il nostro mondo imperfetto e passeggero dipende interamente da un altro mondo, perfetto ed eterno, da cui un Dio dai tratti antropomorfi esercita il suo governo su di noi, intervenendo “miracolosamente” nel dominio della natura. “Non credo – ha scritto John Shelby Spong, vescovo emerito di Newark, il cui pensiero, affidato al libro Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, è riportato dall’Agenda nei suoi tratti essenziali – in una divinità che aiuti una nazione a vincere una guerra, che intervenga nella guarigione di una persona cara, che permetta a una certa squadra di sconfiggere gli avversari”.
La nuova visione della realtà, trasmessaci dalla scienza come una sorta di nuovo racconto sacro, non permette più, insomma, di immaginare un Dio che sta fuori, che sta sopra, perché non ha più senso parlare di un “fuori” e di un “sopra” rispetto al cosmo: “La dimensione trascendente – scrive José María Vigil – non si trova espatriata, fuori da questo mondo, ma sta nella realtà stessa. Ne è il cuore”. C’è dunque una distanza inevitabile – ci segnala l’Agenda – tra l’immagine tradizionale di “dio” e “la vera Realtà Ultima, inaccessibile e inimmaginabile”. Non, dunque, un Dio che, come avviene nel modello teista, sta “lassù”, intervenendo nella storia al di fuori delle leggi naturali, e, di conseguenza, sottraendo alla creazione l’autonomia di cui questa è stata dotata. Ma un Dio come Amore primordiale e trascendente che, come afferma Lenaers, si esprime nell’evoluzione del cosmo e “nel profondo di chi è più aperto alla sua ispirazione”. Non un Dio tappabuchi fatto a nostra misura, afferma Pere Torras, ma un Dio “buco”, che noi percepiamo dal nostro lato come “un vuoto”, “anche se non sappiamo se è pieno di qualche realtà che non possiamo cogliere”. O che forse cogliamo, suggerisce Leonardo Boff, attraverso la nostra “intelligenza spirituale” (presente in noi accanto a quella intellettuale e a quella emozionale), una coscienza che, hanno scoperto i neurobiologi, ha la sua base biologica in una regione dei lobi temporali battezzata non a caso “punto Dio”, che noi alimentiamo e attiviamo quando guardiamo dentro noi stessi e dialoghiamo “con il nostro Centro e con il nostro essere più profondo”. È come – spiega Boff – se l’universo si fosse evoluto, in miliardi di anni, “fino a produrre nel cervello umano lo strumento attraverso il quale è possibile captare la Presenza di Dio che stava da sempre nell’universo anche se non era percepibile per mancanza di una coscienza adeguata”.
Una strada, non una casa
E se è cambiata l’immagine di Dio, tanto più dovrà cambiare quella della religione. “Ogni confessione religiosa è una strada - scrive il filosofo Roberto Mancini -, non una casa e tanto meno una fortezza. Se si irrigidisce come se fosse una casa, allora la religione stessa diventa idolatria”. Del resto, “chiunque abbia sperimentato l’Amore come presenza di Dio lo ha incontrato sempre oltre le divisioni e le barriere causate da ragioni religiose”. Perché la fede umana, in Dio, “ma anche nella comunione con gli altri e con il mondo naturale vivente”, nasce nella forma della religione, “ma poi, per svilupparsi e divenire matura”, deve uscire dalla religione e diventare, semplicemente, “adesione, risposta, consenso a un invito che ci raggiunge dal Dio sconosciuto”. Così, secondo Spong, gli esseri umani continueranno ad aver bisogno di riunirsi, di condividere, di celebrare, di alimentare la loro spiritualità, ma senza più strutture e rapporti di potere che riproducono il potere paternalistico di un Dio in senso teista.
“Un’altra Chiesa è possibile”, ribadisce Jon Sobrino, evidenziandone le dimensioni essenziali: una Chiesa “di poveri sofferenti”, “mossa dallo Spirito ad annunciare ai poveri la buona notizia e, senza ignorare lo spirito dell’anno di grazia, ad ammonire con cattive notizie i potenti e gli oppressori”; evangelizzatrice “in povertà”, spogliata del potere e dell’arro-ganza di fronte ad altre Chiese e religioni; “amica della ragione e della libertà dei poveri, senza infantilizzarli” per paura che una fede adulta ne metta in pericolo la sottomissione all’autorità ecclesiastica. Una Chiesa “di donne”, che permetta loro di parlare, che le incoraggi a farlo, “benché possa far male ciò che dicono, proprio perché è vero”, e di “buoni pastori”; una “Chiesa di Gesù, quello di Nazareth, che non venga annacquato in mezzo a devozioni di ogni tipo”; una “Chiesa di martiri, di misericordia coerente con i poveri”, perché “cambiano i tempi, ma continua ad essere necessaria la tempra martiriale: la decisione di rischiare e di non rifuggire i conflitti per difendere milioni di vittime”.
Di seguito, pubblichiamo due dei circa quaranta testi che fanno parte dell’Agenda 2011 (la cui edizione italiana è curata dal Gruppo America Latina della Comunità Sant’Angelo e promossa, tra gli altri, da Adista, dal Cipsi, dai Giovani Impegno Missionario e dal Sal): l’intervento di Andrés Torres Queiruga e uno dei testi di José Maria Vigil, nella sua versione più ampia inviataci dall’autore stesso (sul sito servicioskoinonia.org/agenda/archivo è possibile consultare l’archivio telematico dell’Agenda. (claudia fanti)
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