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LA VISITA CHE CI PIACEREBBE

Tratto da: Adista Documenti n° 61 del 30/07/2011

(…) Nei quattro punti che seguono vogliamo esprimere con chiarezza ciò che respingiamo della visita del papa alla Chiesa di Spagna e come vorremmo che fosse la sua presenza tra noi durante la Giornata Mondiale della Gioventù.

1. La visita di un qualificato seguace di Gesù nella Chiesa cattolica qual è Benedetto XVI dovrebbe avvenire sempre a partire dalla semplicità e dell’umiltà e mai dal fasto e dal potere. In questo senso, ci opponiamo alla prossima visita del papa a Madrid perché, a nostro giudizio, risulta in totale contraddizione con il modo di agire di Gesù e con il suo rifiuto, come tentazione diabolica, di salire sul pinnacolo del tempio per mostrare il suo infinito potere. Maria stessa, la madre di Gesù, proclama con gioiosa umiltà che il Dio che «ha innalzato gli umili» è lo stesso che «ha rovesciato i potenti dai troni». Siamo convinti che una Chiesa che intende proporre la figura di Gesù ai giovani di tutto il mondo come riferimento per la loro vita perda ogni credibilità quando pretende di farlo a partire dalla spettacolarità dei mezzi che caratterizza questo evento e dalla stessa sconcertante immagine del papa, monarca assoluto di uno Stato in cui non regnano i diritti umani; al tempo stesso simbolo di un uomo umile e povero come Gesù e sommo sacerdote di una religione rituale e dogmatica che Gesù non ha certo fondato.

D’altra parte, quel movimento liberatore iniziato con Gesù di Nazareth, che, malgrado tutto, ancora esiste nel mondo, si sente umiliato e sconcertato nel constatare che, per allestire un evento di massa trionfalistico come la Giornata Mondiale della Gioventù, il papa abbia dovuto allearsi e lasciarsi sovvenzionare dalle grandi banche, dalle multinazionali e dai “potenti della terra”. Di fronte a un fatto tanto scandaloso, molti cristiani e cristiane sinceri, ricordando la sentenza di Gesù «Non si può servire Dio e il denaro», si domandano perplessi: non sono questi grandi poteri quelli che hanno provocato la crisi che sta facendo soffrire tanta gente, che stanno sopprimendo il piccolo Stato sociale tanto faticosamente realizzato nella nostra ancor debole società, che ci stanno riconducendo al capitalismo più duro e inumano? Non sono loro che stanno sequestrando le risorse natrali del Terzo Mondo, sfruttandone i popoli con salari da fame, piegandoli a un nuovo colonialismo e condannandoli a mal vivere nella sottomissione, nell’oblio e nell’ignoranza? Non sono quelli che, con la loro avidità da usurai, stanno distruggendo il Pianeta?

Vediamo, insomma, in questa visita del papa, una legittimaziooe spettacolare dell’unione idolatrica tra le pratiche capitaliste più inumane e un settore della Chiesa che, per conservare la propria ambizione di potere e il proprio fasto, non si ferma neppure dinanzi a gesti in flagrante contraddizione con lo spirito che anima il Vangelo e, più concretamente, con l’avvertimento di non portare né bisaccia né sandali per il viaggio.

2. La visita del Fratello Maggiore – sarebbe sufficiente tale statuto giuridico-teologico – a una Chiesa locale dovrebbe servire per confermare l’uguaglianza delle cristiane e dei cristiani di questa Chiesa e per rafforzarne l’articolazione democrática, mai per legittimare un potere assoluto proprio o  di pochi uomini su una massa di sudditi sottomessa e silenziosa.

In nome dello statuto di uguaglianza paolino («non c’è più né uomo né donna, perché siete una cosa sola in Cristo»), ci opponiamo a tale visita perché è un modo spettacolare di consacrare la disuguaglianza tra le persone. Il papa non è il vicario di Cristo, perché non potrà mai sostituire Cristo – e tanto meno vicario di Dio –, né alcuna persona è più degli altri nella Chiesa di Gesù. Abbiamo un unico Signore di fronte a cui tutte e tutti siamo uguali: solo i servizi o funzioni (diakonia) diversificano la nostra uguaglianza radicale; non il genere, né la dignità e neppure la sapienza, bensì il servizio umile e gratuito.

A questo punto del terzo millennio, la sensibilità egualitaria sta espugnando le fortezze più solide e segrete di quasi tutte le società, principalmente di quella occidentale. Le rivolte del mundo arabo stanno lì a dimostrarlo. La Chiesa stessa non può più sfuggire, come un bunker inespugnabile, all’offensiva della nuova sensibilità alimentata dallo sviluppo scientifico e dalla diversità culturale. Non può più, la Chiesa cattolica, continuare a mantenere e a difendere teologicamente la disuguaglianza tra le seguaci e i seguaci di Gesù in nome di Dio. Deve aprire le porte, come già aveva intuito il Vaticano II, alla democrazia non solo formale, ma profondamente orizzontale e partecipativa. Non è umanamente possibile che una sola persona, o un piccolo gruppo, possa detenere, in un mondo diversificato e globalizzato come è quello di oggi, tutta la verità e decidere sulle pratiche di milioni di persone diverse e disperse. A meno che non si voglia ripetere un’altra volta ai nostri giorni quella “simonia” o tentativo di privatizzazione dello Spirito Santo – che è in tutte e in tutti – denunciata con durezza già negli Atti degli Apostoli (At 8).

Se questo ci spinge, da una parte, all’urgente necessità di rivedere lo status attuale del papa a partire dalla “Chiesa di comunione” del primo millennio – per restituirlo alle sue funzioni di animatore della fede e garante dell’unione nel popolo cristiano –, altrettanto urgente è, dall’altra parte, mettere al bando, perché contrarie alla sensibilità moderna e allo stesso Vangelo, le inquietanti pratiche della cooptazione, del favoritismo e del dirigismo ideologico nella guida e nel servizio alle comunità. Siamo ormai in tanti a non ammettere comportamenti antidemocratici che non rispettino le regole più elementari di partecipazione e di orizzontalità. Perché lo statuto fondamentale del popolo cristiano non è la sottomissione obbediente e il silenzio ossequioso verso alcuna decisione umana, ma l’uguaglianza di tutte e tutti in Cristo. In quest’ottica, non possiamo trovarci d’accordo con la convocazione ideologica e l’organizzazione verticista di questa visita.

3. La presenza nella nostra terra del vescovo di Roma dovrebbe essere un’occasione propizia per ascoltare attentamente le voci di questa Chiesa locale e annunciare di fronte al mondo la matura decisione di quest’ultima di rinunciare a tutti i privilegi accumulati nel corso della storia in connivenza con lo Stato – e respinti da gran parte della società –; di difendere la propria autonomia rispetto ai poteri esterni che la sradicano dal Paese in cui si trova a vivere e di rappresentare un elemento di concordia e di coesione in una società plurale e diversificata come quella spagnola.

Con queste premesse, che riteniamo coerenti con il Vangelo, ci opponiamo a questa visita del papa perché, a nostro giudizio, non metterà per nulla in discussione l’attuale situazione di privilegio della Chiesa cattolica nel nostro Paese - a danno del resto delle Chiese delle istituzioni civili -. Perché, riteniamo, rafforzerà l’attuale sottomissione della Chiesa spagnola ai dettami vaticani provenienti dalla curia romana che la allontanano dalla vita e dai problemi reali del nostro popolo e del mondo. E perché, di conseguenza, passerà sopra la grave crisi che sta attraversando concretamente la Chiesa gerarchica, come se si trattasse di un fenomeno di minore importanza. Crisi che la colloca agli ultimi posti nella classifica del consenso verso le istituzioni di questo Paese e che, a giudizio di molti esperti, sta pesando grandemente sulle due sfide maggiori che ci riguardano come credenti: la crescente divisione sociale tra ricchi e poveri determinata dall’ingiustizia e dalla povertà – rispetto a cui tutti e tutte condividiamo responsabilità con il resto della società – e il grande sviluppo del mondo dell’ateismo, frutto non solamente del processo di secolarizzazione delle società occidentali, ma anche degli errori e degli eccessi delle Chiese.

Trascurando questi gravi problemi che scuotono come un uragano la nostra Chiesa locale, la visita del papa temiamo vada a rafforzare ancor di più questo uniformismo dottrinale e moralistico che, imponendo un discorso unico, sta stroncando al suo passaggio tutte le voci che ancora rimangono dei nostri teologi e intellettuali. Ignorando decisamente l’enorme pluralismo che esiste tra i cristiani e le cristiane spagnoli, abbiamo paura che cerchi di rendere ancora più salda l’attuale organizzazione ecclesiastica piramidale e giuridicista che lascia colpevolmente senza protezione tutti i settori più critici e le organizzazioni più laiche. Quand’è che questa Chiesa avrà una parola di accoglienza e di sostegno verso le Comunità di Base, tanto coinvolte nella lotta per la giustizia e la democrazia? Quali potenti ragioni le hanno escluse al momento di pianificare e organizzare questa visita?

Ci semmrerebbe infine molto grave e sconfortante che questa grande concentrazione, più che un’accoglienza evangelica ai giovani e alle giovani giunti da tutto il mondo a Madrid, si traduca in una ferma difesa di posizioni sociali anacroniste e moralistiche, superate dalla maggioranza della società spagnola e già legalizzate dal Parlamento statale.

4. La visita del papa dovrebbe essere un “remake” o nuova versione dell’impressionante presentazione pubblica di Gesù nella sinagoga di Nazareth, poiché anche qui gli occhi e le orecchie di molti milioni di persone saranno rivolti ai suoi gesti e alle sue parole. Ci piacerebbe che in questa solenne occasione Benedetto XVI, carico dello Spirito del Signore Gesù, riconoscesse onestamente, di fronte alla Chiesa spagnola e ai giovani cristiani riuniti a Madrid, che lo spettacolare luogo di esaltazione da cui egli sta parlando non è evangelicamente il più adeguato ad annunciare la Buona novella ai poveri, né a proclamare l’anno di grazia che sognarono ardentemente e che continuano a sognare i profeti di tutti i tempi.

A questo proposito dobbiamo dire che, più importante dello statuto giuridico-teologico del vescovo di Roma, più urgente della stessa uguaglianza e democrazia interna e della libertà e autonomia della Chiesa spagnola, è il luogo sociale in cui questa si colloca e da cui intende annunciare il messaggio del Regno di Dio. Il quale non può che essere annunciato a partire dai poveri e da un pianeta che stiamo impoverendo giorno dopo giorno. A partire da qui tutte e tutti i seguaci di Gesù sono convocati personalmente a un permanente cambiamento di mentalità e delle nostre pratiche abituali. Ma sono invitate a questo cambiamento anche le nostre istituzioni e la stessa Chiesa che, nell’attualità e con eventi spettacolari come la Giornata Mondiale della Gioventù, sembrano ignorarlo.

Perché – per quanto vorremmo sbagliarci – non crediamo che la Chiesa gerarchica spagnola sia oggi disposta a rinunciare ai suoi privilegi; come neppure sembra che la Chiesa di Roma – malgrado la presenza ammirevole di tante cristiane e di tanti cristiani nel mondo dell’emarginazione e dell’esclusione – sia decisa a mettere in pratica un “anno di grazia” tale da ripercuotersi non solo sulla sua gestione economica e sulle sue proprietà, ma anche sul ferreo controllo che essa esercita sulla creatività pastorale e sull’intelligenza.

Perché, sebbene la fame, il dolore e la morte dei poveri e della terra accusino tutti e tutte, non si riesce più a comprendere come un’istituzione macro-globale come la Chiesa cattolica dedichi le sue migliori energie a creare istituzioni caritatevoli quando ciò che è in gioco è la giustizia e la sopravvivenza.

Perché noi cristiani e cristiane di oggi sappiamo che lo stesso culto, per quanto lo si voglia ricoprire di ritualismo e di fasto, può trasformarsi in scandalo e in idolatria quando non è intimamente penetrato dalla pietà e dalla tenerezza. Lo ha spiegato molto bene Giacomo nella sua emblematica lettera alle Chiese diffuse in Asia e in Europa alla fine del I secolo: «Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disprezzato il povero!»… «Una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni» (Gc, 2, 5; 1, 27).

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