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Fermarsi alla tomba. O testimoniare la vita

- ANNO B-8 aprile 2012- Domenica di Pasqua At 10,34a.37-43 Sal 117 Col 3,1-4 Gv 20,1-9

Tratto da: Adista Notizie n° 10 del 17/03/2012

Questo passo del Vangelo è il semplice racconto di un’amicizia che va oltre la morte.
L’unica certezza che il Vangelo comunica intorno alla figura di Maria di Magdala è un immenso affetto nei confronti di Gesù: non c’è neppure un versetto evangelico che giustifichi la fama – prima di incallita peccatrice poi di indomita penitente – ad arte diffusa dai nemici della bellezza e del piacere; prima che una discepola una grande amica, fedele nella gioia e nel dolore.
L’altro discepolo – forse ben conosciuto dall’estensore del vangelo di Giovanni – non è neppure chiamato per nome: è “quello che Gesù amava”, quello che nella corsa del mattino di Pasqua arriva per primo al sepolcro, “vedendo e credendo”.
Pietro è colui che ha seguito Gesù fin dalla prima ora, che ha ricevuto da lui mandati di grande responsabilità: è il segno dell’unità, colui che deve essere pronto a dare la vita per i propri amici, chiamato a lavare i piedi sporchi dei viandanti. È colui al quale Gesù per ben tre volte chiede una dichiarazione di adesione personale: mi ami tu? Come a dire che solo la forza dell’amore fonda la gratuità del servizio.
L’amore è la gioia suprema del dare e del ricevere, il racconto della croce e quello della risurrezione si intrecciano misteriosamente nel cuore dei protagonisti in un reciproco abbraccio di morte e di vita:  la comunione tra un uomo e una donna, quella tra un uomo e un altro uomo, infine la trasmissione della responsabilità di tenere insieme la comunità degli amici.
Ma è anche il racconto di ciò che è la Storia.
Il “sepolcro” – il termine greco significa “luogo della memoria” – è un passato sigillato da una pietra che apparentemente non può essere spostata. La tomba vuota non impone ma suggerisce un futuro inaudito; la corsa dei discepoli è il presente sospeso tra involuzione e rivoluzione: ripiegamento verso la fatiscente sicurezza del “già” o slancio creativo nel “non ancora” del Regno della giustizia, della bellezza e della pace.
Il racconto di ieri si fa provocazione di oggi, per la Chiesa nel mondo.
Cos’è il sepolcro sigillato se non un concetto di memoria e tradizione finalizzato soltanto alla salvaguardia dei privilegi acquisiti in 1.600 anni di civitas imperiale o una concezione dell’obbedienza all’autorità non caratterizzata dalla libertà dei figli, ma dalla paura di perdere il potere sulle strutture e sulle coscienze?
E cos’è il sepolcro vuoto se non la speranza che la forza della Vita è in grado di rovesciare le istituzioni più incallite, di mettere in discussione sistemi economici e politici disumani che generano e risolvono le proprie stesse crisi estromettendo miliardi di poveri e abbuffandosi alla loro mensa?
Ci sono due modi per uscire dalla delicata situazione sociale e culturale che sta dilatando anche sul cosiddetto Occidente le ombre della miseria che hanno oscurato da decenni la vita di gran parte dell’umanità: si può scegliere di permanere in-coscienti davanti a una tomba sigillata dalla pietra del passato ritenuto inviolabile oppure di correre con entusiasmo ad annunciare e realizzare la possibilità di una nuova creazione.
Si può scegliere cioè la strada della paura e della competizione, in questo caso la difesa degli interessi di pochi non potrà che portare alla catastrofe e la terra rischierà di trasformarsi in un immenso sepolcro dove gli esseri umani saranno mischiati agli ordigni ormai sgangherati di una tecnica divenuta da serva padrona.
Oppure si può scegliere la strada dell’amore, della cooperazione, lo scambio simbolico del dono della vita, la risurrezione della persona e delle sue relazioni: è la corsa del mattino di Pasqua, la scelta della lotta nonviolenta per la fraternità, l’accoglienza dell’altro, la solidarietà, la bellezza che “salverà il mondo”.
Con l’augurio di una Pasqua decisiva, di vita e di risurrezione.

*Prete dal 1984, sospeso dal ministero e dall'insegnamento della teologia fondamentale presso la Facoltà teologica del Nord Est, quando ha accettato la candidatura a sindaco di Gorizia, nel 2007. Giornalista professionista, è stato fino allo stesso anno direttore del settimanale diocesano Voce Isontina. Attualmente è consigliere comunale a Gorizia.

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