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Alla ricerca del Concilio perduto

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 19 del 19/05/2012

Pubblichiamo il documento che verrà presentato durante l’incontro “Le crisi nel mondo e nella Chiesa, a 50 anni dal Concilio”, il 15 maggio, alle ore 21, all’auditorium Stensen (viale don Minzoni 25, Firenze), con don Pierluigi Di Piazza (Centro Balducci, Zugliano - Ud) e il biblista Giuseppe Florio.

Nella Chiesa cattolica si nota il diffondersi di situazioni di disagio di fronte all’incapacità ecclesiastica di rispondere, secondo lo spirito del Vangelo, ai segni dei tempi e alla difficoltà di realizzare, con un positivo confronto tra pastori e fedeli, atteggiamenti e pratiche di ascolto, sinodalità e corresponsabilità come frutto e sviluppo del Concilio.

Sono ancora flebili le voci che vengono dalla gerarchia ecclesiastica nei confronti delle ingiustizie e delle ineguaglianze economiche e sociali. In molti casi l’annuncio cristiano pare configurarsi come una morale parziale in cui i cosiddetti “valori non negoziabili” si riducono a problemi di bioetica se non di morale sessuale, oppure a ripetere richiami dottrinali e morali in cui manca la dimensione profetica.

Sono presenti però in tutto il mondo esperienze vive di comunità, di chiese locali, di gruppi, di persone (cristiani, preti, religiosi, religiose, vescovi) che cercano di testimoniare il Vangelo, si impegnano per un mondo più giusto e pacifico e per la promozione dei più deboli, in certi casi anche con rischio e sacrificio della vita stessa, e tentano di costruire una vita di Chiesa come comunità in cui sia sottolineata la comune dignità battesimale.

Ci sembra che, soprattutto nel nostro Paese, la Chiesa e i cristiani non abbiano parole per pronunciarsi secondo il Vangelo di fronte ai problemi emergenti. Auspichiamo che i pastori e i cristiani si esprimano con franchezza, in particolare nei riguardi delle ingiustizie e dei rapporti tra chi è debole e chi detiene il potere, considerando che la responsabilità dell’annuncio del Vangelo richiede veracità e che il parlare e l’agire della Chiesa deve riconoscere e favorire la libertà e la promozione delle persone.

Riteniamo necessario, nella Chiesa, il confronto libero tra le diversità esistenti: la libertà di pensiero deve essere accettata senza emarginazioni, avendo presente che l’obbedienza, in vari casi, non è una virtù. Nella Chiesa locale vorremmo che il ministero della sintesi e della guida da parte del vescovo non prescindesse dall’ascolto delle diverse esperienze. Pensiamo che la libertà di espressione e la presenza di un’opinione pubblica nella Chiesa non comprometterebbe affatto il magistero dei vescovi, i quali comunque dovrebbero accettare di essere discussi quando i loro interventi non trattino di ciò che è essenziale per la fede e la fedeltà al Vangelo.

Dovremmo riprendere con energia le indicazioni del Concilio, che ha costituito per la Chiesa cattolica un tornante essenziale per riconoscere l’azione dello Spirito che soffia dove vuole e agisce nella Chiesa e nel mondo. In realtà, a 50 anni da quell’evento straordinario, molte delle indicazioni conciliari sono rimaste inattuate. Le fondamentali Costituzioni del Concilio mettono in evidenza la comune dignità e responsabilità di tutti i cristiani fondata su battesimo, ascolto della Parola, dimensione comunitaria della Chiesa a partire dalla vita liturgica, valore della collegialità tra i pastori, rispetto della pluralità delle scelte, ascolto reciproco tra pastori e fedeli. Occorre impegnarsi perché le comunità cristiane si manifestino come ambiti in cui si vive il primato del Vangelo e l’eucaristia in un clima di accoglienza e solidarietà, con una evangelizzazione e catechesi conseguenti.

Il Concilio ha proclamato la Chiesa aperta alle gioie e alle speranze, alle tristezze e alle angosce delle persone d’oggi, dei poveri soprattutto (Gaudium et Spes, 1) e non chiusa in se stessa o contrapposta al mondo: una Chiesa portatrice di pace e di speranza, una Chiesa comunità di comunità; una Chiesa che sceglie la parte dei poveri e degli oppressi. La scelta dei poveri, sempre affermata, viene spesso contraddetta da un effettivo rapporto di settori influenti delle gerarchie ecclesiastiche con forme di potere politico ed economico della società. Da ciò appare una Chiesa che spesso esprime una carità di tipo assistenzialistico, che al massimo può alleviare le sofferenze dei poveri grazie al denaro dei ricchi, ma che non può condividere con loro una prospettiva di dignità e di giustizia.

Consideriamo importante la distinzione tra ciò che è essenziale, cioè l’annuncio e la sequela del Vangelo di Gesù Cristo crocifisso e risorto, e certe espressioni storicamente condizionate di interpretazione del cristianesimo, le quali in vari casi, tendono a sovrapporsi all’annuncio e persino ad oscurarlo. L’autonomia delle realtà temporali e il conseguente impegno dei laici sono spesso contraddette da interventi di alcuni esponenti della gerarchia ecclesiastica che pretendono o credono di rappresentare tutti i cristiani. Si corre così il rischio di far apparire la Chiesa come un soggetto politico che vuole affermare il proprio potere, anche riferendosi a un’autorità divina. In ogni caso occorre porsi un problema di metodo, che riguarda le modalità di rapporto, di ascolto e di dialogo con la comunità cristiana; un problema di atteggiamento e di linguaggio, che a indicazioni calate dall’alto con precise consegne, preferisca proposte di valori, affidando alla responsabilità dei laici l’autonomia delle mediazioni per le scelte politiche e legislative. Si chiede quindi di realizzare un discernimento costruttivo, nel solco delle linee portanti del Concilio, nei confronti delle realtà umane e dei segni dei tempi, in cui sono presenti aspetti problematici, travagliati, critici e criticabili, ma anche motivi sinceri e potenzialmente positivi.

Auspichiamo che la proposta di dottrine e indicazioni morali si attui attraverso un dialogo con i tempi attuali, col nuovo stato di cose, con le nuove forme di vita, per giungere verso nuovi orizzonti dischiusi all’apostolato, e secondo l’indole pastorale del magistero, utilizzando la medicina della misericordia piuttosto che le armi della condanna, in modo da dire al genere umano sofferente, come Pietro al mendicante: «Argento e oro non posseggo, ma quello che ho te lo dono: nel nome di Gesù Cristo alzati e cammina!». In tale prospettiva considerare che il progresso delle scienze, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana svelano più appieno la natura stessa della persona e aprono nuove vie verso la verità e tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa (Gaudium et Spes, 44).

In tale cammino di discernimento, crediamo che gli interventi dei pastori dovrebbero tenere particolarmente in conto la competenza e l’esperienza dei laici credenti – anche non credenti – che hanno il diritto-dovere di far conoscere il proprio parere su aspetti che toccano la vita della Chiesa (Lumen Gentium, 37) e della società. Da notare infine che la Gaudium et spes richiama nei paragrafi finali il valore del dialogo, sia all’interno della Chiesa, sia tra credenti e non credenti, per lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace, auspicando l’unione dei credenti con tutti coloro che amano e cercano la giustizia per il compito immenso da adempiere su questa Terra.

Quest’anno ricorre anche il ventennale della conclusione del Sinodo diocesano fiorentino, durante il quale, dal 1988 al 1992, «la Chiesa fiorentina ha progressivamente fatto propria l’immagine di Chiesa delineata dal Concilio Vaticano II». Nel Documento conclusivo veniva definito il progetto di evangelizzazione «aperto alla condivisione, all’ascolto alla vita dell’uomo di oggi», vissuto come itinerario di tutta la Chiesa locale, con una pedagogia del dialogo e del confronto, attuato con mezzi e strutture comunitarie. Indicava per una nuova evangelizzazione e per l’attuazione di «una profezia della comunità» le conversioni necessarie: da una Chiesa centrata su se stessa a una Chiesa al servizio del Regno; dalla sacramentalizzazione al primato dell’evangelizzazione; dal clericalismo alla corresponsabilità di tutti i battezzati; dall’individualismo ad una pastorale organica; dall’improvvisazione pastorale alla progettualità; dall’attivismo alla sapienza della croce.

Riteniamo quell’esperienza, che dopo la conclusione dell’episcopato del card. Piovanelli sembra messa nel dimenticatoio, un tentativo concreto, possibile e reale di applicazione del Concilio nelle realtà locali, che vorremmo vedere ripresa e continuata, come stile sinodale, nelle varie comunità ecclesiali.

* Gruppo nato a Firenze, nel 2007, da una lettera inviata al vescovo per manifestare le proprie critiche all’ingerenza della gerarchia nelle questioni politiche e rivendicare l’autonomia dei laici nella sfera temporale (v. Adista nn. 36, 37 e 48/11).

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