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COSMOLOGIA E CRISTIANESIMO

Tratto da: Adista Documenti n° 5 del 09/02/2013

1. CONFLITTI STORICI
(…). L’irruzione della scienza moderna ha rappresentato il fronte più avanzato di un immenso cambiamento culturale. L’opposizione alle nuove scoperte non era esclusiva della religione, ma arrivava da tutte le parti, anche da ambienti filosofici, politici e persino scientifici. La resistenza espressa dal mondo religioso era in un certo senso logica, tenendo conto che era rappresentata da un’istituzione che sentiva messa in discussione la propria influenza e la propria verità. Non a caso a opporsi non furono solo i cattolici, ma anche i protestanti. Basti pensare all’attacco di Lutero a Copernico. Ed è assai nota l’opposizione delle gerarchie protestanti alla teoria dell’evoluzione di Darwin (il vescovo anglicano Wilterforce domandò al biologo T. H. Huxley, divulgatore delle idee di Darwin, se egli fosse disceso dalla scimmia da parte di padre o di madre. E la risposta che ottenne fu: «Preferisco avere come antenato una scimmia piuttosto che un vescovo che parla di ciò che non comprende»). (...).
In cosmologia, come nell’evoluzione delle specie, l’origine dei conflitti risiede nel ruolo dell’essere umano. Essere umano che, nella teoria dell’evoluzione, non è che una specie evolutasi attraverso selezione naturale e mutazioni e, in cosmologia, non è altro che una specie di un pianeta che orbita intorno a una stella tra le centinaia di miliardi che esistono nella nostra galassia, la quale, a sua volta, è appena una tra le centinaia di miliardi di galassie esistenti. In un universo così immenso, l’essere umano prende coscienza della sua insignificanza, provando per questo un senso di solitudine; ma può anche ragionare sul fatto che, come vedremo, si è reso necessario un universo così grandioso affinché l’essere umano potesse fare la sua apparizione sulla Terra, cogliendo in tal modo la propria grandezza. La piccolezza e la grandezza dell’essere umano procedono insieme.

2. L’EVOLUZIONE DELL’UNIVERSO
In accordo con la teoria del Big-Bang, l’universo si espande in modo tale che tutte le galassie si allontanano le une dalle altre con una velocità proporzionale alla loro distanza. È l’espansione di Hubble, dimostrata sperimentalmente misurando lo spostamento verso il rosso degli spettri delle differenti galassie. (…). L’espansione provoca un graduale raffreddamento dell’universo, grazie a cui questo passa per differenti tappe, procedendo dal livello più semplice e indifferenziato al più complesso e differenziato, e dai costituenti più elementari e piccoli della materia alle strutture più grandi e complesse. Dapprima, i costituenti elementari (quark e leptoni) vanno a formare le particelle elementari (i protoni, i neutroni e via dicendo). Poi, queste, scontrandosi, formano i nuclei atomici, quindi gli atomi e per ultimo le stelle e le galassie.
Esistono due prove sperimentali di questo processo. La prima è chiamata nucleosintesi, che è il processo mediante il quale le particelle elementari, protone e neutrone, formano il nucleo di deuterio, trizio, elio-3, elio... La proporzione di questi nuclei nell’universo è conforme a quanto calcolato. (…). Una seconda evidenza sperimentale del processo descritto viene dalla scoperta del fondo cosmico a micro-onde da parte di Penzias e Wilson nel 1964. Per formare atomi, i nuclei atomici devono scontrarsi con elettroni. Nello scontro si formano atomi che liberano energia elettromagnetica sotto forma di fotoni. A una determinata temperatura questi fotoni si scontrano anche con atomi formati rompendoli in nuclei ed elettroni. Tuttavia, in un momento dell’evoluzione (circa 300mila anni dopo il Big Bang), a causa del raffreddamento dell’universo, questi fotoni non dispongono più dell’energia sufficiente per rompere gli atomi e questi cominciano ad esistere senza più rompersi. Dopo la formazione degli atomi, questi fotoni che non sono più in grado di interagire saranno presenti in tutto l’universo con una distribuzione omogenea e isotropica, cioè uguale in qualunque parte della galassia o fuori di essa. È il mormorio dell’universo.
Per concludere questa breve introduzione sull’evoluzione dell’universo, ricordiamo che, a partire dal 1997, sappiamo non solo che l’universo si sta attualmente espandendo, ma che questa espansione avviene in maniera accelerata. Ciò implica il fatto che il 70% dell’universo è costituito da un’energia di cui non conosciamo la natura, la cosiddetta energia oscura. A questo dobbiamo aggiungere un altro 24-26% di materia oscura la cui natura ci è altrettanto sconosciuta, per quanto sappiamo della sua esistenza dal movimento delle stelle nella periferia delle galassie. Motivo per cui, nonostante i grandi progressi nella conoscenza dell’evoluzione dell’universo, conosciamo di questo appena il 4% circa, la cosiddetta materia ordinaria formata dagli atomi noti. È curioso che alla fine del XX secolo, proprio quando credevamo di essere vicini a una Teoria del Tutto che spiegasse ogni cosa almeno a livello fondamentale, si sia dovuto prendere atto, a partire dal 1997, di non sapere quasi nulla del rapporto materia-energia dell’universo.

3. IL PRINCIPIO ANTROPICO
Il principio antropico stabilisce che le leggi fisiche e le condizioni iniziali del Big-Bang devono essere quelle che sono affinché la nostra esistenza sia possibile. E che, inoltre, le leggi fisiche devono essere molto particolari perché sia così. Siamo in presenza di una “regolazione fine” (si parla di Fine Tuning, in inglese, quando il parametro di un modello deve trovarsi all’interno di un intervallo molto ristretto di valori, senza che esista nessuna ragione plausibile a priori, ndt): “Esisto, dunque l’universo è quello che è”.
Pensiamo, per esempio, ai valori delle costanti fisiche, di molte delle quali conosciamo il valore avendolo misurato in via sperimentale, ma senza determinarlo a livello teorico. In particolare, alcune di queste costanti ci danno la forza delle interazioni. Per esempio, la costante G stabilisce la forza dell’interazione gravitazionale o il valore della massa delle particelle elementari, W e Z stabiliscono la forza della cosiddetta interazione debole (il cui valore è cruciale nella nucleosintesi che si realizza circa 100 secondi dopo il Big Bang, ndt). Il loro valore è stabilito solo per via sperimentale, ma sappiamo che, se fossero un pochino più piccole o un pochino più grandi, sarebbe impossibile l’esistenza di vita intelligente nell’universo. (…)
Il valore relativo tra la forza forte (che spiega perché i nuclei siano stabili) e la forza elettromagnetica è cruciale perché possano esistere nell’universo carbonio e ossigeno. Se così non fosse, o non si arriverebbe ad ottenere carbonio o tutto il carbonio si brucerebbe formando ossigeno. A questo proposito, bisogna indicare che Fred Hoyle, che era non credente, quando stabilì le reazioni che rendevano possibili le proporzioni adeguate di entrambi i nuclei, disse che sembrava che qualcuno le avesse preparate.
La relazione determinata tra la massa dell’elettrone e quella del protone è decisiva per l’esistenza di molecole complesse fondamentali per la vita, come il Dna. rolex replica watches rolex replica watches cheap ugg boots
Le condizioni iniziali dell’universo sono cruciali anche nei seguenti casi:
- La densità di materia iniziale. Se fosse minore, l’universo si espanderebbe molto rapidamente e le galassie non si potrebbero formare e, se fosse più grande, tutto l’universo collasserebbe per via della gravità in un periodo assai breve. (…).replica watches breitling replica watches
- L’universo, in origine, avrebbe dovuto avere un’entropia molto bassa, vale a dire un grado di ordine molto alto, per produrre tutte le strutture (galassie, cumuli di galassie, stelle...) che vediamo. Roger Penrose, illustre fisico matematico di Oxford, calcolò che solo 1 su (1010)123 universi possibili (ossia 10 seguito da 10123 zeri: qualcosa di inimmaginabile se si pensa che il numero di atomi che si presume esistano nell’intero universo è stimato “appena” tra 1072 e 1087) avrebbe un grado di ordine sufficiente per ospitarci. Per questo il grande fisico teorico e divulgatore Freeman Dyson afferma: «Quanto più esamino l’universo e la sua architettura, più trovo evidente che l’universo in un certo modo debba aver saputo che eravamo in cammino». (…).
L’immensità dell’universo può suscitare negli esseri umani tremore, solitudine e senso di piccolezza, ma allo stesso tempo può anche portarli a pensare alla propria grandezza, dal momento che è stata necessaria tutta questa espansione per la loro esistenza. (...).
Il principio antropico dimostra che il nostro universo è speciale. Gli esseri umani non vivono al centro del cosmo (centro che non esiste); ma la struttura fisica di questo universo deve essere racchiusa entro limiti molto stretti perché l’evoluzione della vita basata sul carbonio sia fattibile. Alcuni vedono in tutto ciò una minaccia di teismo: se l’universo è dotato di una così fine regolazione, si potrebbe pensare ad un “Regolatore divino”.
Esistono due formulazioni del principio antropico, una forte e una debole. Quella debole afferma che l’universo che osserviamo deve essere coerente con la nostra presenza come osservatori. Ciò sembra non essere molto rilevante. È logico che vediamo un universo di un’età di 13.700 milioni di anni, perché esseri della nostra complessità non sarebbero potuti entrare in scena prima. Tuttavia, le condizioni dell’universo presentano margini molto piccoli, assolutamente non banali.
La formulazione forte afferma che l’Universo deve avere certe proprietà per permettere l’apparizione della vita. Quale può essere l’origine di questa necessità? Il credente baserà ben volentieri tale necessità sulla volontà del Creatore.
Esistono diversi argomenti per spiegare tutto ciò. Uno di essi è la teoria dei multiuniversi. In questa teoria, le costanti fisiche hanno determinati valori in un determinato universo e altri valori in un altro, cosicché non possiamo parlare di una regolazione fine, ma solo del fatto che nell’universo in cui viviamo i valori sono tali da permettere la vita. Variazioni di questa teoria prevedono un universo con molteplici ambiti inaccessibili gli uni agli altri. Al di là del carattere forzoso di queste teorie, che sembrano essere elaborate ad hoc per spiegare tale regolazione, esse non fanno predizioni che possano essere verificate.
Una più modesta posizione è quella di coloro che pensano che la conoscenza scientifica attuale sia limitata e che bisognerà aspettare ancora prima che appaiano nuove idee in grado di spiegare il valore di queste costanti, svelando queste sottili regolazioni all’interno degli stretti confini della scienza. Naturalmente, queste possono anche venire interpretate come prova dell’esistenza di un Regolatore, qualcosa che maggiormente assomigli a una prova scientifica dell’esistenza di Dio. Tuttavia, in molti siamo scettici al riguardo, tra l’altro perché pensiamo che l’esistenza di Dio non sarà mai una verità scientifica soggetta ad approvazione o a dissenso. E questo non vuol dire escludere che l’ordine così bello e intellegibile del mondo, tanto evidente per gli scienziati, non sia un riflesso della mente del suo Creatore.

4. DOMANDE LIMITE. L’UNIVERSO COMPRENSIBILE
La scienza ottiene i suoi maggiori successi grazie alla modestia della sua ambizione, autolimitandosi e restringendo il proprio compito a quello di rispondere a domande concrete e specifiche riguardanti i processi esistenti. Così, per esempio, se ci riferiamo all’ambito musicale, la scienza si occupa della risposta neurale all’impatto delle onde sonore del timpano. Ma il mistero profondo della musica, che è come una sequenza temporale di suoni, può parlarci di un mondo eterno di bellezza che sfugge completamente alla comprensione scientifica.
Un elemento importante del dialogo scienza-religione è il riconoscimento di domande limite relative a questioni che sorgono dalla prassi scientifica, ma vanno oltre la sua autolimitata capacità. (…).

5. PUNTI DI INCONTRO. RICERCA, UNICITÀ E SEMPLICITÀ, VERITÀ E BELLEZZA
Lo scienziato persegue infaticabilmente la comprensione dei fenomeni della natura, il suo funzionamento e il mistero nascosto nelle leggi che lo regolano. La persona religiosa cerca anche di scrutare nel mistero dell’essere umano, dell’universo e della trascendenza. (…). La scienza e la religione inseguono l’unicità e la semplicità come riflesso della verità e della bellezza. I grandi progressi scientifici hanno a che vedere con il compito di mettere in relazione fenomeni apparentemente distinti sotto il manto di una spiegazione unitaria e semplice. (…). Grandi fisici hanno espresso inequivocabilmente queste idee. (…).
Albert Einstein: «L’esperienza più bella e profonda che un essere umano possa vivere è il senso del mistero. Sentire che dietro ogni cosa che possiamo sperimentare c’è qualche altra cosa che la nostra mente non è in grado di comprendere e la cui bellezza e sublimità ci giungono solo indirettamente e come pallido riflesso, questa è la religiosità. In questo senso, io sono religioso».
Steven Weinberg, premio Nobel per la Fisica per il determinante contributo alla teoria di unificazione delle forze elettromagnetica e debole: «Per gli esseri umani è quasi irresistibile credere di avere una relazione speciale con l’universo, che la vita umana non è solo il risultato più o meno assurdo di una catena di accidenti risalenti ai primi tre minuti, ma che in qualche modo ne facevamo parte dall’inizio. È difficile considerare che tutto è una minuscola parte di un universo terribilmente ostile. (...) Tanto più comprensibile appare l’universo, tanto più appare anche senza senso. (...). Lo sforzo di comprendere l'universo è una delle poche cose che pongono la vita umana al di sopra del livello della farsa, conferendole un po' della dignità della tragedia».
Chen Ning Yang, premio Nobel per la Fisica per aver proposto l’esistenza di interazioni che violano la simmetria sinistra-destra: «Mi affascinano le semplici e meravigliose regole che reggono il nostro universo. La sua bellezza è incredibile. Non è possibile esprimerla a parole. L’immensità di questa bellezza mi provoca una sensazione di rispetto. Mi domando come si sia potuta creare una struttura così magnifica. Mi suscita una sensazione profondamente religiosa nel senso più intenso della parola». (…).

6. CREAZIONE E RIVELAZIONE
«Che faceva Dio prima di creare il mondo? Stava preparando l’inferno per coloro che fanno domande come questa». La risposta fornita da S. Agostino nelle sue Confessioni non è molto diversa da quella che viene data in fisica quando si domanda: «Cosa succedeva prima del Big-Bang?».
La risposta standard è che nel Big-Bang si crea anche il tempo, cosicché non si può parlare di un prima del Big-Bang. Tale risposta, per quanto sia corretta, non può però lasciarci soddisfatti. Realmente, prima del cosiddetto tempo di Planck, 10-43 secondi (la più piccola unità di tempo: uno zero seguito, dopo la virgola, da quarantadue zeri e da un 1), la Fisica presenta dei problemi, dal momento che la Meccanica Quantistica e il Principio di Indeterminazione di Heisenberg entrano in conflitto con la teoria della Relatività Generale di Einstein. Per risolvere questi problemi si tenta di costruire una gravità quantistica, ma le differenti proposte, inclusa la Teoria delle Stringhe, non sono finora in grado di fare predizioni verificabili incontestabili, malgrado alcune siano fortemente attrattive ed entro determinati limiti possano predire fenomeni comprovabili. (…).
La creazione non si riferisce, in prima istanza, a come sono cominciate le cose, ma al perché esistono. (…). La creazione è un processo di dispiegamento continuo, in cui Dio opera tanto attraverso il risultato di processi naturali quanto in qualsiasi altra forma. Dio non ha creato un mondo finito o predeterminato, ma un mondo che ha permesso alle creature di farsi da sole, secondo potenzialità che sorgono per mezzo di un processo evolutivo cosmico e terreno. Dio non è un tiranno cosmico che muove i fili di una creazione come se fosse un teatro di marionette. Dio è Amore, e il regalo dell’Amore deve garantire sempre un qualche tipo di indipendenza all’oggetto di questo Amore. La creazione è un atto di autolimitazione di Dio, in quanto permette alle sue creature di essere e di farsi da sé. (…).
Tale fatto può aiutare a comprendere il dolore e il male nel mondo. Per esempio: il motore della storia della vita sulla Terra è la mutazione genetica. Ciò vuol dire anche che alcune cellule somatiche saranno in grado di mutare e trasformarsi in maligne. È l’ineludibile volto oscuro dell’evoluzione. (…).
L’azione della creazione consiste nel sostenere e rendere in grado la creatura di agire da sé attraverso le leggi naturali o le motivazioni aperte della libertà.
Tale concetto di creazione, proprio del teologo Andrés Torres Queiruga, si basa sulla tradizione e appare magnificamente espresso da S. Ignazio di Loyola nella “Contemplazione per raggiungere l'amore” dei suoi Esercizi Spirituali: «Osservo come Dio è presente nelle creature: negli elementi dando l'esistenza, nelle piante dando la vita, negli animali dando la sensibilità, negli esseri umani dando l'intelligenza; e così è presente in me, dandomi l'esistenza, la vita, la sensibilità, l'intelligenza».
È sulla base di questa concezione che si deve intendere la rivelazione di Dio. Non ha senso una rivelazione intesa come un dettato divino di una serie di verità cadute dal cielo, attraverso l’ispirazione operata nella mente di qualche profeta. Si tratterebbe di una rivelazione imposta da fuori, senza alcun rapporto con le nostre domande. Sotto l’apparenza di umiltà e sottomissione, l’accettazione di questa rivelazione provoca indifferenza. Molto diversa è una rivelazione in cui ciò che scopre il profeta non è una realtà che viene dall’alto, ma la realtà umana e del mondo, e la cui essenza non comporta l’aggiunta di un supplemento soprannaturale, ma la visione della sua integrità e profondità nello scoprirla fondata in Dio.
Neppure è compatibile con la scienza la concezione di un Dio tappabuchi, attento al mondo, ma passivo e operante solo con interventi puntuali, di carattere più o meno miracoloso, indotti dalle richieste dei suoi fedeli.
Dall’altro lato, la scienza non può dimostrare l’esistenza di Dio o la sua inesistenza. A partire dalla religione, molte volte nel corso della storia si è preteso dimostrare la sua esistenza, a volte utilizzando la logica, a volte, più recentemente, ricorrendo al principio antropico. Allo stesso modo, scienziati di diversi campi, come Dawking a partire dalla Biologia, o Weinberg a partire dalla Fisica, sostengono che la scienza esclude l’esistenza di Dio, aggiungendo nella propria argomentazione considerazioni soggettive che presuppongono posizioni religiose arcaiche o applicando un riduzionismo scientifico che, se venisse impiegato per altri ambiti della scienza, finirebbe per negarne l’esistenza. In fondo non ammettono che la conoscenza scientifica non sia l’unica forma di conoscenza.
La conoscenza scientifica oggettiva non parla del lato soggettivo della natura, specialmente della nostra esperienza interiore. La fede in un Dio personale e nell’intervento di Dio nell’universo non presuppone che vengano sospese le leggi fisiche o biologiche. La saggezza, l’amore e l’accoglienza personale di Dio non rivaleggiano in alcun modo con le cause fisiche. L’esperienza di Dio deve essere in accordo con le prospettive scientifiche del mondo naturale.
Da posizioni cristiane si dovrebbe pensare che la scienza non può dimostrare l’esistenza di Dio, perché, se così fosse, non sarebbe necessaria la rivelazione.
«Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11, 25-27).
In questo passaggio si spiega a chi viene rivelata la fede. Ed è un’idea che impregna tutti i vangeli, in particolare il loro nucleo centrale, le beatitudini: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5, 3-10).
Cosicché agli scienziati e ai non scienziati si rivela la conoscenza di Dio se sono poveri in spirito, puri di cuore, operatori di pace e cercatori di giustizia. (…).
Concludo con le parole di Richard Feynmann, uno dei grandi fisici del XX secolo, premio Nobel e personalità di grande spessore umano: «La civiltà occidentale si basa su due pilastri. Uno è lo spirito scientifico di avventura su un terreno sconosciuto, e l’atteggiamento mentale in base a cui tutto è incerto, vale a dire l’umiltà dell’intelletto. L’altro è l’etica cristiana, l’amore, la fraternità di tutti gli esseri umani, la dignità di ogni persona, vale a dire l’umiltà dello spirito. Sono due eredità coerenti, ma la logica non è tutto. Per seguire un’idea è necessario il cuore. Come raggiungere l’ispirazione affinché questi fondamenti della civiltà occidentale si mantengano uniti, pienamente vitali e senza timori reciproci?».

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