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Un esame di coscienza

Tratto da: Adista Documenti n° 23 del 21/06/2014

Caro ministro della Difesa Moshe Ya’alon,

vorrei rispondere, in quanto fratello di una vittima e membro di una famiglia in lutto, alla lettera che ha inviato alle famiglie delle vittime in occasione del Giorno della Memoria dei soldati israeliani caduti e delle vittime del terrorismo. Così come lei si è assicurato che la sua lettera fosse diffusa in lungo e in largo, voglio anch’io rendere pubblico questo mio messaggio.

Lei scrive che, nonostante i successi conseguiti da Israele in vari campi, «non abbiamo ancora raggiunto la pace e la tranquillità» e che «continueremo a lottare per la pace». Le chiedo, ministro Ya’alon, in questo Giorno della Memoria, un minimo di introspezione. Ha veramente cercato di condurre Israele e i suoi cittadini alla «pace e alla tranquillità»? Sta veramente «lottando per la pace»? Già prima di diventare ministro della Difesa, lei ha dichiarato che non c’è spazio per la costituzione di uno Stato palestinese. E solo il mese scorso, mentre il processo di pace incontrava difficoltà, lei ha deciso che era il momento giusto per approvare l’espansione degli insediamenti ebraici ad Hebron e per violare lo status quo. Inoltre, ha deciso di approvare l’espropriazione di 984 dunam di terra (1 dunam equivale a 1.000 m², ndt) palestinese nel blocco dell’insediamento di Gush Etzion e di dichiarare queste terre di proprietà dello Stato allo scopo di espandere gli insediamenti di Neve Daniel, Elazar, Alon Shvut e l’avamposto illegale di Nativ Ha’Avot. Tali azioni, insieme alla sua opinione sulla costituzione di uno Stato palestinese, fanno sì che io mi chieda che cosa significhi per lei la parola “pace” e se lei sia veramente interessato a perseguirla. Vuole condurre i cittadini israeliani alla pace e alla tranquillità o realizzare quanti più insediamenti possibili tra i villaggi palestinesi?

La cosa triste è, signor ministro della Difesa, che per raggiungere la pace e la tranquillità è necessario risolvere il conflitto che lascia sempre più famiglie in lutto. Sembra invece che lei e il suo governo non siate interessati a risolverlo ma piuttosto a “gestirlo”. E gestirlo significa continuare a imporre il controllo militare su un altro popolo, il che porta inevitabilmente alla resistenza di questa nazione e alla repressione di questa resistenza, fino alla nausea. Continuare a “gestire il conflitto” porterà solo altre morti e altre famiglie in lutto.

In quanto ministro della Difesa, sono certo che lei comprenda che c’è una differenza tra l’affrontare i rischi immediati e quelli a lungo termine. Nel lungo periodo, nonostante i successi di Israele su vari piani, il protrarsi del controllo militare sui palestinesi e del conflitto costituisce il rischio più grande per la sicurezza dei cittadini di Israele e per il futuro del Paese. Il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza, gli attacchi terroristici contro i cittadini israeliani, la resistenza dei terroristi contro i soldati dell’esercito israeliano e le tensioni con Hezbollah nel nord del Paese sono il risultato della scelta di “gestire il conflitto” anziché spingere per la sua soluzione. Pertanto lei deve mostrare responsabilità per la sicurezza a lungo termine dei cittadini e compiere i passi che porteranno alla soluzione del conflitto. Si può discutere su quale sia la soluzione, ma non c’è niente da discutere quanto al compiere quei passi che riconoscano il diritto del popolo palestinese a vivere in questa terra insieme a noi, sotto un’entità che garantisca loro tutti i diritti e le libertà riconosciute ai cittadini di uno Stato democratico. Questi diritti e queste libertà non si realizzeranno necessariamente a spese della sicurezza dei cittadini di Israele, ma al contrario la garantiranno.

Lei scrive che le famiglie delle vittime hanno pagato «il prezzo più pesante affinché si possa continuare a vivere in questo Paese». Ma io mi chiedo se non stiamo tutti pagando il prezzo del fatto che lei e il suo governo non siete disposti a compiere passi coraggiosi per riportare la pace e la tranquillità. Non ho perso mia sorella affinché «si possa continuare a vivere in questo Paese», ma perché i governi israeliani non hanno imparato a ragionare sul lungo termine, rafforzando il controllo militare sui palestinesi, espandendo gli insediamenti, distruggendo ogni speranza di cambiare le cose e preferendo la “gestione del conflitto” a una soluzione che garantirà la sicurezza dei cittadini israeliani.

Concludo con le parole dello scrittore israeliano Yehonatan Geffen: «Finché non ci libereremo da questa nostra colonia, non avremo nessun Giorno dell’Indipendenza ma solo Giorni della memoria».

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