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Renzi, luna di miele finita?

Renzi, luna di miele finita?

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 25 del 11/07/2015

La mutazione avvenuta di quell’idea di politica che può avere una persona della mia generazione – sono poco più che cinquantenne – non mi impedisce di annotare che alcune leggi sono rimaste stabili. 

Per esempio, quella che ricorda che i risultati elettorali restano uno dei pochi dati certi nelle analisi politiche: per quanto ognuno se le reinterpreti da sé, le elezioni si vincono e si perdono. Il calo dei voti assegnati al proprio partito rimane dato incontrovertibile. Se si parte da questa riflessione, i risultati della recente tornata elettorale (regionali e comunali di diverse importanti città) pongono la domanda se la stagione cha ha visto approdare alla Presidenza del Consiglio dei ministri il mio concittadino Matteo Renzi, stagione di grandi successi e grandi numeri (quelli delle elezioni europee dell’anno scorso, di certo), stia volgendo all’autunno. Oltre al dato numerico dei voti persi, i rapporti spinosi tra le varie componenti del partito di cui è segretario, il Pd; le difficoltà crescenti nel proporre riforme che trovano opposizione consistente anche nel fronte interno dello stesso centrosinistra; la rinascita del centrodestra da una fase di grande confusione che sembrava decretarne una crisi duratura, sono elementi che fanno pensare che anche il già sindaco di Firenze stia rientrando nella tipologia della politica nazionale: per molti anni paradigmatica della difficoltà a creare alternanza e turnover con i soliti nomi che sedevano sui banchi del governo, ora è caratterizzata da tempi di ascesa rapida al potere ma di altrettanto veloce discesa. 

Se un anno fa Renzi poteva apparire l’erede di quella collaudata fase storica proponendosi come un leader destinato a durare, adesso molte incognite sembrano mostrare come le aspettative nei suoi confronti si siano già appassite. Un astro già al tramonto? 

La situazione italiana resta dominata dalla nostalgia invincibile dell’uomo forte al potere, mito che sembra aver definitivamente archiviato l’idea di ideologie e programmi: un politico più o meno telegenico o rappresentativo delle italiche virtù e limitazioni, nonché capace di disonestà assortite, una rappresentatività, un tempo tramite i partiti, sostituita dalla trasversalità del personaggio capace di dialogare con linguaggi diversi e componenti altre rispetto a quelle dello schieramento di appartenenza. 

In questo senso Renzi resta in vantaggio rispetto ad altri: il leader (che non esiste ancora) di un centrodestra che, nonostante abbia una sua base elettorale pronta a ricompattarsi in tempi rapidi, deve ridefinire se stesso; o l’altro Matteo, Salvini, che ha l’handicap di generare radicalizzazioni in un Paese in cui questo non ha mai prodotto risultati apprezzabili, almeno sul lungo periodo. 

Di certo, il Matteo non padano paga il conto di operazioni disastrose, come quella compiuta in Campania, o di quanto emerso sulla tenuta etica del Pd (non solo) romano in “Mafia capitale”, su cui non solo lui, ma l’intero partito non ha dato risposte adeguate. Poiché questo è un Paese pragmatico, se arriva la ripresa economica molto sarà dimenticato e Renzi potrà ridarsi lustro. Come pure una legge sui diritti civili alle persone omosessuali, supponendo egli sia in grado di fare slalom tra i diktat di certa parte della Cei, può essere occasione per recuperare consenso a sinistra, dove si sono bevuti calici assai amari. 

Di certo, il tentativo di sfondare a destra sembra esaurito. E il grado di disaffezione a sinistra può ancora ampliarsi. Se posso aggiungere una riflessione molto personale, che attiene al mio lavoro presso Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie –, quel che resta assordante, nonostante i proclami, è il silenzio del Pd renziano sulle mafie e la loro holding più efficace, la connessione politica/criminalità mafiosa attraverso la grande peste della corruzione, non solo motivata a fine di lucro. L’indagine speculativa su di essa non può essere solo economica: occorre riflettere sul senso stesso del potere e identificare le persone coinvolte per capire chi lo sta realmente esercitando. Finché una personalità politica non affronterà in maniera significativa questo nodo, ogni riflessione proposta sul senso della democrazia mi apparirà vuota di ogni reale evoluzione.

Andrea Bigalli è parroco a Sant’Andrea in Percussina (Fi), fa parte del direttivo della rivista Testimonianze e del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione “Ernesto Balducci”

* Immagine di SPÖ Presse und Kommunikation, tratta dal sito Flickr, licenzaimmagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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