Palestina: il movimento BDS compie 10 anni. Tra successi e nuove sfide
Tratto da: Adista Notizie n° 26 del 18/07/2015
38203 ROMA-ADISTA. In Palestina e Israele: che fare? – appena pubblicato da Fazi Editore – il filosofo statunitense Noam Chomsky e lo storico israeliano Ilan Pappé battono insistentemente sull'isolamento internazionale di Israele come una delle chiavi di volta per porre fine al genocidio in atto in Palestina. Chomsky in particolare sottolinea come – in linea con quanto avvenuto con il regime segregazionista sudafricano – Israele sia consapevole che può essere osteggiato dal mondo intero, ma che ciò non fa alcuna differenza finché ci saranno gli Stati Uniti a sostenerlo: per questo, è l'idea del filosofo, sarebbe di cruciale importanza indirizzare parte delle attività di protesta – come quelle messe in piedi dal movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) – contro gli stessi Usa, facendo pressioni sulle loro politiche.
Alla luce di queste riflessioni, risulta ancora più scoraggiante la lettera inviata il 2 luglio scorso da Hillary Rodham Clinton a uno dei suoi principali finanziatori, l'israeliano-statunitense Haim Saban – nonché, sembra, ad altri leader della comunità ebraica – nella quale la candidata alle primarie presidenziali per il Partito Democratico esprime tutta la sua preoccupazione circa il movimento BDS affermando che la lotta al tentativo di isolare Israele è una «priorità». «Come sai – scrive Hillary Clinton – il movimento BDS cerca di punire Israele e di dettare come israeliani e palestinesi dovrebbero risolvere i nodi fondamentali del loro conflitto. Questa – è l'opinione della candidata – non è la via per la pace». «Resto convinta che la sicurezza a lungo termine di Israele e il suo futuro come Stato ebraico dipendono dalla realizzazione di "due Stati per due popoli"», e – in linea con la narrazione dominante che di fatto permette a Israele di continuare ad inglobare porzioni di territorio in Cisgiordania – la candidata afferma che questo risultato «può essere raggiunto solo attraverso negoziati diretti tra israeliani e palestinesi» e che non possa essere imposto dall'esterno o mediante azioni unilaterali.
Le simpatie filo-israeliane di Hillary Clinton non sono una novità – e lei stessa nella sua missiva ricorda a Saban le innumerevoli volte in cui, da senatrice o segretario di Stato, ha dimostrato la sua fedeltà, arrivando anche a condannare il rapporto Goldstone dell'Onu sui crimini commessi da Israele a Gaza nel corso dell'operazione Piombo Fuso tra il 2008 e il 2009 – ma chiaramente ora che all'orizzonte si profila la possibilità di un suo approdo alla Casa Bianca, destano ancora più preoccupazione.
Argomento scottante. Negli Usa e in Israele
L'argomento, negli Stati Uniti, è caldo. A fine giugno il Congresso ha approvato il Trade Promotion Authority – che dà al presidente i poteri necessari per negoziare e concludere accordi commerciali con altri Paesi – il quale contiene al suo interno anche una clausola anti-BDS – specificamente pensata per il Trattato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti con l'Unione Europea (TTIP) – che mira a scoraggiare azioni di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni da parte di potenziali partner commerciali. Il Congresso – e il presidente Barack Obama, che ha firmato l'atto – ha accolto così le richieste contenute in due emendamenti presentati uno dal senatore democratico Ben Cardin e dal senatore repubblicano Rob Portman e l'altro dal deputato repubblicano Peter Roskam e dal deputato democratico Juan Vargas – a dimostrazione di come Israele abbia "amici" sia su una sponda che sull'altra.
A un giorno di distanza però – stando a un tweet di Matt Lee, reporter presso la Casa Bianca dell'Associated Press, ripreso da molti media – il portavoce del Dipartimento di Stato John Kirby sarebbe intervenuto sulla questione per chiarire che, anche se gli Stati Uniti si oppongono a campagne di boicottaggio contro lo Stato di Israele, la disposizione del Trade Promotion Authority, confondendo Israele e «territori controllati da Israele», si pone in contrasto con la politica di lunga data degli Stati Uniti nei confronti dei territori occupati: «Dal 1967 ogni governo statunitense, di qualsiasi colore, si è opposto agli insediamenti israeliani al di là della Linea verde. Questa amministrazione – avrebbe detto Kirby – non è diversa. Il governo degli Stati Uniti non ha mai difeso o sostenuto insediamenti israeliani e le attività ad essi associati e, per estensione, non persegue politiche o attività che li potrebbero legittimare». La clausola del Trade Promotion Authority però resta.
Il dibattito interno agli Stati Uniti non è che il riflesso di ciò che si respira in Israele. Alla fine di maggio, il presidente Reuven Rivlin ha tenuto una riunione di "emergenza" con i capi di università e college israeliani per discutere del boicottaggio accademico: «Non pensavo che avrebbe costituito un vero e proprio pericolo per le istituzioni accademiche israeliane – ha detto Rivlin in quella occasione – ma il clima in tutto il mondo sta cambiando» e Israele deve trattare il movimento BDS «come una minaccia strategica del più alto grado» (+972mag, 28/5).
E il boicottaggio accademico è probabilmente l'aspetto che meno preoccupa Israele. Ben più allarmante è la notizia che gli investimenti stranieri diretti in Israele (FDI Inflow) sono scesi tra il 2013 e il 2014 quasi del 50% secondo il Rapporto sugli investimenti mondiali 2015 pubblicato a giugno dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD). O lo studio della statunitense Rand Corporation che stima in 15 miliardi di dollari il calo del Pil israeliano in dieci anni a causa delle azioni di boicottaggio.
Auguri!
Per il movimento, che proprio oggi compie 10 anni, si prospettano tempi duri ma i crescenti successi inanellati – ultimi in ordine di tempo: l'adesione dell'Unione nazionale degli studenti della Gran Bretagna (NUS); l'annuncio a metà giugno da parte del Fondo pensionistico norvegese KLP di voler escludere le società Heidelberg Cement e Cemex dai loro portafogli di investimento, a motivo dell'estrazione di risorse naturali in Cisgiordania; nonché il crescente consenso registrato negli Stati Uniti dalle iniziative contro l'apartheid israeliano – lasciano aperta la porta alla speranza.
* Immagine di Montecruz Foto, tratta da Flickr, licenza, immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite
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