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Gay credenti a pieno titolo nella comunità cristiana. Noi Siamo Chiesa su mons. Charamsa

Gay credenti a pieno titolo nella comunità cristiana. Noi Siamo Chiesa su mons. Charamsa

La questione delle persone omosessuali nella Chiesa è stata discussa al Sinodo dello scorso ottobre. Una nuova attenzione sembrava emergervi (si veda la Relatio post disceptationem). Nei due questionari sottoposti alla discussione del Popolo di Dio ci risulta, per quello che si è potuto sapere, che la questione di una pastorale diversa di tipo inclusivo sia stata proposta in modo diffuso. Però il documento di base per il Sinodo (l’Instrumentum Laboris  al cap. 131), ha toccato la questione in poche parole e ha sostanzialmente confermato la posizione ufficiale contenuta nel Catechismo del 1992. Si è così pensato di cancellare la discussione su questo problema?

È quindi più che comprensibile che gli omosessuali cattolici nel mondo, di fronte a tanto non casuale silenzio, abbiano organizzato l’importante incontro “The Ways of Love-Istantanee di incontri cattolici con le persone LGBT e le loro famiglie” tenutosi a Roma il 3 ottobre per dare testimonianza di situazioni in cui le persone omosessuali nella Chiesa sono presenti e accolte e ciò per inviare un eloquente messaggio al Sinodo. Si tratta di realtà significative ma ancora isolate che dovrebbe essere compito dei padri sinodali  ascoltare per poi proporre che l’accoglienza di tutte le sorelle e i fratelli omosessuali, a pieno titolo e con ogni diritto e dovere, diventi la linea pastorale di tutta la chiesa universale.

A margine di questo incontro il problema degli omosessuali nella Chiesa è esploso a livello mediatico per il coming out di mons. Krzysztof Charamsa. Si può, più che legittimamente, discutere sull’opportunità, sui tempi e sulle modalità di questa esternazione, ma non si può, a mio giudizio, contestarne la sofferta sincerità  e il fatto che essa contribuisca a riproporre, con urgenza, questa tematica all’attenzione del Sinodo in un’assemblea in cui gli omosessuali (e tante altre situazioni famigliari) sono assenti. Dietro ad essa non ci vedo nessun complotto o manovra ma solo l’urgenza da parte di Charamsa di un atto di rottura, non più rinviabile, per uscire da silenzi e da ipocrisie che mi sembra siano piuttosto diffusi negli ambienti ecclesiastici e che nascondono situazioni irregolari di diverso tipo.

I vescovi e tanti altri si guardino allo specchio, vedano le cose come stanno, rifiutino la vecchia logica, sempre pensata e sussurrata, del fare finta di niente (“purché non si sappia”) e riflettano su come affrontare il problema sui tempi lunghi, a partire dall’educazione nei seminari.

Era scontata la reazione di p. Federico Lombardi e delle strutture ecclesiastiche che hanno provveduto all’immediato allontanamento di mons. Charamsa da ogni responsabilità ma mi chiedo, con tristezza e sofferenza, perché analoghi, immediati e drastici interventi non siano stati assunti, per lunghissimi decenni, nei confronti dei preti pedofili o anche di chi ha mal governato le risorse della Chiesa. È stata invece necessaria una pressione mediatica virtuosa perché la Chiesa iniziasse a fare pulizia al proprio interno.

I padri sinodali discutano serenamente. Mi confortano le parole di accoglienza e di misericordia di papa Francesco che, nella veglia del 3 ottobre e nell’allocuzione della mattina del 4, durante il pontificale di inizio del Sinodo, si sono direttamente ispirate al Vangelo. 

Vittorio Bellavite, coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa

* Immagine di Jeremy Segrott, tratta dal sito Flickr, licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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