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Quaresima dentro una tenda in solidarietà coi profughi. L’iniziativa di quattro preti bergamaschi

Quaresima dentro una tenda in solidarietà coi profughi. L’iniziativa di quattro preti bergamaschi

Tratto da: Adista Notizie n° 9 del 05/03/2016

38459 ROMA-ADISTA. Eclatante iniziativa, raccontata dal settimanale online della diocesi di Bergamo Santalessandro, di quattro preti bergamaschi: don Alessandro Nava, don Gianluca De Ciantis, don Andrea Testa e don Emanuele Personeni hanno deciso di fare della Quaresima appena iniziata non solo un’occasione di preghiera e penitenza personali, ma anche di testimonianza e protesta, ponendo all’attenzione della comunità ecclesiale e dell’opinione pubblica locale la drammatica vicenda dei profughi e dei richiedenti asilo politico. «In Quaresima – scrivono in una lettera in cui spiegano le ragioni della loro scelta - noi sacerdoti abiteremo in una tenda allestita sul sagrato della chiesa di Ambivere. Un po’ di cibo. Acqua da bere. Un bagno per lavarci. Un materasso per dormire. È più di quanto molti essere umani possono permettersi»: «Staremo in una tenda per dire che non siamo disposti ad accettare un sistema che procura benessere a noi provocando sofferenza a qualcun altro... con questo gesto vogliamo dire che riconosciamo le nostre responsabilità di fronte alla povertà del mondo. E che si può essere felici anche con meno». 

Una provocazione, la loro, che tenta di risvegliare le coscienze e di suscitare atti e prese di posizione pubbliche che siano coerenti con la propria appartenenza di fede. Don Alessandro e don Gianluca sono parroco e viceparroco di S. Michele Arcangelo, a Mapello; don Andrea è parroco a Valtrighe; don Emanuele amministratore parrocchiale a S. Zenone, in località Ambivere. Il testo che hanno redatto assieme contiene una disamina della situazione di povertà e sperequazione economica e sociale che caratterizza i rapporti Nord-Sud del Mondo, aggravatasi in seguito alla grande crisi economica avviata nel 2007. E divenuta drammatica con la crisi dei rifugiati. 

In tale contesto i quattro preti individuano la precisa responsabilità dei Paesi occidentali: «Lo status di rifugiato – scrivono – viene rilasciato soltanto ad un prezzo altissimo: essere riusciti a scampare ai bombardamenti, essere sopravvissuti alle torture, ai rapimenti e alle onde del mare. Nessun riconoscimento è dato a chi proviene da regioni impoverite da un sistema globale ingiusto e ha rischiato la vita per trovare dignità. Questa è l’Europa: pronta ad amputare uno dei capisaldi della propria migliore tradizione umanistica (i diritti dell’uomo) piuttosto che cedere quegli stessi diritti ai poveri che essa stessa ha contribuito a creare. L’Europa delle istituzioni scarica sulla buona volontà di molti cittadini volontari il compito di salvare le apparenze riservando un po’ di umanità a chi raggiunge sfinito le sue coste. Evita però di fare ciò che le spetta: rivedere le politiche economiche e la politica estera a partire dai diritti dell’uomo e dei popoli. Sicché I poveri vengono assistiti per un po’. Dopo di che vengono abbandonati al loro destino. O rispediti indietro o abbandonati nella giungla europea del traffico di esseri umani, dello sfruttamento lavorativo, della clandestinità. I poveri speravano che l’Europa fosse un luogo dove l’umanità venisse prima della cittadinanza, prima del benessere, prima delle differenze religiose, prima di ogni altra cosa. Si sbagliavano. Il pensiero diffuso è che la loro situazione non dipenda da noi che abbiamo già i nostri grattacapi. Al pari dei singoli Paesi europei, anche i diversi settori dell’amministrazione statale scaricano sugli altri la responsabilità adducendo confusione normativa, paventando rischi di terrorismo e brandendo contro i poveri le croniche insufficienze dell’assistenza ai cittadini italiani». Per questo hanno scelto la tenda. 

«Si tratta di un segno temporaneo, fino a Pasqua. Poi – aggiungono – si vedrà. In ogni caso bisognerà mettere a punto stili di vita coerenti con questa intuizione. Con questo gesto vogliamo dire che riconosciamo le nostre responsabilità di fronte alla povertà del mondo. E che si può essere felici anche con meno». Del resto, proseguono i preti bergamachi, «se Europa e Stati Uniti dovessero pagare equamente le risorse prelevate dal terzo mondo, i prezzi in casa nostra crescerebbero e dovremmo rinunciare a buona parte delle nostre abitudini consumistiche. Il costo della vita qui da noi è alto ma costerebbe ancora di più se i Paesi poveri potessero mettere al centro della loro economia i loro bisogni invece che i nostri. Per questa ragione nessuno in Occidente sembra prendere sul serio una prospettiva del genere». E se «noi sacerdoti non possiamo rovesciare le sorti dei poveri», possiamo almeno però «stare dalla loro parte. Possiamo protestare e progettare azioni concrete nonviolente a favore della Verità e della Giustizia». E se i profughi non hanno diritto a una casa, aggiungono don Alessandro, don Gianluca, don Andrea e don Emanuele Personeni con chiaro riferimento alla tendopoli di Calais, allora «questo diritto non l’abbiamo neppure noi. Non ci sembra un grande affare perdere l’umanità comune che ci lega ai poveri per godere del privilegio della cittadinanza. Essere cittadini è un onore. Ma se deve venire prima della nostra comune umanità allora vi rinunciamo volentieri». I quattro preti non esitano a criticare nemmeno le amministrazioni e la Chiesa locale: «Si usano i poveri di casa nostra contro i poveri alla nostra porta. A cominciare dalle Regioni fino ad arrivare a moltissime amministrazioni comunali la risposta è sempre la stessa: per loro non c’è posto» In tale contesto (che però ha registrato anche significative eccezioni, come quella di don Enrico D’Ambrosio, parroco a Cenate Sotto, che nel dicembre scorso ha aperto le porte della sua canonica per accogliere cinque giovani africani), rilevano con amarezza: «Le parrocchie e i cristiani bergamaschi non si stanno comportando meglio. Ci pensi la Caritas, dicono. Neppure l’invito dell’amatissimo papa Francesco riesce a scuoterli. Noi sacerdoti non possiamo rovesciare le sorti dei poveri. Però possiamo stare dalla loro parte».

La grande tenda bianca che spicca in un angolo della piazza di Ambivere, oltre che un segno di protesta e di testimonianza, vuole però essere anche luogo di incontro e di accoglienza. «Nella tenda sarete i benvenuti», scrivono infatti i preti nella loro lettera. Inoltre, sul sagrato della chiesa si sono svolti due incontri di riflessione: uno sul tema della drammatica situazione del Medio Oriente; l’altro sulla questione degli armamenti (chi ci guadagna, chi uccide, chi muore), ospite don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi Italia. 

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