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Bonus scuola: io obietto!

Bonus scuola: io obietto!

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 25 del 09/07/2016

“Buona scuola”. In questi giorni di adempimenti finali è venuto al pettine un altro nodo della Legge 107: la valutazione del personale docente. Tempi febbrili per i Comitati di valutazione - composti da docenti, dirigente, alunni, genitori e un valutatore esterno - a cui, come è noto, spetta, sulla base di alcuni indicatori presenti nella legge,  stabilire i criteri per l’attribuzione del bonus di premialità ai docenti. Ogni istituzione scolastica deve gestire, in autonomia, l’attribuzione e la distribuzione del Fondo che il Ministero della Pubblica Istruzione le ha destinato e la cui consistenza dovrebbe aggirarsi attorno ai 24.000 euro in media per istituzione. Alcune scuole hanno già stabilito i criteri, molte altre solo in parte. Non tutte li hanno resi ancora noti, ma quello che sta emergendo è già sufficientemente sconfortante. È chiaro per coloro che sono nella scuola che la reale posta in gioco non è costituita dalle somme in denaro che verranno erogate, ma dal riconoscimento del merito. I miglioramenti economici – che si configurano come retribuzione accessoria, definita bonus – costituiscono in realtà il corollario del grande cambiamento che si vuole introdurre nella scuola, ossia la valutazione generale del personale docente. Da quando furono abolite nel 1974 le note di qualifica e i concorsi per merito distinto, per la prima volta, quest’anno, i docenti saranno classificati “bravi” oppure no e, a priori, nessuna scuola potrà avere docenti tutti bravi, o, al contrario, nessun bravo docente. La circolare MIUR del 19 aprile 2016 chiarisce, infatti, che «il fondo dovrà essere utilizzato, non attraverso una generica distribuzione allargata a tutti e nemmeno, di converso, attraverso la destinazione ad un numero troppo esiguo di docenti». Si lascia quindi ai Comitati di valutazione e ai dirigenti ampia discrezionalità. Un docente meritevole in una scuola potrebbe non esserlo in un’altra e viceversa.  E questo è tanto più grave in quanto è del tutto prevedibile che i percorsi professionali saranno fortemente influenzati dal “merito” riconosciuto o meno.

Non si può non notare una lampante contraddizione: da una parte si procede a tutto vapore con una pratica  –  pedagogicamente discutibile, basata sul teaching to test (addestramento allo svolgimento dei test) –  come la somministrazione agli alunni delle prove Invalsi attraverso la quale ci si ostina a perseguire una rigorosa quanto fantomatica oggettività nella valutazione, applicando una misurazione puntigliosa delle prestazioni che appiattisce e massifica gli studenti, nella pretesa di identificare incontrovertibilmente i livelli di preparazione degli studenti, e dall’altra si propone la valutazione dei docenti sulla base di un’amplissima discrezionalità che sfiora in molti casi l’arbitrarietà. Ma è notevole anche il fatto che da questi opposti modi di intendere e praticare la valutazione discendano poi delle conseguenze pratiche che si possono configurare come delle vere e proprie ritorsioni. All’esito delle prove Invalsi, infatti, si legano la valutazione della qualità delle singole istituzioni scolastiche e la quantità di risorse che ad esse saranno destinate, e alla dichiarazione di merito sottesa all’erogazione del bonus di premialità per i docenti si legano i destini professionali.

La valutazione dei docenti dovrebbe avvenire secondo queste modalità per un triennio, dopodiché, come stabilito dal comma 130 della Legge 107, a partire da quanto realizzato dai diversi Comitati di valutazione, un Comitato Tecnico scientifico elaborerà linee guida – rivedibili –  per la valutazione.

Per tre anni dunque, avremmo scherzato? Ma le retribuzioni erogate o negate, il merito riconosciuto o sconfessato in questi tre anni evidentemente rimarranno. Più che un processo di valutazione si sta realizzando una delle più grandi, se non la maggiore, discriminazione della storia della scuola italiana.

Inutile dire che giocare irresponsabilmente sulla professionalità dei docenti, equivale a giocare sulla pelle delle nuove generazioni.

La scuola, invece, deve essere presa sul serio. Un discredito sociale generale caratterizza la categoria dei docenti. Una falsa comunicazione, carica di retorica di bassa lega, distorce sistematicamente natura, caratteristiche, rischi e pericoli della riforma in atto. Nello specifico, viene fatta passare una discriminazione di fatto come «un coinvolgimento – dice la già citata circolare –  della comunità scolastica nel suo complesso». Questo coinvolgimento viene declinato, in moltissime scuole, come partecipazione volontaria alla valutazione: viene richiesto di far domanda di essere valutati, pena l’esclusione dalla valutazione di merito, o di compilare schede di autovalutazione. Ciò è reso possibile e favorito da una legge che è stata, oltretutto, scritta male e in fretta, nella quale si evidenziano non poche contraddizioni e superficialità.

A fronte di tutto ciò e di quanto altro ci sarebbe da osservare, ma che esorbita dai limiti di questo testo, l’afasia non può essere la nostra reazione. Non sono pochi i docenti di qualità che si sono astenuti dal prender parte a questa dinamica perversa: occorre che lo si sappia.

Sono docente di scienze umane in un liceo delle scienze umane: mi sto occupando della pubblicazione delle lettere di Lorenzo Milani e per questo sono membro della Commissione incaricata – con decreto del Ministro dei beni culturali e delle attività culturali e del turismo – di curare i lavori per l’Edizione Nazionale degli scritti di Lorenzo Milani.

Quale sia stato il contributo che Milani ha dato alla pedagogia è noto anche ai suoi detrattori. Che la pedagogia sia disciplina assolutamente centrale all’interno delle scienze umane è evidentissimo dai programmi della Riforma Gelmini.

Nella scheda di autovalutazione del mio istituto è contemplata anche l’attività scientifica, in collaborazione con istituzioni universitarie e di ricerca (attività che in ogni caso svolgo), che rechi prestigio all’istituzione scolastica.

Ho scelto, nel novero di quei colleghi che si sono astenuti, di non partecipare al processo di valutazione. La 107 è legge dello Stato. Quando non si condivide una legge ci sono molti modi per promuovere un dibattito che ne provochi il superamento. C’è una raccolta di firme per un referendum contro la “buona scuola” di Renzi. Ci sono anche miriadi di altri gesti di obiezione e di resistenza. Il mio, il nostro, è uno di questi. 

Anna Carfora è docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale 

*Immagine di chiesADIbeinasco, tratta dal sito Flickr, immagine originale e licenza. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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