
Vittorio Bellavite, testimone e protagonista del cattolicesimo democratico e della democrazia politica
ROMA-ADISTA. Pubblichiamo la presentazione, a cura di Giuseppe Deiana, del libro Vittorio Bellavite. La mia storia culturale, professionale e politica raccontata alla mia famiglia, a cura di Sara Bellavite e Giuseppe Deiana. Il volume, appena pubblicato da Noi siamo Chiesa, può essere richiesto a Nsc, scrivendo a: coordinamento@noisiamochiesa.org
Vittorio Bellavite è stato coordinatore nazionale per quasi 20 anni (2004-2022) del Movimento Internazionale Noi Siamo Chiesa, sezione italiana dell’International Movement We Are Curch (IMWAC), nato 30 anni fa in Austria con l’Appello al popolo di Dio. Ma è stato molto di più, come si legge nella sua breve autobiografia, come sintetico diario di una vita: La mia storia culturale, professionale e politica raccontata alla mia famiglia, scritta il 21 agosto 2021 e pubblicata nel 2025, a cura di Sara Bellavite e Giuseppe Deiana. Il testo è accompagnato da un’ampia appendice fotografica che consente di seguire le fasi principali della vita di Vittorio Bellavite (Milano1938-2023). Si tratta di un esempio di narrazione memorialistica propedeutica alla spiegazione saggistica: in un caso e nell’altro a beneficio non solo dei suoi familiari innanzitutto, ma anche di quanti lo hanno conosciuto da vicino nella sua intensa vita sociale, politica, culturale e religiosa, a cominciare dagli aderenti a Noi Siamo Chiesa (NSC).
A Vittorio Bellavite si addice perfettamente il passo biblico del libro dei Salmi “Felice l’uomo giusto […]: come albero piantato lungo il fiume egli darà frutto a suo tempo, le sue foglie non appassiranno; riuscirà in tutti i suoi progetti” (1,3).
Risulta molto efficace l’idea dell’uomo giusto tradotta nell’immagine dell’albero che porta frutti come esemplificazione della sua lunga vita. Si può dire che il robusto tronco è rappresentato dalla sua famiglia e i rami dai fertili progetti pensati e dalle numerose attività realizzate in più di mezzo secolo, dagli anni Sessanta in poi. I frutti del suo fecondo lavoro affondano le radici nel terreno fertile della democrazia italiana e della Chiesa conciliare, alimentato dalla critica politica e dal dissenso religioso, nel segno della laicità delle istituzioni pubbliche e del rinnovamento di quelle cattoliche. Lo testimoniano i nomi citati nella breve autobiografia: per un verso soprattutto Livio Labor, Lelio Basso e altri come Domenico Jervolino; per un altro don Mazzolari e don Milani, padre Balducci e padre Turoldo, don Tonino Bello e don Luisito Bianchi, mons. Oscar Romero e mons. Jacques Gaillot, Jacqes Maritaine, Giulio Girardi, mons. Loris Capovilla e Raniero La Valle: il meglio del cristianesimo innovativo e fecondo, ispirato dal Concilio Ecumenico Vaticano II e dai suoi sviluppi come condizione per la rigenerazione sinodale della Chiesa italiana rapportata a quella di altri Paesi europei ed extraeuropei.
Questo ampio numero di nomi indica la preminenza dedicata nella sua vita all’aspetto religioso, pensato e vissuto nella logica del cristianesimo di base. In questo ambito, infatti, il salto è stato decisivo: dal cattolicesimo tradizionale all’esperienza conciliare, da Cristiani per il socialismo (CPS) a Noi Siamo Chiesa (NSC), coordinata per circa vent’anni fino al 2022, un anno prima della morte nel 2023. Anni in cui ha sostenuto con decisione concrete proposte innovative intrecciando questioni ecclesiali (ministeri delle donne, democrazia interna, trasparenza economica, opzione per i poveri, abusi sessuali del clero, valorizzazione delle persone LGBT+, innovazione della liturgia, ecumenismo ecc.) con quelle politico-sociali (giustizia e pace, costituzione della Terra, questioni bioetiche, legislazione sul fine vita, ecc.), nel segno della Teologia della liberazione rivolta a conciliare criticamente marxismo e cristianesimo (teologi latino-americani, Giulio Girardi in Italia).
Strettamente connessa, quindi, l’attività politica: dalla rappresentanza studentesca nell’Università Cattolica alla militanza nelle ACLI, dall’MPL (Movimento Politico dei Lavoratori) al PDUP (Partito di Unità Proletaria) fino a Democrazia Proletaria (DP), in un ruolo dirigenziale attivo e organico. Ruolo interrotto per dedicare le sue sensibilità politico-culturali all’esperienza del CIPEC (Centro di Iniziativa Politica e Culturale) creato da DP.
L’altro aspetto dell’impegno culturale è stato dedicato per 24 anni all’insegnamento di Economia e Diritto nelle scuole superiori di Milano. “Non era nei miei programmi di vita di fare l’insegnante. Ho cercato di farlo con impegno a partire dal dovere imposto da una responsabilità professionale pubblica ben precisa […].
Ho insegnato legando il programma alla realtà politico-istituzionale e alla sua evoluzione, allargando i contenuti dei programmi ministeriali. La mia volontà di andare al di là dei confini imposti mi indusse a promuovere un documento che richiedesse l’introduzione dell’educazione civica come materia obbligatoria per tutti gli ordini di scuola. Fu firmato da una parte della società civile di Milano,sperando che fosse preso in considerazione perché si era ai tempi del primo governo Prodi. Non riuscimmo ad essere ascoltati, con vera delusione e senza capire il perchè” (p. 51).
Infine, la particolare attenzione alle questioni internazionali: dai Forum sociali mondiali alla Teologia della Liberazione, vissute direttamente attraverso numerosi viaggi. “Il nostro sodalizio con Pax Christi è stato continuo. Contemporaneamente io e altri abbiamo partecipato più volte alla marcia Perugia-Assisi di ottobre.
All’inizio del secolo è nato il Forum Sociale Mondiale che per quindici anni ha costituito un elemento importante della politica internazionale. Proposi che non potevamo restare chiusi nelle nostre proposte intraecclesiali. La partecipazione fu una vicenda importante anche per quanto riguarda IMWAC. Elenco i forum dove siamo stati presenti: Porto Alegre (tre volte), Mumbai (anche con Sandro e Pinuccia), Nairobi, Belem, Dakar, Tunisi stabilendo rapporti e incontri. A questi forum si aggiungevano quelli europei. In ognuno di questi sono riuscito, con grande fatica, a organizzare delle Tavole rotonde in genere di alto livello; come per esempio a Londra dove lanciammo l’idea della Teologia della liberazione islamica. Gli altri sei sono stati a Firenze, a Parigi, a Londra, ad Atene, a Malmöe a Istanbul. Furono iniziative faticose, ma di limpida testimonianza sulle grandi questioni della collaborazione tra i popoli e sulla netta separazione dalla politica ecclesiale di papa Ratzinger di alleanza, neanche troppo nascosta, con gli USA. Nel nostro piccolo abbiamo fatto quanto era possibile” (pp. 62-63).
Questi sono, per sommi capi, i cinque principali fruttosi rami che nella vita di Vittorio Bellavite hanno dato i buoni frutti maturati sul terreno della politica democratica e della religiosità conciliare, che ha caratterizzato la storia italiana e internazionale del secondo dopoguerra e dell’inizio del nuovo secolo, facendo perno negli ultimi 30 anni su NSC in particolare. “Il mio impegno quotidiano è stato quello di seguire con molta pazienza l’informazione cattolica per poter intervenire tempestivamente se necessario. Poi i contatti con il circuito di NSC, con l’area conciliare, con gli evangelici (sempre buoni rapporti), con ‘Adista’ con cui c’è sempre stata un’ottima collaborazione. Idem con ‘Tempi di Fraternità’ con due inserti ogni anno. Sono pubblicazioni controcorrente con cui NSC collabora dall’inizio. Con la stampa sempre rapporti difficili o inesistenti. Mai, dico mai, in TV! Ma qualche intervista con testate straniere che mi hanno cercato. Il funzionamento collegiale è sempre consistito in un paio di incontri in presenza di una decina di membri del Coordinamento nazionale, oltre all’assemblea annuale in una domenica di giugno alla cascina Contina, momento di socialità e di riflessione collettiva. Ho avuto qualche contatto con la cultura laica (‘Micromega’, Casa della cultura, promozione della Consulta per la laicità delle istituzioni). I rapporti con i vescovi dovevano essere al centro del ruolo di NSC. Li ho tenuti personalmente. Esito deludente. Anche Martini ha rifiutato il contatto con NSC, pare perché temesse di essere accusato a Roma di avere troppe simpatie per la sinistra” (pp. 58-59).
Insomma, quello di Vittorio Bellavite è stato un progetto di vita e, per noi, una preziosa eredità da conoscere, condividere e sviluppare nella direzione del rinnovamento della società e della cristianità, fondato sul dissenso costruttivo e proiettato nella dimensione locale e globale dello spazio pubblico. Questo in attesa di una puntuale ricostruzione storica della sua biografia, basata su adeguati criteri storiografici, che è nelle intenzioni di Daniela Saresella e Alfonso Botti, docenti di Storia contemporanea. Si tratta di ricostruire una vita intrecciando la quotidianità vissuta con l’eccezionalità dei grandi eventi di cui Vittorio Bellavite è stato consapevole testimone.
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