
Ratzinger secondo Ratzinger: l’autoassoluzione del papa emerito nel suo ultimo libro
Tratto da: Adista Notizie n° 33 del 01/10/2016
38682 MILANO-ADISTA. Hanno fatto molto rumore le Ultime conversazioni di Benedetto XVI, papa emerito che, dopo le dimissioni nel 2013, si è ritirato a vita (quasi) claustrale. Quasi, perché il libro fresco di stampa, pubblicato da Garzanti e curato dal giornalista tedesco Peter Seewald, già autore del libro-intervista Luce del mondo (2010), ha tutto il sapore di un’occasione offerta a Ratzinger di difendersi su alcuni aspetti controversi del suo pontificato e di offrire la “sua” versione dei fatti.
Il volume, 240 pagine di domande e risposte, parte dalla fine, ossia dalle dimissioni di Benedetto XVI nel febbraio 2013, per poi ripercorrerne tutta la vita e gli avvenimenti. Il tono è quello di un colloquio amichevole, pacato, a tratti spiritoso, in cui Seewald dà a Ratzinger il destro per reinterpretare i momenti più complessi del suo pontificato o spostare da sé la responsabilità di alcuni passi infelici, oltre a dare fugaci tratti di penna su papa Francesco, generalmente descritto con parole di apprezzamento ma con qualche tratto critico. Come quando, a proposito della decisione delle dimissioni, spiega che «era chiaro che dovevo farlo e che quello era il momento giusto. E la gente l’ha accettato. Molti sono grati che adesso il nuovo papa abbia un nuovo stile. Altri magari mi rimpiangono un po’ ma intanto sono riconoscenti anche loro. Sanno che il mio momento era passato e avevo dato ciò che potevo dare».
Ratzinger rifiuta l’accusa di aver abbandonato la nave in tempesta (era l’epoca dell’esplosione dello scandalo Vatileaks, tra le altre cose): «No, non è assolutamente vero. Al contrario, le cose erano state del tutto chiarite. Una volta ho detto, proprio a lei credo, che uno non può dimettersi quando le cose non sono a posto, ma può farlo solo quando tutto è tranquillo. Io ho potuto dimettermi proprio perché riguardo a quella vicenda era ritornata la serenità. Non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte». Allo stesso modo, rifiuta le illazioni di ricatti e cospirazioni: «Sono tutte assurdità. Devo dire che il fatto che un uomo, per qualsivoglia ragione, si sia immaginato di dover provocare uno scandalo per purificare la Chiesa è una vicenda insignificante. Ma nessuno ha cercato di ricattarmi. Non l’avrei nemmeno permesso, se avessero provato a farlo non me ne sarei andato perché non bisogna lasciare quando si è sotto pressione. E non è nemmeno vero che ero deluso o cose simili. Anzi, grazie a Dio, ero nello stato d’animo pacifico di chi ha superato la difficoltà. Lo stato d’animo in cui si può passare tranquillamente il timone a chi viene dopo».
Quanto a papa Bergoglio, Ratzinger afferma che l’idea che se ne era fatto si discostava dalla realtà: «L’ho conosciuto come un uomo molto deciso, uno che in Argentina diceva con molta risolutezza: questo si fa e questo non si fa. La sua cordialità, la sua attenzione nei confronti degli altri sono aspetti di lui che non mi erano noti. Perciò è stata una sorpresa». Nega che Bergoglio gli chieda consigli: «In generale non ce n’è ragione. Su alcune cose mi ha rivolto delle domande, anche per l’intervista che ha concesso a La Civiltà Cattolica. D’accordo, in questi casi esprimo la mia opinione. Ma nel complesso sono anche molto contento di non essere chiamato in causa». Come nel caso della Evangelii gaudium, che non gli venne sottoposta in anticipo: «Di sicuro non è tutto suo, ma c’è molto di personale», commenta.
Interessanti anche le affermazioni riguardanti la sua partecipazione al Concilio Vaticano II: Ratzinger si considera parte dello schieramento progressista, quando «essere progressisti non significava ancora rompere con la fede, ma imparare a comprenderla meglio e viverla in modo più giusto, muovendo dalle origini. Allora credevo ancora che tutti noi volessimo questo. Anche progressisti famosi come Lubac, Daniélou e altri avevano un’idea simile. Il mutamento di tono si percepì già il secondo anno del Concilio e si è poi delineato con chiarezza nel corso degli anni successivi». Parole piuttosto aspre vengono riservate alla presenza del collega teologo Hans Küng: «Küng ha capito presto – è la domanda piuttosto “guidata” di Seewald – che si può ottenere molto, anche senza partecipare in prima persona alle commissioni, mettendosi a disposizione dei media quasi come un interprete e godendo in questo modo di maggiore visibilità rispetto ad altri che svolgono un duro lavoro sui testi»; «Sì, sì», risponde Ratzinger. E quanto alla propria “marcia indietro” nello schieramento più conservatore al Concilio: «Ho visto che la teologia non era più l’interpretazione della fede della Chiesa cattolica, ma stabiliva essa stessa come poteva e doveva essere. E per un teologo cattolico, quale ero io, ciò non era compatibile con la teologia», spiega.
Uno dei punti in cui meglio si individua il tentativo di Ratzinger di cancellare punti oscuri o molto discussi del pontificato è quando viene affrontata la dichiarazione Dominus Iesus, sull’unicità della Chiesa cattolica. Qui il papa emerito dichiara di aver scelto di «non scrivere personalmente i documenti del Sant’Uffizio perché non si pensasse che volessi diffondere e imporre la mia teologia personale. Dovevano essere frutto del lavoro dei relativi organi competenti. Naturalmente collaboravo anch’io, apportavo modifiche criticamente. Ma di persona non ho scritto nessun documento, nemmeno la Dominus Iesus». E quanto al presunto disaccordo di papa Wojtyla su questo documento, che faceva scricchiolare le impalcature su cui era stato costruito il percorso ecumenico post-conciliare, Ratzinger rifiuta questa ipotesi: «Un giorno mi chiamò e mi disse: “Voglio parlarne durante un Angelus e chiarire che concordo su tutto, perciò la prego di preparare lei stesso il testo che leggerò, in modo che non ci possa essere alcun dubbio che il papa è completamente d’accordo con lei”. Allora preparai il testo. Tuttavia pensai che non poteva essere troppo grossolano, così il contenuto era chiaro, ma aveva anche una forma ricercata. Lui allora mi disse: “È inequivocabile, è sicuro?”. “Sì, sì”. Ma non fu così. Grazie a quella forma ricercata tutti dissero: “Ah, anche il papa ha preso le distanze dal cardinale”». Analogamente, il libro di Seewald cerca di allontanare il papa dall’accusa di non aver voluto il mea culpa del 2000, con cui la Chiesa domandò perdono per gli errori e le omissioni commesse nel corso della storia: «Ero d’accordo. Penso che sia lecito chiedersi se i molti mea culpa abbiano veramente senso. Ma che la Chiesa, su modello dei Salmi e del Libro di Baruch, per esempio, confessasse le colpe commesse nel corso dei secoli, lo trovai anch’io giusto».
Altro punto critico fu il controverso “discorso di Ratisbona”, una lectio magistralis tenuta all’università bavarese in cui, sostanzialmente, citò un’osservazione fatta dall’imperatore bizantino Manuele II Paleologo a un erudito persiano sul ruolo della violenza nell’Islam, provocando proteste in tutto il mondo, e non solo in quello musulmano. «Avevo letto questo dialogo del Paleologo perché mi interessava il dialogo tra cristianesimo e islam. Quindi, non fu un caso. Si trattava davvero di un dialogo. L’imperatore di cui si parla a quell’epoca era già vassallo dei musulmani, eppure aveva la libertà di dire cose che oggi non si potrebbero più dire. Perciò, trovai semplicemente interessante portare il discorso su questa conversazione vecchia di 500 anni. Come ho già detto, non avevo valutato bene il significato politico dell’avvenimento». Incalza Seewald, in difesa di Ratzinger: «Il vaticanista Marco Politi scrisse che il cardinale Sodano l’aveva avvertita prima della partenza della carica dirompente di quel testo. Lei però non aveva dato retta ai suoi scrupoli. È vero?». «No. Nessuno mi ha mai detto niente sul testo», nega Ratzinger. «Da questa erronea rappresentazione dei fatti – prosegue Seewald – Politi deduce quindi che lo scandalo di Ratisbona non sia stato un caso. Nella questione del dialogo con i musulmani lei avrebbe impresso un’inversione di rotta alla politica del suo predecessore. A sostegno della sua tesi, Politi porta un altro indizio: già nella messa inaugurale di pontificato lei avrebbe tralasciato intenzionalmente di citare i musulmani». «Non è vero. Non ne so niente», nega ancora il papa emerito. «Quindi – conclude soddisfatto il curatore – non è corretto parlare di esclusione né che lei voleva imprimere una svolta alla politica del suo predecessore?». «No. Nel modo più assoluto», è la risposta definitiva di Ratzinger.
* Nell'immagine un particolare della copertina del libro.
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