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Dal sogno dell’ indipendenza all'incubo della guerra. Un missionario racconta il Sud Sudan senza pace

Dal sogno dell’ indipendenza all'incubo della guerra. Un missionario racconta il Sud Sudan senza pace

Tratto da: Adista Notizie n° 35 del 14/10/2017

ROMA-ADISTA. Le cronache e le testimonianze parlano di un inferno in Terra: nonostante gli appelli alla pace, i reiterati accordi e i cessate il fuoco, sempre ignorati, il Sud Sudan è raccontato oggi come una grande distesa di cadaveri mutilati e seviziati, in cui regna l'odio etnico e la furia cieca di miliziani più o meno ufficiali. Villaggi carbonizzati, neonati, anziani e malati passati al machete, donne brutalmente violentate e massacrate, saccheggi, furti e repressione di ogni libertà, notti insonni attraversate da urla e raffiche di mitra. E poi un'economia azzerata e un sistema istituzionale allo sbando, corruzione fuori controllo, totale assenza di servizi basilari come scuola e sanità, carestie ed epidemie dilaganti. Il 54° Paese africano, cristiano e animista, che ha faticosamente raggiunto l'indipendenza il 9 luglio 2011 dopo 40 anni di repressione e lotta contro il Sudan “musulmano”, aveva festeggiato compatto il grande risultato, ma dopo un paio d'anni era già piombato in un baratro forse ancora più oscuro di quello precedente, che conta oggi circa 300mila morti e oltre quattro milioni di sfollati, tra cui due interni, su un totale di 12milioni di sud sudanesi. Tra morti e rifugiati, la capitale Juba si sta letteralmente svuotando, lasciando il campo ai caschi blu dell'Onu, alle grandi Ong che tentano di salvare il salvabile e alle camionette di miliziani improvvisati che rastrellano, stuprano e uccidono. E nelle campagne la situazione è anche peggiore: lì davvero non c'è più nulla se non violenza e disperazione. Chi può scappa e chi non ha la possibilità cerca riparo nei grandi campi profughi ormai allo stremo, dove da anni non arrivano che pochi, sempre meno, aiuti umanitari. Sullo sfondo, a peggiorare la situazione, l'inquietante spettro di una pulizia etnica del popolo Nuer, che molti dicono sia stata pianificata in vista delle elezioni del 2018.

L'ennesimo allarme è giunto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che si è riunito lo scorso 26 settembre proprio per discutere la crisi sudsudanese. Il Consiglio ha ribadito lo scarso interesse delle parti coinvolte a raggiungere la pace, i rischi di “esondazione” della crisi verso i Paesi confinanti, la condizione disastrata del Paese e la scarsità degli aiuti umanitari, senza i quali oltre metà della popolazione locale rischia di non sopravvivere.

Un interessantissimo reportage di Giovanni Porzio, pubblicato sul Venerdì di Repubblica l'11 settembre, definisce il Sud Sudan «il Paese dei morti viventi», aggiungendo che, tra biechi interessi locali e geostrategici, «in sei anni il conflitto etnico si è trasformato in un inferno».

L'81enne comboniano p. Salvatore Pacifico, per 40 anni missionario in Sudan e Sud Sudan, in una testimonianza del 22 settembre sul sito dei comboniani (www.comboni.org), ha ricordato le sofferenze del popolo sudsudanese prima dell'indipendenza, l'esplosione di gioia nei giorni della secessione, le speranze di un neonato Stato appena liberato. E poi come tutto è cambiato in quella notte di fine 2013, quando il presidente Salva Kiir (rappresentante dell'etnia Dinka) ha accusato il suo vice, Riek Machar (Nuer), di aver ordito un colpo di Stato. «I suoi uomini – racconta p. Salvatore – non ci pensarono due volte e quella stessa notte a Juba uccisero senza misericordia tutti quelli della tribù del vice presidente sui quali riuscirono a mettere le mani. Migliaia furono uccisi, centinaia di migliaia scapparono». Nel giro di una notte, il sogno di libertà del Sudan del Sud si è trasformato in un inferno di odio e guerra civile. Le basi Nato trasformate in pochi giorni in campi profughi, fiumi di persone in fuga verso l'estero, lo scontro che si propagava «artificiosamente» fuori dalla capitale e nelle regioni periferiche, dove anche altri gruppi etnici hanno colto l'occasione per allearsi con l'uno o con l'altro e per regolare conti e dare sfogo ad antichi dissapori. «Tutto il Sud Sudan è in guerra», aggiunge p. Salvatore. «L’insicurezza è generale. Mettersi in strada è sempre un rischio. Colpi di mano con uccisioni e distruzioni sono all’ordine del giorno. Le proposte di riconciliazione si susseguono, ma c’è sempre qualcosa che non convince». La comunità internazionale lancia appelli e propone accordi, ma troppi sono gli interessi sui pozzi di petrolio e sulle acque del Nilo che frenano il processo di pace.

Una vita e un libro per il Sud Sudan

È partita lo scorso 28 settembre, da Montesilvano (Pescara), una lunga maratona che toccherà circa 50 comuni italiani, per la presentazione dell'ultimo libro del superiore dei missionari comboniani nel Sudan del Sud, p. Daniele Moschetti, dal titolo: Sud Sudan. Il lungo e sofferto cammino verso pace, giustizia e dignità (Dissensi ed., Viareggio 2017, pp. 252, 14€, http://dissensi.it/shop). Il libro, che raccoglie lettere, resoconti e articoli scritti da p. Daniele, è anche un diario di viaggio, una testimonianza di incontri con persone e contesti che, pagina dopo pagina, diventano familiari al lettore. Ma è anche un prezioso strumento per conoscere la storia, le tradizioni, i molteplici volti del Paese e le radici di tanta sofferenza che, secondo il missionario, vanno rintracciati non tanto nella divisione in gruppi etnici e tribali, quanto nella diabolica abilità dei leader nazionali e locali di fomentare e sfruttare l'odio collettivo per mantenere l'egemonia politica ed economica. Sono insomma le riflessioni che il comboniano ha raccolto dal 2009, anno del suo approdo in Sudan, al 2016, quando ha dovuto lasciare il Sud Sudan per raggiungere una nuova “terra di missione”, gli Stati Uniti. Il volume – i cui proventi saranno interamente destinati ai progetti dei religiosi per la pace e la riconciliazione in Sud Sudan – vanta l'introduzione nientemeno che di papa Francesco, alla quale seguono anche i contributi di p. Giulio Albanese (comboniano e giornalista), mons. Giorgio Biguzzi (vescovo emerito della diocesi di Makeni, in Sierra Leone), p. Tesfaye Tadesse Gebresilasie (superiore generale dei comboniani) e p. Alex Zanotelli (missionario comboniano a Napoli).

Francesco si dice rammaricato per non essere riuscito a visitare quelle «terre martoriate», ma esprime comunque grande vicinanza alla popolazione sofferente, «a chi si adopera per alleviarne le sofferenze» e «a quanti lavorano incessantemente per la pace e la riconciliazione». Secondo il papa è quantomai necessario «sensibilizzare la comunità internazionale su un dramma silenzioso, che necessita dell'impegno di tutti per giungere a una soluzione». Disinteressarsi dei problemi del Sud Sudan, conclude nell'introduzione, «significherebbe, infatti, “dimenticare la lezione che viene dal Vangelo sull'amore del prossimo sofferente e bisognoso” (Esort. ap. Evengelii nuntiandi, 31.34)».

«P. Daniele ha vissuto il passaggio dall'euforia originale al martirio di questo popolo sofferente», commenta mons. Biguzzi. Il missionario «descrive questo esodo con stile diretto, incarnato nei volti della gente, intriso di forte realismo e profonda spiritualità. Non cede mai al pessimismo». In questo libro di Daniele, e in tutte le lettere agli amici che hanno accompagnato il suo ministero in Sud Sudan, «troviamo cronaca, testimonianza, meditazione, condanna, profezia, preghiera e speranza». 

Parte dell'immagine di copertina del libro Sud Sudan di Daniele Moschetti (Dissensi)

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