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Il papa presto in Perù, il Paese del «patto infame»

Il papa presto in Perù, il Paese del «patto infame»

Tratto da: Adista Notizie n° 1 del 13/01/2018

39195 LIMA-ADISTA. Proveniente dalle fatiche del viaggio in Cile (v. notizia precedente), papa Francesco in Perù si troverà fra l’incudine e il martello: l’incudine di un governo che il 24 dicembre ha concesso l’indulto all’ex presidente Alberto Fujimori, condannato per delitti contro l’umanità; e il martello di un popolo che chiede a Bergoglio di non avallare in nessun modo questa decisione ritenuta esecrabile. Francesco irriterebbe i governanti che lo ospitano se prendesse esplicitamente posizione contro un atto presidenziale (sarebbe un’inaccettabile ingerenza negli affari di un altro Stato). Ma irriterà i peruviani infuriati contro il governo se manterrà il silenzio perché sarà considerato un avallo.

Tanto più infuriati, i peruviani, perché l’indulto è reputato un «patto infame», secondo le parole del deputato del partito centrista Acción Popular, Víctor Andrés García Belaúnde: la grazia sarebbe stata concessa perché i fujimoristi presenti in Parlamento non votassero per l’impeachment al presidente Pedro Pablo Kuczysnki, impeachment promosso proprio dai figli di Fujimori che siedono al Congresso a motivo di sospetta corruzione ed incapacità morale. La notte di Natale Kuczynski avrebbe pagato il conto: qualche giorno prima, infatti, il 21 dicembre, il Congresso aveva respinto la mozione di sfiducia, malgrado la grande maggioranza dei congressisti sembrava non volere altro che la sua destituzione.

Per questo, un cartello di organizzazioni sociali e politiche, e segnatamente la Confederazione Generale dei lavoratori, hanno scritto lettere al papa affinché «venga a conoscere la critica realtà nazionale e non avalli con la sua presenza i responsabili della grave crisi che, per colpa dei governanti, fa vergognare il Paese di fronte alla comunità internazionale».

Reazioni negative si sono però registrate anche a livello istituzionale. La grazia allo stragista Fujimori – condannato a 25 anni di carcere per le carneficine con 25 morti perpetrate nel 1991 e 1992 da un gruppo militare occulto e per sequestri di persona – ha provocato le dimissioni di vari parlamentari, anche del partito del presidente, mentre familiari degli assassinati e dei desaparecidos sono scesi in strada per denunciare l’atto di impunità firmato da Kuczysnki, definito sui cartelloni dei dimostranti «traditore» e «complice del criminale», e hanno annunciato il ricorso ad istanze internazionali per l’annullamento dell’azione di grazia. Il Premio Nobel per la letteratura 2010 Mario Vargas Llosa, insieme ad altri 230 scrittori, ha firmato una lettera di protesta (pubblicata in Italia su Repubblica il 31/12/17) in cui denuncia che «il gesto del presidente copre di infamia e di vergogna un Paese in cui a nessuno sfugge che queste misure (…) non sono atti di compassione, ma frutto del più gretto e cinico calcolo politico».

Più diplomatici nei termini, ma altrettanto fermi nella condanna i vescovi peruviani. Per l’arcivescovo di Trujillo, mons. Héctor Miguel Cabrejos Vidarte, non si può costruire la pace sociale in Perù a partire da una proposta di riconciliazione che, invece di unire, genera un maggiore scontro. «Guardo con molta preoccupazione – ha confessato – agli avvenimenti degli ultimi giorni. Abbiamo rischiato di compromettere le istituzioni del nostro Paese». Il vescovo di Chiclayo, mons. Robert Prevost, ha detto che Fujimori dovrebbe scusarsi con ognuna delle vittime del suo governo, se vuole intraprendere un cammino di riconciliazione. Finora «ha chiesto perdono in modo generico, riconoscendo in termini generali la sua colpevolezza e alcuni si sono sentiti offesi. Forse da parte sua sarebbe più efficace chiedere personalmente il perdono per alcune grandi ingiustizie commesse e per le quali è stato processato».

Il vescovo di Chimbote, mons. Ángel Francisco Simón Piorno, ha detto che la grazia è una decisione inopportuna che ha destabilizzato e sconvolto il Paese. «Non è stato il momento giusto», ha spiegato, «per perdonare Fujimori». Anche perché è «in questa situazione» che «arriverà papa Francesco, quindi credo che l’accoglienza che gli verrà riservata non sarà la stessa nel bel mezzo di una crisi nazionale».

Prima della grazia a Fujimori, ma già in attesa dell’impeachment contro Kuczysnki, il nunzio apostolico in Perù, mons. Nicola Girasoli, aveva cercato di tranquillizzare gli animi rispetto alla situazione politica che avrebbe trovato il papa in Perù. «È un contesto molto difficile», aveva ammesso, che però «non riguarda la visita del papa, che è una visita pastorale. Francesco verrà a portare pace, unità e affetto». «Spero che il 18 gennaio siamo tutti in pace», concludeva ignaro della tegola del 24 dicembre. Forse ora sarà un po’ meno fiducioso.

* Il presidente peruviano Pedro Pablo Kuczynski in una foto di Jhopramo del dicembre 2013, tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

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