Stati Uniti: il vescovo di Lincoln tende la mano a “Call to Action”, scomunicata da 22 anni
Tratto da: Adista Notizie n° 3 del 27/01/2018
39218 LINCOLN-ADISTA. A quasi 22 anni da quando, nel maggio 1996, i cattolici aderenti al gruppo statunitense per la riforma della Chiesa Call to Action furono scomunicati per le loro posizioni, giudicate «pericolose per la fede», una mano viene tesa da mons. James Conley, vescovo della diocesi di Lincoln, in Nebraska, diocesi da cui la scomunica partì, per porre fine a questo “scisma” e consentire ai membri di tornare in piena comunione con la Chiesa.
Le censure di Bruskewitz
Nata alla fine degli anni ’70 a Chicago, Call to Action si espande a livello nazionale nei aprimi anni ’90 (oggi conta 25mila aderenti). Chiede un cambiamento strutturale nella Chiesa sui temi della giustizia e dell’inclusività: tra le sue battaglie, quelle per i diritti delle persone Lgbt, per il sacerdozio femminile, per la giustizia razziale e un maggiore coinvolgimento dei laici. Nel marzo 1996, l’allora vescovo di Lincoln mons. Fabian Bruskewitz, emana un “formale avvertimento canonico”, con cui vieta categoricamente ai fedeli della diocesi di appartenere a alcuni gruppi ed associazioni cattoliche, giudicate “pericolose” e “totalmente incompatibili” con la fede cattolica. Ce n’è un po’ per tutti: da organizza- zioni progressiste e aperte alla discussione sull’aborto e sulla riforma della Chiesa come Catholics for a Free Choice, Call to Action o Planned Parenthood (fino all’impegno per il diritto all’eutanasia della Hemlock Society) a movimenti tradizionalisti come quello dei lefebvriani o la Saint Michael the Archangel Chapel e ancora a gruppi legati alla massoneria come le Job’s Daughters, le Rainbow Girls, il DeMolay o la Eastern Star. Chiunque appartenga ad una di queste associazioni rischia, secondo l’editto di Bruskewitz, di essere “interdetto” (cioè temporaneamente privato della possibilità di ricevere la comunione) e, in caso di appartenenza insistita, di venire scomunicato (v. Adista n. 33/96). E in effetti la scomunica arriva: Bruskewitz definisce Call to Action Nebraska «intrinsecamente incoerente e fondamentalmente disgregatrice, nemica della fede cattolica, sovversiva dell’ordine della Chiesa, distruttiva della disciplina della Chiesa cattolica, in contraddizione con l’insegnamento del Concilio Vaticano II e di ostacolo all’evangelizzazione». Il provvedimento preso da Bruskewitz, tuttavia, resta entro i pur vasti confini dello Stato del Nebraska e non viene imitato da nessun altro vescovo: il card. Joseph Bernardin, ai tempi arcivescovo di Chicago, dichiara di non voler seguire le indicazioni del vescovo di Lincoln: «Non penso che tagliare via completamente i membri di Call to Action dalla comunità cattolica possa servire a qualche buon fine», se non a «esacerbare la situazione»; secondo il card. Bernardin, infatti, molte posizioni del movimento, «soprattutto nella sfera sociale», sono «compatibili » e legittime. Nei riguardi di Call to Action, l’approccio di Bernardin è «usare con loro i poteri della persuasione morale e del dialogo su temi specifici», non di entrare in aperto conflitto. Ma Bernardin, si sa, era il vescovo che cercava un terreno comune (common ground) tra le diverse anime del cattolicesimo. Un appello rivolto al Vaticano nel 2006 per ottenere il ritiro della scomunica non sortì alcun effetto.
Ripartire dalle persone
E un dialogo, a dire il vero, l’ha cercato, nel corso di tutto il 2017, anche l’attuale vescovo di Lincoln (in carica dal 2012) che, dalla fine dell’anno giubilare della misericordia, il 2016, ha incontrato più volte segretamente i membri della sezione locale di Call to Action, giungendo all’offerta di cancellare la scomunica a livello individuale, lasciando però in vigore il decreto contro l’adesione all’organizzazione: «Mi è stato chiaro fin dall’inizio – ha scritto Conley in una lettera al gruppo del 12 dicembre scorso – che nessuno cattolico deve aderire a Call to Action. Ritengo che costituisca un pericolo per la fede. Tuttavia, voglio considerare la possibilità di cancellare la scomunica individualmente laddove i suoi membri, attualmente non disposti a lasciare CTA, riaffermino la loro adesione al magistero della Chiesa cattolica». Considerando che, in occasione di un incontro nel 2013, la richiesta del vescovo per ottenere il ritiro della scomunica era stata di lasciare Call to Action, qualche passo avanti è stato fatto.
Un problema, ora, si pone, sottolinea il settimanale Usa National Catholic Reporter: quante persone sono toccate dalla scomunica del 1996, e quante sono disposte ad accettare l’offerta del vescovo (in cui non si fa cenno, peraltro, delle altre associazioni coinvolte dalla scomunica)? Nel 1997 i membri erano 60; alcuni non hanno mai accettato la scomunica, molti l’hanno considerata un’ingiustizia, ma evidentemente ve ne sono diversi che non condividono tutto il pacchetto del programma e sarebbero disposti a retrocedere su qualche punto pur di rientrare nella Chiesa. Coloro che desiderano restare nell’organizzazione ma privi della scomunica, questo il progetto del vescovo, dovranno professare il Credo e la professione di fede della vigilia pasquale. In questo modo, «affermeranno la fede cattolica ricevuta dalla Chiesa cattolica e rigetteranno le posizioni di Call to Action contrarie alla dottrina cattolica ricevuta», ha spiegato il vescovo, come l’ordinazione femminile e il supporto ai diritti Lgbt. Una situazione non semplice, ma una «tensione nella quale accettiamo di vivere», come ha detto Patty Hawk, già co-presidente di Call to Action: «Una tensione che descrive il nostro rispettivo desiderio di lavorare per una reciproca comprensione e rispetto delle nostre convinzioni». La ricerca, insomma di quel “terreno comune” auspicato dal card. Bernardin. Ma una cosa è certa: «Siamo stati scomunicati come comunità, e vogliamo porre fine a questo come comunità».
Ora la palla è nel campo degli aderenti a Call to Action. L’incontro decisivo avverrà, si dice, non prima di febbraio. Per alcuni, la decisione di accettare l’offerta significherebbe riconoscere la validità della scomunica, che, invece è stata sempre ritenuta non valida (posizione, questa supportata dal canonista James Coriden). Secondo quanto riporta il National Catholic Reporter, p. Francis Morrisey, canonista alla St. Paul University a Ottawa, ha definito un «grande gesto» da parte di Conley non richiedere l’abbandono di Call to Action come condizione per l’eliminazione della scomunica, che riflette l’approccio pastorale chiesto da papa Francesco. La perdurante scomunica sul gruppo serve a scoraggiare altri cattolici dall’aderire al gruppo, ma anche in quel caso, ha fatto sapere Conley, sarà possibile parlarne in incontri ad hoc. Insomma: «Francesco dice di partire dalle persone, mentre prima si partiva dal principio, e c’è un’enorme differenza», fa notare Morrisey.
La Cattedrale di Cristo Risorto a Lincoln (NE - USA), in una foto di Ammodramus del 2013, tratta da Creative Commons CC0 1.0 Universal Public Domain Dedication, immagine originale e licenza
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