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Porto “vicino” o porto “sicuro”? Primi dubbi sulla missione Themis

Porto “vicino” o porto “sicuro”? Primi dubbi sulla missione Themis

Lanciata l'1 febbraio scorso dopo mesi di trattative in ambito europeo, la missione navale europea Themis già desta qualche perplessità tra gli attivisti impegnati nella tutela dei diritti umani e nell'accoglienza dei migranti. La missione dell'agenzia Frontex rimpiazza Triton, attiva dal 2014, ne estende il raggio d'azione (per controllare le rotte dei migranti da Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Turchia e Albania) e il mandato relativamente agli impegni di polizia ed intelligence, soprattutto per arginare il flusso di rientro dei foreign fighters dispersi dopo lo smantellamento dell'Isis in Iraq e Siria.

Per parte italiana, la grande novità – e il più importante successo de governo Gentiloni – sta nell'obbligo previsto di ricondurre i migranti rintracciati nel Mediterraneo non più in un porto italiano, ma nel “porto più vicino” al punto di soccorso. Cosa che, si presume, dovrebbe alleggerire notevolmente il lavoro di accoglienza del nostro Paese.

In un'intervista a Radio 3 Europa, ha espresso «profondi dubbi» l'avvocato Salvatore Fachile, segretario dell'Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione), che i lettori di Adista conoscono per il caso dei sudanesi rimpatriati il 26 agosto 2016. Alla domanda sulle implicazioni di questa clausola nella tutela dei diritti umani, qualora il porto più vicino si dovesse situare in Paesi “poco affidabili”, il legale ha così espresso le sue perplessità: «Quello che desta molta preoccupazione è l'annuncio che, da una parte, ci sarà comunque una zona di copertura minore e si arriverà a coprire solo 24 miglia dall'Italia nelle operazioni e, dall'altra, che non si parla più di porto “sicuro” ma semplicemente del porto “più vicino”. A queste preoccupazioni si aggiunge il fatto che comunque non è chiaro il quadro giuridico in cui si sta muovendo l'operazione».

Durante l'intervista, Izabela Cooper (portavoce di Frontex) ha garantito che la missione non prevede «assolutamente» la consegna dei migranti nei porti di Paesi Terzi. «La riduzione del raggio di intervento nelle 24 miglia – ha però ribadito Fachile – non può che significare la riduzione delle persone che saranno soccorse» dalle navi europee. Aumenteranno quindi i migranti morti e quelli che verranno soccorsi forzatamente, ad esempio, dalla guardia costiera libica che, verosimilmente, li condurrà nei centri di detenzione libici.

Una missione navale europea, ha poi concluso l'avvocato, non dovrebbe concentrarsi sulla «presunta capacità di fermare i terroristi» e arginare i flussi migratori, ma sul «rispetto delle norme internazionali che ci spingono a salvare e portare su territorio sicuro un maggior numero di migranti possibili».

* Scatto di manhhai, tratta da Flickr, immagine originale e licenza. La foto è stata ritagliata

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