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Religiosi in Africa, una vita difficile. L'appello di un sacerdote

Religiosi in Africa, una vita difficile. L'appello di un sacerdote

Sempre più dura la vita dei sacerdoti cattolici in Africa, nelle zone calde dove l'instabilità politica e sociale si traduce per loro un una lunga scia di omicidi e rapimenti. E se è vero che «Non c'è amore più grande che dare la vita per coloro che amiamo», come recita il capitolo 15 del Vangelo di Giovanni, è anche vero che «la Chiesa deve lavorare in ambienti sani e sereni per essere più fattiva», e i governi devono impegnarsi per renderle la vita un po' più sicura, ha riferito ieri all'Agenzia Fides p. Donald Zagore, sacerdote della Società Missioni Africane in Togo.

Per esempio, nell'Est del Congo, a Kyahemba, lo scorso 8 aprile, il parroco di Kitchanga don Étienne Sengiyumva è stato ucciso a bruciapelo da alcune persone entrate in parrocchia mentre si svolgeva un incontro dei collaboratori parrocchiali. Il giorno seguente, il vescovo di Goma (capoluogo del Nord Kivu) mons. Théophile Kaboy Ruboneka ha confessato a Fides che «è difficile attribuire delle responsabilità» precise sul mandante e sugli esecutori: «La nostra regione è infestata da gruppi armati diversi, almeno 15, che non si riescono a smantellare nonostante la presenza dell’esercito regolare e dei Caschi Blu» della Monusco, la missione Onu in Repubblica Democratica del Congo, la più grande e costosa delle Nazioni Unite nel mondo. Don Étienne è il terzo sacerdote ucciso nell'area, ha poi ricordato il vescovo, ma le indagini non portano mai da nessuna parte, per l'assenza di istituzioni credibili e per la difficoltà di reperire testimonianze: tutti vedono ma, in un contesto di instabilità e totale assenza di protezione, nessuno parla.

Sempre per restare sui casi recenti, è del 22 aprile la notizia del rilascio di Edwin Omoregbe, prete cattolico rapito quattro giorni prima nello Stato nigeriano di Edo. Anche in questo caso non si conoscono i motivi del sequestro né, tanto meno, quelli del felice ritorno nella parrocchia di Benin City (capitale dello Stato di Edo). Sono diversi i religiosi e le religiose rapiti nella Nigeria meridionale, poi rilasciati o uccisi, come le sei suore liberate da un'operazione di polizia a gennaio scorso dopo 6 mesi di prigionia; o il missionario italiano, don Maurizio Pallù, rapito da una banda di criminali e liberato il 17 ottobre scorso grazie a un intervento dell'Unità di Crisi della Farnesina.

Ma la lista dei Paesi africani a rischio è piuttosto lunga, sottolinea p. Zagore nella conversazione con Fides: in Costa d'Avorio, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Ciad, Cameroon, Repubblica Centrafricana, ecc. i sacerdoti vengono rapiti e assassinati da gruppi criminali e milizie armate, con intenti diversi, economici ma anche – e sempre più spesso – politici, per via del loro impegno in favore della giustizia, della pace, della difesa delle popolazioni locali e dell'ambiente.

La sicurezza di preti e suore è minacciata: «Si tratta di un fenomeno che sta diventando sempre più ricorrente e inquietante», spiega il sacerdote in Togo. «Una realtà drammatica che sfida e invita ad agire sia a livello ecclesiale che governativo». E sì, perché «spetta ai governi politici dei nostri Paesi africani lavorare seriamente per garantire che la sicurezza di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza politica, culturale o religiosa, sia una realtà effettiva. Viviamo in un'Africa che ha davvero bisogno di risolvere la sfida della sicurezza».

Traguardo difficilmente raggiungibile, verrebbe da aggiungere, finché molti popoli africani resteranno ostaggio di corruzione, instabilità politica, interessi lobbistici di grandi multinazionali e indiscriminato traffico di armi e di risorse naturali. «La riduzione dei conflitti armati, il disarmo delle milizie, l’effettiva attuazione di programmi per l’integrazione sociale delle milizie armate, la riduzione della disoccupazione, l’istituzione di un sistema educativo e scolastico che sia fonte di un futuro migliore per i nostri giovani», conclude il p. Donald, «rimangono sfide importanti da superare per vincere la lotta per la sicurezza nel nostro continente. La Chiesa d’Africa non deve rimanere ai margini ma deve essere sempre più visibile e percettibile. Per questo rimane inevitabile una collaborazione efficace con i governi dei nostri diversi Paesi».

È anche vero che, nonostante la frequente conflittualità di vedute sociopolitiche tra poteri politici e Chiese, agli stessi governi africani – che, per incapacità amministrativa o per ragioni di bilancio, molto spesso appaltano alle strutture religiose interi pezzi di welfare, assistenza sociosanitaria, istruzione, scolarizzazione, formazione professionale ecc. – converrebbe raccogliere l'appello lanciato dai religiosi e dalle religiose sotto minaccia.

* Immagine di Rod Waddington, tratta dal sito Flickr, licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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