
L’altro 2 giugno, per fermare i progetti “imperiali” della difesa italiana
Tratto da: Adista Notizie n° 22 del 16/06/2018
39403 ROMA-ADISTA. Da Roma alla Sardegna passando per Pisa, lo scorso 2 giugno è stata una festa della Repubblica contro le basi e le servitù militari.
Nella capitale, mentre a via dei Fori imperiali i militari marciavano in parata e le frecce tricolori volavano nel cielo colorandolo di bianco rosso e verde, nella periferia est si è svolta una manifestazione contro la costruzione – all’interno di un’area destinata a verde pubblico (il Parco archeologico di Centocelle, uno dei quartieri interessati) – del cosiddetto Pentagono italiano, ovvero una struttura unica che, secondo i progetti del ministero della Difesa, dovrebbe riunire i vertici delle quattro Forze armate (esercito, aeronautica, marina e carabinieri), appunto un Pentagono made in Italy, ad immagine e somiglianza di quello Usa, con una presenza militare di oltre tremila unità.
«La guerra è vicina. Ma dove? Nel Parco archeologico di Centocelle», denuncia il vo lantino della manifestazione. «Il parco – si spiega – è in parte abbandonato, inquinato e poco accessibile, e si trova al centro di un’area densamente popolata e cementificata. Potrebbe essere bonificato e tornare ad essere una risorsa sociale e ambientale per tutti. Ma i piani per ora sembrano essere altri ». Appunto quelli di realizzare il Pentagono italiano, che amplierebbe la struttura militare già esistente (su un ex aeroporto militare), raddoppiando la presenza di soldati da 1.500 a 3.000 e anche di più.
«Non bastava il Comando operativo di vertice interforze, già presente nell’area dell’ex aeroporto di Centocelle, struttura che organizza le missioni militari nelle aree di guerra », spiegano i cittadini promotori dell’iniziativa. «Tra Ministero della Difesa e Comune di Roma sono in corso accordi per il progetto del cosiddetto Pentagono italiano, grazie alla sottrazione al Fondo destinato alle periferie di 2,6 miliardi di euro. Tale progetto consiste nell’estensione delle attuali strutture militari presenti sul parco, con sottrazione di numerosi ettari all’utilizzo pubblico e con la realizzazione di un polo per il comando unico di tutte le Forze armate italiane. Quindi una maggiore militarizzazione dell’area, difficoltà di mobilità, aumento dell’inquinamento elettromagnetico, col rischio che l’intero parco finisca per essere interdetto alla popolazione».
La storia dell’ex aeroporto di Centocelle (intitolato a Francesco Baracca, aviere della prima guerra mondiale) è vecchia oltre un secolo. Primo “campo di volo” dell’aviazione italiana, da qui nel 1909 decollò il “Flyer” di Wilbur Wright ma anche, nel 1911, il primo aereo che andò a bombardare la Libia, durante la guerra coloniale di Giolitti. Dismesso l’aeroporto, sono restati i militari, che hanno trasferito a Centocelle la Direzione generale degli armamenti e il Comando operativo di vertice interforze, da dove si controllano tutte le operazioni delle Forze armate, a cominciare da quelle all’estero (attualmente 32 in 22 Paesi, in Europa, Africa, Medio Oriente e Asia). E che ora vorrebbero realizzare anche il Pentagono, piena attuazione del “Libro bianco per la sicurezza nazionale e la difesa” che, aggirando l’articolo 11 della Costituzione, fa dell’Italia una potenza che interviene militarmente nel mondo, a sostegno degli «interessi vitali» economici e strategici propri e dell’Occidente.
Ma la storia dell’area di anni ne ha quasi duemila: qui sorgeva la villa imperiale Ad duas lauros, appartenuta anche ad Elena, madre di Costantino, una piscina termale e gli alloggiamenti per i cavalieri dell’imperatore (centum cellae), che danno il nome al quartiere. Anche per la presenza di questi importanti resti storici – sottoposti a vincolo paesaggistico – nel 2003-2006 è stato istituito da Comune e Regione il Parco archeologico di Centocelle (126 ettari, di cui solo 33 realizzati) che, nonostante delibere, soldi stanziati e spesi, versa in uno stato di forte degrado: inquinato da rifiuti pericolosi interrati; circondato da decine di autodemolitori, che occupano un’area vincolata e destinata a verde pubblico, da anni ne è stato disposto l’allontanamento, ma arrivano sempre nuove proroghe; devastato dagli incendi, soprattutto nella stagione estiva. E ora minacciato dall’espansione dei militari, che vogliono qui il Pentagono. «Non vogliamo essere vicini di casa di chi da anni è responsabile di morti, distruzioni, esodi di massa, come sta facendo l’esercito italiano con la sua partecipazione a una guerra continua, le cui vittime principali sono popolazioni civili come noi», chiedono le realtà sociali e gli abitanti del territorio. «Riprendiamoci il parco! Perché un luogo di serenità, gioco e distensione non si trasformi in una base di morte».
Contro un Tirreno di servitù
Manifestazioni anche a Cagliari contro «l’occupazione militare» della Sardegna: poligoni (soprattutto Quirra e Teulada, i due più grandi d’Europa), esercitazioni (per ultima la Joint Star 2018 con i cieli di mezza Sardegna solcati dai velivoli militari), basi segrete (come quella di Poglina, ad Alghero), e altre servitù a terra, mare e cielo, che hanno trasformato l’isola in una colonia al servizio dell’industria della guerra. Il corteo, partito dalla sede della giunta regionale a Cagliari anche per denunciare la complicità della giunta di Francesco Pigliaru (Partito democratico) che ha da poco firmato un accordo con il Ministero della Difesa per il Sistema integrato per l’addestramento terrestre (Siat), ha chiesto a gran voce la fine delle esercitazioni, la dismissione di tutti i poligoni militari, l’avvio di bonifiche integrali e certificate da parti terze, la restituzione delle terre alle comunità e i risarcimenti per tutti i danni (demografici, economici, alla salute e all’ambiente) subiti in 60 anni di occupazione militare, e l’avvio di alternative economiche etiche, sostenibili e legate alle risorse dei territori, oltre che la cessazione di ogni collaborazione tra le Università sarde e la filiera bellica e la riconversione della fabbrica di bombe di Domusnovas (vendute all’Arabia Saudita per la guerra in Yemen, v. Adista notizie nn. 40 e 43/15; 6, 7, 9, 31 e 36/16; 19, 30 e 34/17), contro cui si è recentemente espresso anche il vescovo di Iglesias, mons. Giovanni Paolo Zedda (v. Adista Notizie n. 18/18).
A Pisa, invece, un ampio cartello di associazioni pacifiste, antimilitariste e della sinistra ha manifestato contro la base Usa di Camp Darby e in generale per la smilitarizzazione del territorio. «Oggi la battaglia per la chiusura di Camp Darby – spiegano le associazioni – per la restituzione del territorio occupato e per la sua riconversione a scopi civili, è ancora più impellente. In un momento storico in cui i venti di guerra in Medio Oriente, con il conflitto in Siria e in Yemen, le aggressioni al popolo palestinese e al popolo kurdo, le minacce rivolte contro l'Iran dagli Usa e da Israele, stanno soffiando sempre più impetuosamente, riattivare un movimento pacifista e antimilitarista, che abbia come primo obiettivo la mobilitazione contro la guerra imperialista, è un dovere».
* Il Parco archeologico di Centocelle (Roma) in una foto di Stminos del 2014 - tratta da it.wikipedia.org, licenza Creative Commons
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