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«Ribelli per amore»: la resistenza dei missionari alla deriva xenofoba in Italia

«Ribelli per amore»: la resistenza dei missionari alla deriva xenofoba in Italia

Di acqua ne è passata molta sotto i ponti della storia d'Italia da quando Teresio Olivelli, ex partigiano ucciso nel campo di Hersbruck mentre cercava di difendere un altro detenuto, oggi beato, scrisse la “Preghiera del ribelle” (1944), atto di resistenza e condanna contro il nazifascismo e i suoi crimini.

Dichiararsi a quei tempi “ribelle” conduceva alla fucilazione, oggi ovviamente non più. «Però... Se oggi non ti adegui all’opinione delle “giurie popolar-telematiche”, così corteggiate dai nostri politici, che dominano il modo di pensare e comunicare, hai vita dura, o quantomeno trovi la tua pagina social piena di vituperi, insulti e anche minacce, neppure tanto velate».

Il messaggio di Teresio Olivelli resta, ancora oggi, di grande attualità, e questa è ferma convinzione di Gigi Anataloni, direttore del periodico Missioni Consolata. Sul numero di agosto/settembre il direttore firma l'editoriale “Ribelle per amore” e denuncia con lucidità e amarezza la situazione culturale e politica nel Belpaese.

«Quanto accade in Italia e in Europa di questi tempi non può lasciare indifferenti. Come uomo, cristiano, missionario e italiano, mi sento messo in discussione». E continua: «Che ne è dell’Italia che amo, culla di bellezza, madre di migranti e missionari, ponte di solidarietà e accoglienza? Come resistere a chi semina odio facendosi forte addirittura del Crocefisso? Che fare? Fare finta di niente? Rispondere a tono a tutti i post e le notizie razziste e social-populiste che fanno man bassa di “mi piace” sull’onda di politici in perenne campagna elettorale che governano da balconi, piazze e piscine? Reagire a tutti gli insulti su Facebook con una faccina arrabbiata? Fare raccolte di firme? Chiudersi in chiesa armati di novene riparatrici e di preghiere per la “loro” conversione?».

La risposta a tante domande – e a quella più grande, “Che fare?” – p. Gigi la scopre nella suo vocazione e nello specifico della famiglia missionaria di cui fa parte: «Come missionari della Consolata ci siamo detti e ridetti che il nostro primo scopo è quello di essere testimoni dell’amore universale di Dio e servi di consolazione. Ci siamo anche ripetuti che il nostro stile è “fare bene il bene, e senza rumore”. Per questo possiamo fare solo una cosa: continuare a essere fedeli alla nostra vocazione e al nostro stile nel mondo e in Italia».

Lo stile proposto dall'editoriale è radicalmente opposto a quello messo in campo quotidianamente da tanti “leoni da tastiera” nonché da importanti rappresnetanti dello Stato. «Anzitutto opporre il silenzio alla litigiosità fatta virtù. E poi... Rispetto, cortesia e gentilezza: come resistenza all’insulto e alla violenza. Presenza e impegno: senza quel protagonismo “cinguettante” che tutto afferma e niente opera, per lavorare insieme e camminare con chi costruisce, ama, accoglie nel quotidiano. Consolazione: con preferenza per gli «scarti», gli anziani, i poveri, i soli, gli ignorati e abbandonati, senza guardare colore, nazionalità, cultura e religione. Informazione: accurata, documentata, approfondita, rispettosa delle persone delle quali si scrive ma anche dell’intelligenza di chi legge. Confronto: non con gli indici di popolarità, ma con la Parola di Dio che nutre la coscienza e smaschera la menzogna».

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